Il vecchio ed il nuovo Adamo

«Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia. Come regnò il peccato, così regni anche la grazia per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore» (Rm 5,20-21). S. Paolo conclude così il parallelo avviato in termini di contrasto con precedenti affermazioni che fanno riferimento ad Adamo, il capostipite della razza umana e a Gesù Cristo, il nuovo Adamo. Tutta l’umanità porta le conseguenze del peccato originale del progenitore: la condanna e la morte. Mediante la fede in Cristo, porta invece le conseguenze della sua azione salvifica. Ciò che Dio ha operato con la grazia in Cristo è infinitamente più grande del peccato di Adamo e dell’intera umanità. Il peccato che provoca la morte è stato distrutto dalla grazia offerta da Gesù che ha attuato la grandiosa opera della redenzione mediante la sua morte. Obbedienza e disobbedienza sono come i poli dell’intera vicenda umana: la prima nasce dalla fiducia in Dio e dalla sua gratuita azione d’amore; la seconda dall’irresponsabile autonomia da Lui e dal suo rifiuto. Ciò ha dato origine al fallimento dell’uomo e del mondo. La storia umana alla luce di Dio si inquadra tra il primo e il secondo Adamo, il peccato e la gratuita redenzione e rivela che è sostenuta da un grande Amore di misericordia che trasforma il peccato in grazia. Sono concetti fondamentali che fanno parte di una catechesi che non può essere assunta e fatta propria con un’attenzione e conoscenza profonda, cose che spesso mancano anche nei buoni cristiani. P. Angelo Sardone

Abramo, padre nella fede

«Abramo credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli» (Rm 4,18). Abramo è l’uomo della fede. Questa prerogativa gli è riconosciuta dalla Storia sacra che più volte a lui fa riferimento.

Le sue gesta narrate nel Libro della Genesi si ripercorrono costantemente nel ritmo storico successivo e, nel Nuovo Testamento, trovano adesione piena da parte di Gesù, da S. Paolo, dall’autore della Lettera agli Ebrei. In particolare S. Paolo nella trattazione della fede presenta la sua identità di padre di tutti i credenti, di tutti i giustificati, in base proprio alla fede che è l’elemento determinante in Lui e nei suoi figli. Aprendosi a Dio ed accogliendo la sua Parola e le sue indicazioni, Abramo credette fermamente e si abbandonò in Lui con una fede che supera quanto umanamente una persona potesse pensare: lascia il suo paese, non esita a sacrificare suo figlio Isacco: non sta a discutere, si affida. La fede lo aiuta a superare le difficoltà, a fare riferimento costante all’onnipotenza di Dio ed alla sua fedeltà. Questa sua prerogativa continua per tutta la sua discendenza, il nuovo popolo dell’Alleanza, la Chiesa, e fa in modo che i cristiani siano davvero “eredi”. Vero ed effettivo erede è Cristo e l’uomo associato a Lui. Cristo è legato ad Abramo fino ad essere, secondo il pensiero di Paolo, la discendenza unica dello stesso Abramo. È davvero grande la nostra dignità di cristiani! Ma quanto è importante prenderne coscienza attraverso una conoscenza adeguata e profonda che passa attraverso l’ascolto della Parola di Dio e la catechesi. P. Angelo Sardone

