«Noè aspettò altri sette giorni, poi lasciò andare la colomba; essa non tornò più da lui» (Gen 8,12). La prova della definitiva conclusione dello straordinario e delittuoso evento del diluvio e del prosciugamento dell’acqua il patriarca Noè l’ebbe attraverso la colomba. La fece uscire dall’arca tempo dopo il corvo che era rientrato non avendo possibilità di posarsi su nulla, ma tornò per le medesime difficoltà. Sette giorni dopo, a seguito della perlustrazione sulla terra tornò con un ramoscello fresco di ulivo nel becco. Sette altri giorni dopo non rientrò più. Era il segno evidente del prosciugamento delle acque. La Genesi che non è un libro di geografia, annota che la pioggia era scesa per quaranta giorni e quaranta notti e l’intero diluvio era durato un anno e 11 giorni (Gen 7,11. 8,14); le acque erano salite per 150 giorni e scese per altri 150 giorni. Si era trattato di una vera catastrofe cosmica. Nel Vecchio Testamento la colomba che è spesso nominata come uccello sacrificale per la purificazione delle impurità e l’offerta del nazireo acquista un valore simbolico richiamato nei Salmi, nei Profeti e nel Cantico dei Cantici. Nel Nuovo Testamento è il simbolo dell’ingenuità e dell’innocenza ed ancor di più, diviene il segno visibile dello Spirito Santo. I primi Padri della Chiesa l’associarono al Battesimo e più tardi, nelle rappresentazioni pittoriche dell’Annunciazione, del mistero della Trinità ed in genere nell’iconografia cristiana, allo Spirito Santo. In alcune chiese, la custodia eucaristica è metallica, appesa al di sopra dell’altare ed a forma di colomba (il columbarium). Il simbolo della colomba è anche uno dei segni della Pasqua. Oggi si celebra la festa invernale di S. Antonio di Padova in occasione della traslazione delle sue reliquie (1263), meglio conosciuta come “festa della lingua di Sant’Antonio”: nella prima ricognizione la lingua del santo taumaturgo fu trovata incorrotta ed è tuttora conservata nella basilica a Padova. P. Angelo Sardone