I santi Simone e Giuda apostoli

«Edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù» (Ef 2,20). Efeso, popolosa città dell’Asia Minore situata alla foce del fiume Caistro, principale porto e centro commerciale dell’Asia, con la sua comunità cristiana avviata da S. Paolo, è destinataria dell’omonima lettera, insieme con altre Chiese asiatiche. Prima Paolo nel corso del suo secondo viaggio missionario, poi Apollo, poi ancora una volta Paolo in due anni di permanenza, insegnarono il Cristianesimo. Nella simbologia paolina, ogni comunità cristiana ha il suo fondamento spirituale sugli apostoli ed i profeti che si sorreggono sulla pietra angolare dell’edificio che è Cristo stesso. È Lui che tiene unite le pareti che in Lui si cementano. Gli Apostoli ed i Profeti sono le nuove generazioni dei testimoni che hanno ricevuto la rivelazione del piano di salvezza di Dio e predicano il vangelo. Tra loro oggi la liturgia ricorda due Apostoli non molto conosciuti: Simone lo Zelota o il Cananeo e Giuda Taddeo, spesso identificati come cugini di Gesù. Nella predicazione del Vangelo Giuda Taddeo si spinse verso l’antica Persia e qui, insieme con Simone predicarono convertendo al Cristianesimo decine di migliaia di abitanti di Babilonia e di altre città. Subirono il martirio a Suanir, in Persia. Nella iconografia cristiana S. Giuda viene rappresentato con una fiammella di fuoco sulla testa, ad indicare lo Spirito Santo ed un medaglione sul petto che riporta il viso di Gesù. P. Angelo Sardone

La Preghiera dono dello Spirito

«Non sappiamo come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26). La preghiera cristiana è fatta di attesa e di speranza. La debolezza propria dell’uomo viene soccorsa da un agente esterno e superiore, lo Spirito Santo che si unisce alla maniera umana e fa desiderare ciò che Dio desidera. L’uomo lasciato a se stesso, vittima della sua sofferenza e succube della potenza del maligno non prega bene, cioè non prega come si addice alla sua condizione di figlio che ha fiducia nel padre ed a lui si abbandona, anzi addirittura può chiedere male (Gc 4,3-5). Lo Spirito che conosce la debolezza umana si inserisce nella dinamica relazionale della creatura col Creatore, diviene mediatore di preghiera e la esprime a suo vantaggio. L’intervento dello Spirito si compie nel cuore e nella mente dell’uomo, nella sua personalità più completa, realtà accessibili a Dio e si realizza con gemiti che l’uomo non può comprendere. Se non interagisse lo Spirito Santo la preghiera sarebbe solamente un costrutto umano, un imparaticcio, come lo definirebbe Isaia. Dio che conosce nell’intimo ogni uomo, nei suoi aspetti più reconditi e talvolta nascosti, accoglie l’azione dello Spirito, i suoi pensieri e le sue aspirazioni a favore dell’uomo, cose che rientrano nel piano di salvezza. Se il peccato continua ad offuscare la voce dello Spirito, si corre il rischio di formulare pensieri e parole vuote, che non sono preghiera ma ricerca di auto-consolazione e illusorio appoggio di sentimenti e di sensazioni accomodanti. P. Angelo Sardone 

