«Quel Dio, che tu servi con perseveranza, ti possa salvare!» (Dan 6,17). Il ricorso a Dio tre volte al giorno attraverso la preghiera rituale fatta da Daniele, scandalizza ed esaspera i Babilonesi che lo accusano al re Dario di aver violato il suo decreto mancandogli di rispetto. Le conseguenze sono fatali nonostante che il re, grato a Daniele per il suo corretto operato, tenti di salvarlo. L’ordine diviene perentorio: deve essere gettato nella fossa dei leoni, serrata la bocca della stessa fossa e sigillata con l’anello regale. Il rimorso prende il sopravvento con l’insonnia e l’indomani certo della sciagura, il re si avvicina alla fossa e gli sussurra mestamente parole di conforto. Daniele risponde prontamente dalla fossa attestando di essere vivo e di essere stato salvato dall’angelo del Signore senza che i leoni possano avergli fatto del male perchè è innocente agli occhi di Dio ed anche agli occhi suoi. Il re lo fa liberare immediatamente e costata che neppure un graffio lo ha lacerato perché ha confidato nel suo Dio. Al contrario fa gettare nella fossa i suoi accusatori insieme con i loro figli e la fine è inesorabile per loro, stritolati da quelle bestie feroci. Le sorti si capovolgono ed è il re stesso ad invocare il Dio di Daniele riconoscendo il suo regno indistruttibile ed eterno e la potenza di Colui che libera e salva. La fedeltà al Signore ed alle pratiche di pietà salva sempre coloro che si affidano a Lui e sono audaci nella disobbedienza a quelle ferree leggi umane che vanno contro Dio e tentano di annientare i valori più sacri determinati dalla natura e dalla legge divina. P. Angelo Sardone