Il profeta Daniele è presentato nel libro omonimo come un giovane giudeo che era stato deportato alla corte del re Nabucodonosor. È considerato uomo saggio e giusto. L’inizio della seconda parte del libro contiene le visioni notturne, di cui egli è beneficiario, delle bestie, prima, del Figlio dell’uomo, poi. La visione delle quattro bestie, una differente dall’altra, riporta la loro descrizione. Salgono dal mar Mediterraneo e sono un leone con ali di aquila, un orso, un leopardo, una quarta spaventosa, terribile con dieci corna. Rappresentano rispettivamente l’impero di Babilonia, il regno dei Medi, quello dei Persiani, il regno di Alessandro. Alla fine compare un vegliardo che si siede sopra un trono con vampe di fuoco, e ruote infuocate. Tutto è fuoco attorno a lui. Il profeta lo descrive come un essere umano, dalla veste candida come la neve ed i capelli candidi come la lana. È la rappresentazione di Dio con i simboli espressivi della sua eternità (i capelli candidi), la trascendenza (la veste come la neve), la supremazia sull’intero universo (il fiume di fuoco) e la sua maestà (il numero enorme dei suoi servi). Appare poi uno simile ad un figlio d’uomo al quale sono conferiti onore, potere e gloria. Il tratto glorioso delle visioni viene posto nella liturgia odierna in correlazione con la festa della Trasfigurazione di Gesù, dove il viso, le vesti e la teofania richiamano la visione del profeta. Si deve a S. Agostino l’interpretazione della veste candida con la quale è simboleggiata la Chiesa. Si tratta della prefigurazione della maestà e della gloria di Dio manifestata nel suo Figlio nel mistero della risurrezione, una anticipazione di ciò che è il Paradiso. P. Angelo Sardone