Le sofferenze e la gloria

«Ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi» (Rm 8,18). Nelle Lettere di S. Paolo spesso le situazioni di attualità si proiettano o si contrappongono con quelle definitive, lasciando intravvedere una tensione verso il futuro. Ciò esprime speranza ed attesa. Guardando Gesù Cristo e considerando il suo amore manifestato con l’umiliazione della croce e la sua glorificazione, le sofferenze del momento, per quanto grandi possano essere, non sono paragonabili alla gloria futura verso la quale tendono e si collegano. Essa sarà manifestata in pienezza nella risurrezione personale. La sofferenza e la gloria sono elementi di un polarismo che si integra e si ampia nelle categorie spazio-temporali. La sofferenza è compagna stabile dell’uomo nel tempo della vita: ogni cosa creata soffre, proprio come le doglie del parto, nel dinamismo della rigenerazione. La gloria si riferisce alla vita futura. La sofferenza dell’umanità di sempre, immersa nella caducità e nella corruzione delle cose, è determinata dall’attesa della salvezza. Ma Dio non è lontano. L’adozione a figli elude la lontananza per mezzo di Gesù che ha compiuto le promesse del Padre. L’attesa fa parte anch’essa dell’uomo e della cronologia della sua storia. Si vive nella fede e non nella visione, attendendo la pace e la gioia duratura. Un grande senso di speranza deriva da queste considerazioni, conforta nelle tribolazioni attuali e le proietta con fiducia verso le cose ultime come il compimento ed il fine stesso della vita. P. Angelo Sardone

La carne e lo Spirito: lotte e trionfi

«Se vivete secondo la carne, morirete. Se mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete» (Rm 8,13). Attenta e puntuale risulta la disamina di S. Paolo nella delicata trattazione agli abitanti di Roma degli elementi di novità che devono contraddistinguere i cristiani dai pagani. La dialettica della carne (la parte inferiore dell’uomo) e dello Spirito (la parte superiore) e le conseguenti loro opere, lo vedono appassionato assertore della verità e di affermazioni perentorie contro le falsità determinate dal modo perverso di vedere e giudicare le cose sante. Se i cristiani vivono secondo la carne, cioè secondo le tendenze istintive e passionali che degenerano in lussuria, potere sfrenato, dominio e possesso, avranno la morte spirituale, cioè la morte eterna. Se invece, per la forza dello Spirito e le sue tendenze faranno morire in se stessi le azioni del corpo, cioè se sapranno tenere sotto controllo le pulsioni istintive determinate dalla concupiscenza e dire no alle inclinazioni di passioni ed istinti legati prevalentemente alla corporeità, al mondo, ed a se stessi, si acquisteranno la vita eterna. La corporeità è di grande valore umano e spirituale: non si tratta di annullarla ma di evitare comportamenti ed azioni asservite agli istinti più bassi di egoismo e di sopraffazione sugli altri. I peccati sessuali disonorano il corpo. La meraviglia che si prova dinanzi alle cose create non deve far sfuggire quella che si prova guardando a se stessi (S. Agostino). Mediante l’unione a Cristo il corpo risorge a vita nuova ogni giorno ed esprime tutta la bellezza della libertà del vero amore che è dono, sacrificio, impegno, responsabilità. P. Angelo Sardone

Il ritorno in Israele guidato da Dio

«Li ricondurrò a fiumi ricchi d’acqua per una strada dritta in cui non inciamperanno» (Ger 31,9). Il compito del profeta è annunziare una parola non sua, mettendo a disposizione del Signore la sua vita, la sua mente, la sua bocca, in perfetta obbedienza. Tra i quattro profeti maggiori svetta Geremia (650 a.C.), un uomo la cui vita corre di pari passo con le vicende storiche del suo popolo. Gli avvenimenti della sua vita personale sono noti più di ogni altro profeta. Nonostante sia portatore di una parola spesso dura e riprovevole per una genìa di ribelli, nella tenerezza del suo cuore si lascia andare ad espressioni di grande speranza e di fine delicatezza. La salvezza viene da Dio che raduna il popolo da ogni parte ed in ogni condizione sociale e fisica e lo riporta ad una situazione di prosperità e di sicurezza. I termini ricalcano il pianto, la gioia, la prosperità delle acque rigogliose dei fiumi, la strada del ritorno, senza pericoli. È il peccato che rende l’uomo vittima di se stesso ed in balia delle sue ambizioni e traviamenti. La fiducia e l’abbandono nelle mani di Dio, sortisce l’effetto della benevolenza del Signore che è Padre e che come tale non fa mancare mai ai figli il necessario per una vita serena e per un ritorno adeguato a Lui. Nel cammino di fede bisogna avanzare, anche quando si è zoppi, ciechi, inadeguati ad un progetto d’amore e ci si sente immeritevoli di perdono. È il Signore e Lui solo che salva: tutti gli altri, sacerdoti compresi, sono mediatori e strumenti, non salvatori, né miti, ma semplicemente persone dotate di compassione, rivestiti loro stessi di debolezza. P. Angelo Sardone