Santa Teresa la Grande

«A chi lavora, il salario non viene calcolato come dono, ma come debito» (Rm 4,4). Gli antichi romani avevano coniato il termine salario, derivazione di “sale”, intendendolo come “razione di sale” o indennità concessa a funzionari statali per poter acquistare il sale o altri generi alimentari. Col tempo è diventata la rimunerazione dovuta al lavoratore per il lavoro prestato onde assicurargli una vita dignitosa. Anche sul versante spirituale e religioso come rilevato da S. Paolo, il Signore lo riserva non come dono, ma addirittura come “debito”, tanto è grande la considerazione che Egli ha della nobiltà del lavoro e della giusta ricompensa a chi lo presta con onestà e dedizione. Un salario davvero abbondante il Signore ha riservato alla santa di cui oggi si celebra la memoria, una delle mistiche più note e più grandi, S. Teresa d’Avila (1515–1582), dottore della Chiesa, donna di uno straordinario percorso interiore, riformatrice insieme con S. Giovanni della Croce dell’Ordine del Carmelo. Riportò la sua profonda esperienza mistica in diverse opere dottrinali tra le quali spicca “Il castello interiore”, un vero e proprio itinerario di elevazione dell’anima alla ricerca di Dio attraverso sette passaggi. Fu anima profondamente contemplativa e fortemente attiva, fondendo i due elementi nell’attuazione del disegno di Dio in un’altalena di desideri, resistenze alla grazia, conversione, delusioni, responsabilità organizzativa e realizzazione della perfezione nell’intimità con Dio. La sua testimonianza ancora oggi fa breccia nel cuore di uomini e donne che seguendo la spiritualità del Carmelo, guardando a Maria, realizzano una santità che è il compenso di Dio a tanto impegno e dedizione alla causa del Vangelo. Auguri a tutte coloro che ne portano il nome, perché ne seguano le orme. P. Angelo Sardone

La giustificazione di Dio

«Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia» (Rom 3, 23-24). La situazione del peccato ha degradato completamente l’uomo ed ha distrutto in lui la gloria di Dio, ossia la partecipazione a quanto aveva ricevuto da Lui nella creazione a sua immagine e somiglianza. In questo contesto, come nella lettera ai Galati, S. Paolo introduce un concetto importante del Nuovo Testamento, non di facile ed immediata comprensione, la giustificazione. Il suo significato biblico, di natura giuridica, è quello di ritenere giusto, non perseguibile penalmente e nel contempo di evidenziare un titolo di privilegio in chi osserva la Legge di Dio. Paolo afferma che nessuno è giusto, tutti sono peccatori e la Legge e le opere della legge non ottengono la giustizia. Questa può essere ottenuta solo attraverso la fede in Cristo. Pertanto non è opera dell’uomo né merito suo: Dio solo giustifica l’uomo in maniera gratuita attraverso la sua grazia per la redenzione operata da Cristo. Il cristiano diviene giusto e liberato dal suo peccato mediante la morte alla carne in Cristo e si salva se è giustificato mediante il sangue di Cristo. La giustizia di Dio si rivela nella crescita della fede e viene dimostrata dalla volontà salvifica di Dio e dal perdono dei peccati mediante la morte redentrice di Gesù. L’opera di Dio è assolutamente gratuita ed è frutto esclusivo del suo amore. Concetti e constatazioni di simile portata possono essere compresi solo in un’esperienza sincera di abbandono al Dio della misericordia e della grazia che fluiscono attraverso i Sacramenti ed una adeguata formazione cristiana. P. Angelo Sardone

Il giudizio altrui ed il giudizio proprio

«Chiunque tu sia, non hai alcun motivo di scusa perché, mentre giudichi l’altro, condanni te stesso; tu che giudichi, infatti, fai le medesime cose» (Rom 2,1). Il riferimento è esplicito per i Giudei, ma si può applicare a ciascun cristiano. Essi, infatti avendo ricevuto la Legge, sono portatori di maggiore luce per vedere e giudicare la moralità delle azioni soprattutto dei pagani. Invece se ne servono per giudicare e condannare gli altri. In fondo ciò rivela un’autentica ipocrisia: si condanna negli altri ciò in cui abitualmente noi stessi cadiamo, vizi e peccati. A tutto questo deve opporsi la verità: il giudizio di Dio è secondo verità ed è di condanna per ogni fatto peccaminoso. Nella sua identità di Salvatore, Dio non ha fretta, ha pazienza, sa attendere e non si abbassa alle piccinerie ed agli schemi umani. La grandezza del Signore sta nel portare l’uomo gradualmente alla conversione: in Lui non c’è alcuna discriminazione preconcetta. Nella misura in cui si comprende, però, nasce una responsabilità maggiore: se ci si irrigidisce e si rifiuta il pentimento e la conversione, si accumula l’ira di Dio per il giorno finale. Una formazione autenticamente cristiana, scevra da emotivi e superficiali concetti di buonismo divino, mette nella condizione di agire con prudenza e di non affrettare giudizi su alcuno, tenendo conto che davvero tante volte si giudica e condanna l’altro di cose che appartengono sistematicamente al proprio modo di agire. Non è semplicemente una malattia psicologica, ma un vero e proprio tarlo spirituale che svuota la mente e la coscienza dal buonsenso e dalla chiarezza e responsabilità morale. P. Angelo Sardone

