«Eccomi contro i pastori: a loro chiederò conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge» (Ez 34,10). L’immagine del pastore, cara alla mentalità ebraica ed in genere orientale, viene ripresa nella predicazione di Ezechiele e più tardi ancora in quella di Zaccaria. L’intero capitolo 34 è una invettiva contro i pastori di Israele, dediti alla bella vita, accusati di pascere se stessi, incuranti delle necessità e dei bisogni delle pecore facilmente preda delle bestie selvatiche. Vista questa situazione particolare, Dio stesso, pastore del suo gregge, il suo popolo eletto, prende in mano con autorità la sua gestione e lo sottrae da questa guida infame. Il suo intervento punitivo riguarda i pastori colpevoli dello scempio del gregge: a loro chiede conto di una gestione opportunista ed edonista, dedita solo al tornaconto alimentare e di potere. Visto che non sono stati in grado di amministrare il gregge affidato loro con fiducia e spirito di condivisione, Dio stesso riprenderà in mano tutto. Si legge in filigrana una situazione che spesso si riscontra nella società e nella Chiesa con pastori che non sono o non sono più all’altezza della situazione perché impreparati, imborghesiti mentalmente e socialmente, desiderosi di apprezzamento, di compiacimenti di tavola e di riflettori puntati, ma insensibili e lontani dai reali problemi, dalle difficoltà e dai pericoli che corrono le pecore loro affidate. S. Agostino già ai suoi tempi aveva commentato egregiamente questi passi profetici offrendo una straordinaria lettura ed intelligenti soluzioni. Il potere va esercitato non per servirsi delle pecore, ma per servirle. P. Angelo Sardone