Sintesi liturgica XXX domenica del Tempo ordinario

Il Signore, Padre d’Israele, invita a cantare ed esultare perché salvando il resto del suo popolo, lo raduna in gran folla da tutte le parti conducendolo per una strada dritta non più nel pianto ma tra le consolazioni. A Gerico, Gesù, rispondendo alla richiesta gridata da Timeo divenuto cieco, lo guarisce per la sua fede. La guarigione diviene per lui salvezza e motivo di sequela del Maestro. Cristo, Figlio di Dio è il sommo sacerdote che, dichiarato tale dal Padre, sente giusta compassione per gli ignoranti e gli erranti, essendosi rivestito di umana debolezza trasformata in gloria nel mistero della Redenzione. P. Angelo Sardone

La carne e lo Spirito

«Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi» (Rm 8,9). L’attenta disamina di Paolo nel superamento della contrapposizione tra il bene ed il male, il peccato e la grazia, la carne e lo spirito, gli consente di descrivere ai Romani in che cosa consiste la vita del credente nello Spirito. Attraverso il Battesimo, infatti, viene donata al cristiano una vita nuova per la quale, morto al peccato ed alle opere della carne, è una creatura nuova generata per la giustizia e la santità della vita. Se il signore della vita è la carne, la passione, la sfrenata lussuria, l’uomo è sua vittima ed agisce secondo le esigenze della carne. Ma se signore è lo Spirito, l’uomo si muoverà nella sua direzione. La carne ed i suoi derivati nell’ordine spirituale e morale, ha certamente desideri di bene, ma essendo debole non riesce ad attuarli, anzi, talora li manifesta ed attua contrari allo Spirito. L’aiuto per equilibrare questa situazione e superare la cocente contraddizione, Dio l’offre venendo in aiuto alla debolezza dell’uomo e donandogli lo Spirito Santo. La rinascita nello Spirito che è lo Spirito di Cristo e Dio stesso, è avvenuta nel Battesimo: per questo Egli abita in noi e ci rende creature nuove. La signoria, ossia il dominio dello Spirito non schiaccia ma solleva, non vincola ma libera, fa comprendere che «siamo qualcosa e non tutto» (Edith Stein). È speranza e certezza di essere incamminati verso il cielo, svincolati da tutto ciò che forza ed abbarbica al finito e ci fa esistere, vivere e muovere in Dio, pur calcando le zolle e le strade della terra. P. Angelo Sardone

La lotta per operare il bene o il male

«In me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7,18-19). Da fine conoscitore dell’uomo, sulla base della sua personale esperienzaS. Paolo descrive così con chiarezza il cuore dell’uomo. In lui, infatti c’è il desiderio del bene, la promessa di farlo, consapevole della sua portata e ricchezza, ma poi si avvede di non riuscire a farlo perché sopraffatto dal peccato che lo induce al male che non vuole. Nel cuore dell’uomo il peccato forma una “legge di concupiscenza”, laddove il desiderio-volere e il fare spesso non coincidono. Ciò evidenzia il conflitto tra la legge di Dio, la “legge della mia mente” e l’altra legge “che rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra”. L’uomo possiede la capacità di distinguere il bene e il male, con la ragione conosce e approva i mezzi migliori per raggiungere il proprio fine. Ma poi segue il male. Ovidio, un poeta latino del I secolo a.C. nella sua opera “Le metamorfosi” mette sulla bocca di Medea che per l’amore di Giasone viene meno ai proprî doveri verso il padre e la patria, queste parole: «Vedo le cose migliori e le approvo, ma seguo le peggiori». Anche il poeta italiano Francesco Petrarca ripete quasi alla lettera nel suo Canzoniere: «E veggio ’l meglio, et al peggior m’appiglio». Si vive allora una sorta di discolpa, perché se ci si trova a fare ciò che non si vuole, non ci si sente responsabili: la colpa e la responsabilità è del peccato. Sono pensieri che rispecchiano l’opinione comune di ogni tempo. La libertà da questo labirinto inestricabile è opera di Gesù Cristo nella misura in cui davvero a Lui ci si affida. P. Angelo Sardone

