4ª domenica di Avvento

La profezia di Michea dice che a Betlemme di Èfrata, un villaggio della terra di Giuda, nascerà il Messia, il dominatore in Israele, attraverso “la donna che deve partorire”. Elementi propri del suo dominio saranno la forza del Signore, la maestà del suo nome e la pace che con Lui si identificherà. Nel tempo stabilito da Dio, Maria di Nazaret, levatasi dallo straordinario evento dell’Incarnazione del Verbo, in fretta si dirige ad Ain Karin, nella Giudea da sua cugina Elisabetta gravida al sesto mese. L’incontro tra le due donne è sincrono con quello del bambino che entrambe portano in grembo. Lo Spirito Santo investe l’anziana cugina che pronunzia parole profetiche di eccezionale portata teologica. Maria è definita “benedetta e beata”. Il salmo 39 di Davide evoca la venuta di Cristo nel corpo preparato da Dio, come risposta e disponibilità a compiere la sua volontà in un nuovo e più perfetto sacrificio santificatore. P. Angelo Sardone

La novena del Santo Natale

«Non sarà tolto lo scettro da Giuda finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli» (Gen 49,10). Fin dai tempi più antichi, dal libro della Genesi, viene preconizzata la venuta del Messia della tribù di Giuda, Re e Signore della storia. Come nelle grandi feste, a cominciare dalla discesa dello Spirito Santo nel Cenacolo di Gerusalemme dove fu vissuta per la prima volta nell’era cristiana, la preparazione al Natale è caratterizzata dalla Novena, un tempo di nove giorni che serve per comunicare ai fedeli le ricchezze della tradizione e della devozione. Essa si caratterizza particolarmente con la Liturgia che nei giorni che vanno dal 17 al 23 dicembre, è solennizzata dalla celebrazione dei Vespri con le cosiddette “antifone maggiori” che cominciano tutte con l’esclamativo «O». Da sempre la Novena del Natale in ogni parte del mondo si distingue anche con l’apporto della tradizione popolare e l’utilizzazione di alcuni elementi molto cari al popolo di Dio ed ai suoi sentimenti. In concordanza con la spiritualità di S. Annibale M. Di Francia, innamorato di Gesù Bambino, propongo la Novena di tradizione tipicamente siciliana così come fu vissuta e praticata dal santo Fondatore dei Rogazionisti e delle Figlie del Divino Zelo, e come ancora oggi è realizzata dalle rispettive loro comunità. Si tratta di una forma semplice, con elementi simbolici e propri della grotta di Betlemme, che, adeguatamente armonizzati con la preghiera liturgica ed una buona riflessione, può determinare e far praticare una sana devozione. P. Angelo Sardone

Dio non abbandona mai!

«Come una donna abbandonata, ti ha richiamata il Signore. Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti raccoglierò con immenso amore» (Is 54,6-7). Il linguaggio profetico è fortemente colorato da tinte profondamente umane che rendono il messaggio più comprensibile nel lessico e nella simbologia adoperata. Spesso il Signore si rivolge al suo popolo come ad una donna nelle sue diverse tipologie di vergine, maritata, florida, sterile, giovanetta, matura. Sempre presente è comunque l’invito di speranza di Dio e del suo profeta al popolo di ieri e di oggi che sembra senza futuro e vive l’angoscia della deportazione e dell’abbandono. Egli si presenta come il creatore, il condottiero degli eserciti, il redentore, e, soprattutto, lo sposo. Offre le sue garanzie: la donna abbandonata sarà da Lui raccolta con amore immenso; lei alla quale è stato nascosto per poco il suo volto, sarà oggetto della pietà senza più ira e minacce. La sua afflizione e sconsolazione, determinate dai turbini della vita, saranno superate da una vita nuova fondata sulla preziosità come i zaffiri e lo stibio, un elemento chimico abbastanza solido. All’abbandono sciagurato della legge di Dio segue la desolazione, superata però dalla costante presenza di Dio che ama teneramente e profondamente. La tenacia dell’amore di Dio continua a manifestarsi in ogni tempo ed in ogni luogo con la prospettiva del benessere della vita e la solidità della fede. Ma ciò non basta: occorre la corrispondenza perseverante dell’uomo basando il tutto sulla fiducia e sul suo abbandono filiale. P. Angelo Sardone

Sono Io che ti guido

«Io sono il Signore, non ce n’è altri. Fuori di me non c’è altro dio, un dio giusto e salvatore» (Is 45,21). All’accorata preghiera con la quale il profeta chiede ai cieli di stillare dall’alto perché le nubi facciano piovere la giustizia e la terra produca la salvezza, fa seguito una dichiarazione perentoria di Jahwé: «Io sono il Signore, che ho creato ogni cosa, la terra, la luce, le tenebre e tutto ho reso stabile». Ed ancora: «Io sono il Signore, non ce n’è altri. Fuori di me non c’è altro dio». È interessante ed importante che in un contesto liturgico che prepara al Natale queste affermazioni esprimano con chiarezza verso chi si va e chi si attende nel mistero. “Il nostro Dio non è una statua”, faceva cantare con profonda acutezza teologica negli anni ’70 il maestro Marcello Giombini in uno dei suoi Salmi per il nostro tempo; “ha occhi per vedere, ha orecchi per sentire, ha un cuore per amare”. Lo stereotipo di un dio staccato da noi, relegato nella storia e nel tempo, lontano dai problemi umani o addirittura tollerante o ingiusto in riferimento alla vita ed alla morte ed alle sorti dei viventi, non si allinea affatto con il sentire teologico di un Dio la cui carne si è fatta visibile nel Figlio dato al mondo, il cui cuore ed il cui corpo si sono addossati i travagli dell’uomo a cominciare dal peccato che causa la sofferenza e la morte. Occorre allora riconoscere solo in lui la giustizia e la potenza, coprendosi di vergogna, quando si arde invece di ira contro di lui. Gli stravolgimenti della natura e della vita dell’uomo sono le conseguenze naturali di scelte folli e sciagurate che l’uomo continua a compiere anche oggi in nome dei diritti civili e di una assoluta autonomia da Dio. P. Angelo Sardone