«Per amore di Giacobbe, io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca» (Is 45,4). La storia del popolo d’Israele nel Vecchio Testamento viene retta da Dio, da Lui regolata e risolta soprattutto nei momenti più bui. L’esperienza della cattività babilonese ad opera del re Nabucodonosor, dal 587 al 538 a.C. risultò purificatrice per il popolo. Dopo questo tempo il Signore permise che tornasse a Gerusalemme con una soluzione politico-teologica di un altro re, Ciro il Grande, che si ritrovò ad essere l’uomo della provvidenza e della liberazione. Secondo l’oracolo di Isaia, l’iniziativa appartiene allo stesso Jahwé che afferma chiaramente di aver preso il re per mano ed avergli affidato il compito molteplice di abbattere le nazioni, sciogliere le cinture dei re, aprire la strada della liberazione. Il piano rientra in una vera e propria chiamata per nome da parte di Dio, una sorta di elezione, ed il conferimento dell’incarico strategico, sebbene il re non conosca Dio. Tutto questo il Signore lo compie per amore del suo popolo e perché tutti i popoli sappiano, dal suo intervento, che non c’è altro Dio. Nelle mani e nel pensiero di Dio, chiunque può diventare strumento adatto di salvezza, anche chi lo conosce. La storia controversa di ogni tempo, anche se scritta dagli uomini con le loro scelte buone o cattive, viene considerata da Dio nel pieno rispetto della libertà concessa alle creature ed alla conseguente loro responsabilità nella scelta del bene o del male. Non si può comprendere diversamente, se si pensa ai momenti più tragici del popolo eletto anche ai nostri giorni. Dio permette: non vuole il male. L’uomo di sempre si assume allora la pena responsabilità delle sue scelte. P. Angelo Sardone