«Io sono Giuseppe, vostro fratello, quello che voi avete venduto sulla via verso l’Egitto. Non vi rattristate e non vi crucciate: Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita» (Gn 45,5). La mancanza di grano nella terra di Canaan costrinse Giacobbe a mandare i suoi figli in Egitto per comprarvene. Il viaggio, la permanenza, la richiesta, assumono tutti i contorni di una sceneggiatura drammatica, soprattutto per il fatto che Giuseppe era stato incaricato della vendita. Sin dal primo impatto con i fratelli, egli li riconobbe e giocò in maniera astuta le sue carte non tanto per umiliarli e per far loro pagare l’oltraggio che aveva ricevuto, ma per farli ravvedere e purificarli da quell’orrendo delitto che avevano compiuto. Il povero padre, infatti, lo credeva sbranato da una bestia feroce, mentre invece in Egitto, per il dono ricevuto da Dio di saper interpretare i sogni e condurre un’amministrazione saggia e matura, Giuseppe dominava senza contrasto alcuno. Accertatosi che il padre era ancora in vita e con lui anche il fratello più piccolo Beniamino, dopo averli forniti di grano li rimandò indietro intimando loro di condurre da lui l’ultimo fratello. Così avvenne. Ancora una volta infierì contro di loro: fece inserire nascostamente in un sacco di grano la sua coppa d’argento ed il denaro che avevano versato per l’acquisto del grano e mentre erano sulla via del ritorno li fece rincorrere accusandoli di essere ingrati e ladri. Alla fine si fece riconoscere. Il tono patetico ed avvincente del racconto tocca qui il suo culmine di emozione e coinvolgimento perché rivela il vero motivo per il quale Giuseppe era stato venduto e finito in Egitto: perché avessero salva la vita. P. Angelo Sardone