La semina del mattino
140. «Gesù, vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa» (Lc 19,41). Fa una certa impressione leggere della commozione di Gesù, intensa fino al pianto. In tre diversi passi il Nuovo Testamento lo riferisce. A Betania piange la morte dell’amico Lazzaro e si unisce al dolore delle due sorelle. Quelle lacrime di dolore si trasformano in lacrime di gioia, con la risurrezione del morto (Gv 11,32-36). L’autore della Lettera agli Ebrei, sottolineando la dimensione sacerdotale di Cristo che compatisce le umane miserie e le sperimenta, afferma che Egli versò lacrime accompagnandole con grida ed una intensa supplica a Dio perché lo liberasse dalla morte (Eb 5,7). Infine, alla vista di Gerusalemme, prima della sua passione e morte, Gesù piange. Considera la mancanza di conoscenza del tempo della salvezza, della via della pace ed intravvede la distruzione della città santa, condannata per non aver saputo cogliere il momento favorevole della salvezza. Le sue lagrime manifestano non tanto la sua debolezza, quanto la grande delusione e la sua impotenza dinanzi ad una libertà umana gestita male. Risuonano inoltre come un invito accorato alla città, punto di riferimento della fede nazionale, ostinata nel peccato e nel rifiuto del Messia, perché si converta e faccia penitenza. La fine preconizzata da Gesù si realizzerà puntualmente il 70 d.C. prima con la rivoluzione degli Ebrei ribelli e poi con le truppe romane di Tito che metteranno a ferro e fuoco la città, distruggendola insieme col tempio. Il nostro è un Dio profondamente umano interessato alle sorti di ciascuna creatura e di ogni città del mondo! Per questo piange! P. Angelo Sardone