I vani ragionamenti di chi è lontano da Dio

«Si sono perduti nei loro vani ragionamenti e la loro mente ottusa si è ottenebrata» (Rom 1,21). Il primo capitolo della lettera ai Romani è una lettura quanto mai realista non solo della situazione del tempo di S. Paolo ma anche di quella attuale: gli uomini pur avendo avuto una conoscenza di Dio attraverso le sue opere, non hanno agito di conseguenza. Una società pagana con la mente votata al piacere ed al godimento fa da sfondo alla trattazione teologica che evidenzia la condizione disonorevole di chi si lascia andare in ogni forma di impurità, scambiando la verità con la menzogna. Ciò che maggiormente contrasta con il volere di Dio e la sua amorevole attenzione per le creature è l’empietà e l’ingiustizia che soffocano la vera pietà e la giustizia. Non c’è scusa perché ciò che di Dio si può comprendere è manifesto. La mancanza di gloria e di ringraziamento a Lui ha generato un labirinto di ragionamenti vani ed una ottusità di mente ottenebrata dall’egoismo e dall’edonismo. La situazione è desolante: la sapienza è diventata stoltezza, la gloria di Dio è stata sostituita da una immagine umana, da uccelli, quadrupedi e rettili. L’impoverimento non solo spirituale, ma anche intellettuale ha fatto scendere verso l’idolatria. Fa davvero impressione constatare come queste verità affermate con estrema sincerità e senza paura, siano rivolte ai cristiani di Roma, in genere Giudei passati alla nuova dottrina del Maestro di Galilea, ma non solo a loro. Sono attuali e spietatamente vere anche oggi, la cui società non è da meno di quella della Roma antica. P. Angelo Sardone

La lettera di S. Paolo ai Romani

«Per mezzo di Lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli» (Rom 1,5). Nell’inverno del 57/58 da Corinto, in partenza per Gerusalemme, Paolo scrive agli abitanti di Roma. Qui era viva ed operante una comunità cristiana. Aveva avuto notizie di essa da Aquila e Priscilla. L’importanza di questa comunità è testimoniata anche dalla lunghezza stessa dello scritto, 16 capitoli. Scopo della lettera, solenne ed espositiva, era quello di preannunziare la sua venuta e di preparare ad essa i cristiani. Lo scritto è di una ricchezza straordinaria perché tocca quasi tutti i temi della teologia del Nuovo Testamento. Nell’indirizzo di saluto Paolo si definisce apostolo, un termine di origine giudaica che significa “mandato”, applicato sia a quelli direttamente chiamati e costituiti tali da Gesù, che in senso più largo ai missionari del Vangelo. Paolo fa eccezione perché è stato dotato da Dio di un carisma superlativo nonostante non sia stato cooptato nel gruppo dei Dodici, ma chiamato direttamente da Gesù Cristo sulla via di Damasco e destinato ad una missione universale a cominciare dai cosiddetti “gentili” con il Vangelo comunicato da Dio. Il suo è un atto di culto a Dio. Col Battesimo, diventando cristiani, incorporati in Cristo Re, Sacerdote e Profeta, anche a noi è stato dato il compito di annunciare al mondo le meraviglie del Signore. Si tratta di una vocazione che impegna a vivere e testimoniare la grandezza dell’amore di Dio e la necessità di trasmettere nella verità e carità il Vangelo, con la potenza dello Spirito e la naturale debolezza umana vittima del peccato. P. Angelo Sardone

Vieni e seguimi!

«Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai, poi vieni! Seguimi!» (Mc 10,21). I tre evangelisti sinottici riportano un incontro particolare che Gesù fece con un giovane (Mt), un tale (Mc), un capo (Lc), che gli rivolge la domanda seria e fondamentale per la sua esistenza: «Cosa devo fare per avere la vita eterna?». La tradizione cristiana ha definito da sempre questo il passo del giovane ricco, data la natura e la situazione dell’interlocutore, una pericope a forte valenza vocazionale. Il problema fondamentale del giovane è l’accaparramento della meta finale, la vita eterna. È un giovane buono, bravo, osservante da sempre della Legge di Dio, ma ciò non gli basta, avverte egli stesso una deficienza che può e deve essere colmata. La sua domanda è chiara: cosa mi manca ancora, cosa devo ancora fare per meritare questa meta. È interessante e significativa la dinamica di approccio raccontata da Marco: Gesù lo guarda intensamente, con i suoi occhi gli va dentro l’anima e lo ama, lo folgora cioè col suo amore di benevolenza. Solamente dopo gli risponde con una indicazione precisa e perentoria: «Va! Allontanati da me, allontanati da te, da tutto ciò che è tuo, da ciò che ti appartiene e sul qualche eserciti qualunque forma di egemonia. Liberati da tutto donandolo ai poveri, spogliati di tutto e libererà tende donandolo. Solamente dopo aver fatto questo vieni e seguimi». Non si può seguire Gesù se si è troppo pieni di sé, se si ha il cuore sopraffatto dai desideri di qualunque possesso materiale, culturale, affettivo. Gesù vuole il cuore libero, capace di seguirlo, vuole un cuore vuoto per poterlo riempire del suo amore, del suo zelo, della sua passione. Se il cuore umano è pieno di sé, ci sarà forse posto per una creatura od un bene, ma non per Dio ed il vero bene. P. Angelo Sardone

XXVIII domenica del Tempo Ordinario

La prudenza e la sapienza sono frutto della preghiera e sono di valore inestimabile. L’amore per loro supera quello per la salute e la bellezza. La luce e la ricchezza che da esse provengono sono incalcolabili e intramontabili. Per avere in eredità la vita eterna bisogna osservare in pieno i Comandamenti di Dio. Talora può mancare ancora una cosa: andare, vendere tutto quello che si possiede e darlo ai poveri, e solamente dopo tornare e seguire Gesù. Il giovane, penetrato nell’intimo dallo sguardo misericordioso e amorevole di Gesù, non è in grado di fare questo e ne va via triste perché è ricco. Chi lascia ogni cosa per amore di Gesù e lo segue, trova davvero tutto e viene ricompensato in tutto al cento per uno. Questa è Parola di verità, viva, efficace, tagliente come una spada e penetrante. Di ogni parola ascoltata dobbiamo rendere conto a Dio davanti al quale tutto è nudo e scoperto! P. Angelo Sardone

Il giorno del Signore

«Date mano alla falce, la messe è matura; pigiate, il torchio è pieno e i tini traboccano: grande è la loro malvagità!» (Gio 3,13). Fa un certo effetto leggere parole di questa portata pronunziate direttamente dalla bocca di Dio con la mediazione dell’incauto profeta che si presta a farsi comunicatore di un avvertimento impressionante. Le suggestive immagini tratte dalla natura e dalla vita dei campi, tipiche del nomadismo di Israele, evocano la situazione particolare di un popolo sempre restio alla fedeltà vera, alla perseveranza nel bene, facilmente ammaliato dalle situazioni e convenienze abitative o allertato dalla paura incombente dei popoli vicini. La misericordia di Dio si esprime come giudizio e giustizia in un giorno ed un luogo preciso: la valle di Giosafat, valle della Decisione e il giorno del Signore. La valle di Giosafat nel contesto biblico è la sede del giudizio apocalittico di Jahwé. Il giorno del Signore secondo come già Amos aveva profetato, è giorno di tenebre e di oscurità, giorno di ira feroce che renderà desolata la faccia della terra. Il quadro della profezia odierna è fosco e decisamente pauroso: sono compromessi e coinvolti gli astri del cielo; la voce di Dio diviene come un ruggito di leone. Egli è comunque rifugio e fortezza per chi confida in Lui. Sono sempre attuali queste considerazioni che superano il tempo e delineano la vigilanza di Dio sull’intera umanità. Anche se l’uomo d’oggi non pensa facilmente a queste cose, sono gli stessi avvenimenti a richiamarlo al realismo della precarietà delle cose e della conclusione della vita, sottoposta così minacciosamente alla paura della fine e del giudizio di Dio. P. Angelo Sardone