Schiavitù e libertà nel servizio

«Parlo un linguaggio umano a causa della vostra debolezza» (Rm 6,19). Le Lettere di S. Paolo contengono un alto contenuto teologico di non sempre facile ed immediata comprensione. Scritte sotto ispirazione divina, sono anche indice dell’elevatezza espressiva del lessico spirituale che si coniuga con l’accezione dei concetti alla portata dei lettori, non tutti letterati, colti o teologi. Il linguaggio adoperato, soprattutto per concetti di alto profilo spirituale, si adatta alla debolezza del pensiero e della comprensione. Schiavitù e servizio sono poli importanti nelle relazioni con gli altri e determinano l’ambivalenza del vittimismo, se schiavi, di collaborazione, nel caso del servizio. Il servizio di Dio è segno di una libertà conquistata dall’uomo, sulla base del riconoscimento della sua grandezza e del suo potere. Se ci si allontana da Dio, soprattutto con una vita moralmente dubbia, liberi da ogni vincolo, si rischia di cadere nella empietà e nella stoltezza più grande. Il vero bene dell’uomo è stare vicino a Dio e servirlo nella santità della vita e nella giustizia delle proprie azioni e comportamenti. Quando si è schiavi della carne si è vittime della impurità e dell’iniquità. Quando si è liberi dal peccato, si diviene servi di Dio e si producono frutti di santità che mirano alla vita eterna. Non si può vivere in una disordinata ambivalenza tra il peccato e la grazia: a meno che non si faccia una scelta ben precisa per l’una o l’altra realtà. Ciò che nuoce soprattutto oggi, è il facile ed opportunista accomodamento che mentre dà l’impressione di vivere la libertà e nella libertà, rende schiavi e servi del peccato e di un lassismo pericoloso che rende sterile qualsiasi azione spirituale. P. Angelo Sardone

Il peccato passa attraverso il corpo

«Il peccato non regni più nel vostro corpo mortale, così da sottomettervi ai suoi desideri» (Rm 6,12). Il luogo dove si annida e si esprime il peccato è il corpo mortale, mente, cuore e carne, sentimenti ed azioni da esso provenienti. Il peccato è derivante dall’ingiustizia e la provoca: le membra se offerte al peccato sono strumenti di ingiustizia, ma se sono offerte a Dio sono strumenti di giustizia. Ciò è determinato dalla grazia e così il peccato non potrà dominare. La schiavitù dal peccato o dalla grazia, dipende dalla libera scelta dell’uomo e dalle sue convinzioni più o meno motivate. S. Paolo affronta diffusamente nei suoi scritti la problematica del corpo, della carne e dei rispettivi desideri, chiarendo le debite distinzioni e i traguardi verso i quali essi portano in contrapposizione allo Spirito. Per la risurrezione di Gesù il cristiano non appartiene più al peccato, alla legge ed alla morte, ma vive nella e dalla Grazia che da Lui proviene. Il Battesimo fa morire l’uomo vecchio e dà vita all’uomo nuovo. Dio ha donato il suo Figlio per portare al mondo la salvezza e non permette che alcuno dei suoi figli si perda. Questa è la speranza e la certezza di vita dei rinati in Cristo che porta come conseguenza la lotta al lassismo in tutte le sue espressioni, in forza dell’amore di Dio e della testimonianza da offrire. Corpo ed anima sono votate alla giustizia ed alla grazia e non al contrario, fino a diventare schiavi della grazia e dell’amore. Verità di così alta densità teologica devono diventare oggetto di riflessione continua, con l’aiuto di persone competenti che stemperino l’eventuale difficoltà di comprensione ed aiutino ad immergersi nella luce che su di esse viene da Dio. P. Angelo Sardone