«Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te» (Dt 30,11). Il libro del Deuteronomio è il quinto dei cinque libri di Mosè, il Pentateuco. Prende il nome dalla traduzione in greco delle parole “copia di questa legge”, seconda presentazione della legge. Contiene tre grandi discorsi fatti da Mosè per ricordare agli Israeliti le esigenze dell’alleanza con Dio fatta sul monte Sinai. Sono la sintesi delle vicende del deserto, l’impegno a rinnovare la fedeltà all’alleanza in cambio di benedizioni, le ultime disposizioni di Mosè ed il racconto della sua morte. Sul finire della sua missione il grande condottiero dopo aver convocato il popolo di Israele gli riferisce e ribadisce le esigenze proprie della relazione con Dio e di tutte le norme date da Jahwé. Il suo tono è perentorio: si tratta di ordini, comandi e decreti che richiedono obbedienza, osservanza e continua conversione nella totalità del proprio essere. I comandi di Dio sono proporzionati in termini di tempo e di spazio alla ricezione umana. In un certo senso Dio stesso previene il giudizio dell’uomo che facilmente si traduce in scoraggiamento ed impossibilità di osservanza delle leggi perché ritenute assurde, lontane dal comune modo di pensare e troppo difficili da essere tradotte nella pratica di vita. I suoi ordini non sono collocati in cielo, impossibili per essere presi, uditi ed eseguiti. Non sono oltre il mare, impossibile da navigare. Sono invece parole vicinissime, poste da Dio sulla bocca dell’uomo e nel suo cuore, pronte per essere messe in pratica. Queste verità non appartengono solo al vecchio popolo di Israele ma anche al nuovo popolo di Dio costituito nella e con la Chiesa di cui noi siamo parte integrante. P. Angelo Sardone