«Questa è la vera grazia di Dio. In essa state saldi! Vi saluta la comunità che vive in Babilonia, e anche Marco, figlio mio» (1Pt 5,14). La prima lettera di S. Pietro si chiude con due annotazioni: una confessione ed i saluti di rito. Dopo aver esortato i primi cristiani a rivestirsi di umiltà, umiliandosi davanti a Dio e riversando in Lui ogni preoccupazione come già il salmo suggeriva, a resistere al demonio che circuisce come un leone ruggente, in modo da metterlo in fuga, l’Apostolo conferma che quanto ha scritto è la vera grazia di Dio. Se è sottolineata la qualità della verità è perché ci potrebbe essere una grazia non vera, quella dipendente da false o ingannevoli credenze che molte volte fanno illudere di stare a fare chissà quale cammino e ritrovarsi sempre al medesimo punto. Infine, secondo lo stile epistolare, i saluti, prima di tutto da parte della Comunità cristiana presso la quale si trovava a Roma, che al dire degli studiosi è qui indicata con lo pseudonimo di Babilonia, la capitale dell’impero di Nabucodonosor che come i Romani ora contro i cristiani, aveva perseguitato gli Ebrei e distrutto Gerusalemme. Poi i saluti di Marco, suo segretario e discepolo, definito «figlio mio». Si tratta di Marco nipote di Barnaba, suo compagno di missione e familiare anche di Paolo. Autore del secondo vangelo, morì martire ad Alessandria di Egitto trascinato con funi al collo. La tradizione vorrebbe che le sue reliquie sottratte alle fiamme, fossero trasportate l’828 da alcuni mercanti a Venezia di cui è diventato protettore. Il segno iconografico che lo rappresenta è il leone, di cui si fregia la famosa ed artistica città lagunare. Auguri a tutti coloro che ne portano il nome. P. Angelo Sardone