La vera saggezza

«Chi tra voi è saggio e intelligente? Con la buona condotta mostri che le sue opere sono ispirate a mitezza e sapienza» (Gc 3,13). Il principio dettato dalla natura che attraverso i frutti si valuta la bontà di un albero, si applica anche agli uomini. La verità e la genuinità delle persone, i cristiani, soprattutto quelli che sono ritenuti saggi ed intelligenti, sapienti e maestri nella fede, si valutano dalla loro condotta. Da essa infatti traspare una operosità ispirata alla mitezza ed alla sapienza. Spesso proprio nei contesti ecclesiali dove facilmente chi guida e comanda può dare prova di riconosciuta saggezza, fa acqua proprio questo elemento che si fonda su una verità di essere ed una di agire. Non sono certo le belle parole, a volte anche melliflue, che accarezzano le orecchie pudiche di tanti cristiani che amano la leggerezza e la superficialità, a convincere e determinare le altrui scelte di vita. Le parole dolci ed accattivanti, anche da parte di consacrati, condite da gesti ed atteggiamenti fuori posto, sono spesso frutto di scarsa sensibilità pastorale ed ancor più di scadente attenzione di cura reale della salvezza delle anime. A volte sono forme egoistiche di tornaconto narcisistico che alimentano il fascino estetico e lauti favoritismi. Ne è prova il fatto che attività ed insegnamenti protratti per anni non fanno approdare a nulla di stabile e continuativo, ma a semplici e passeggere emozioni sentimentali. La vera saggezza si misura dall’opera concreta che, soprattutto per un sacerdote, consiste nella ricerca del vero bene delle anime, nella loro introduzione al cammino di santificazione e nella paziente e costante loro sequela. P. Angelo Sardone

I consacrati non si toccano

«Chi mai ha messo la mano sul consacrato del Signore ed è rimasto impunito?» (1Sam 26). L’aspra lotta ingaggiata da Saul nei confronti di Davide, ha risvolti particolari. Innanzitutto l’amicizia con Gionata che fa da cuscinetto tra il padre re e l’amico Davide. Poi, la coscienza di essere stato predestinato dal Signore a succedere nel regno, non permette a Davide di alzare la mano vendicativa contro Saul e neppure di farla alzare. L’episodio raccontato dal cronista del primo Libro dei Re è emblematico. Saul andò in battaglia contro Davide con tremila persone. Nel corso della notte mentre egli dormiva spossato dalla fatica, Davide insieme con Abisai fecero un’incursione tra le truppe e si trovarono proprio davanti al re che dormiva profondamente con la lancia infissa a terra vicino al suo capo. Dinanzi all’affermazione entusiastica del capo del suo esercito che vedeva propizia la situazione per sbarazzarsi finalmente del furente re nemico con la stessa sua lancia, Davide lo impedì fermamente affermando con vigore che non si può e non si deve mettere mano sul consacrato del Signore perché non si rimane impuniti. L’atteggiamento e la risoluzione di Davide, in piena consonanza con le indicazioni riportate dalla Legge, ha bisogno di essere rivisitato nel mondo d’oggi, incline e facile a mettere mano con azioni e parole a volte anche dure, senza discriminazione alcuna, su tutti, consacrati compresi, a cominciare dal Papa. Non si uccide solo con la lancia ma anche col pregiudizio, con la critica sferzante, col risentimento e la disobbedienza. Anche se Dio non è vendicativo, non si rimane impuniti. P. Angelo Sardone

Maestri e testimoni

«Non siate in molti a fare da maestri, sapendo che riceveremo un giudizio più severo: tutti infatti pecchiamo in molte cose» (Gc 3,1). Chi ha l’ufficio di fare da maestro in comunità con la parola o con lo scritto, corre sempre dei rischi. Il primo è la responsabilità, perché per la conoscenza che ha delle situazioni e delle persone e per il tipo di intervento che fa, viene facilmente giudicato. Il secondo è quello del peccato di lingua, senz’altro rilevante tra i peccati che in genere si commettono. Uno che non sbaglia nel parlare può essere ritenuto un buon cristiano. Può avere il merito di dominare se stesso se si serve della parola senza venir meno alle esigenze morali della legge di Dio, soprattutto quelle della carità. Il termine maestro, «dopo quello di padre, è il più nobile, è il più dolce nome che si possa dare ad un uomo» (Card. G. Ravasi). Non tutti possono fare da maestri, né tanto meno è semplicemente un ruolo o un ufficio a qualificare una persona come tale. «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o, se ascolta i maestri, è perché sono dei testimoni» diceva S. Paolo VI. Il minuscolo organo della lingua ha una capacità creativa ma anche distruttiva, può condizionare la vita di chi l’adopera e di coloro ai quali sono indirizzate le parole. Il libro dei Proverbi ammonisce: «morte e vita sono in potere della lingua» (Prov 18,21). Il potere della lingua è simile a quello del fuoco che ha vita anche da una piccola scintilla. Grande è il dovere e la responsabilità di chi è chiamato a fare da maestro nella società ed anche nella Chiesa! Ma anche da parte di chi ascolta o meno! P. Angelo Sardone

La fede e le opere

«L’uomo è giustificato per le opere e non soltanto per la fede. Come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta» (Gc 2,26). È stato sempre avvincente ed attuale il rapporto fede-opere. La lettera di Giacomo, con la sua mentalità molto concreta, onde spingere i cristiani a praticare in maniera decisa il Cristianesimo, afferma in maniera categorica che la fede senza le opere è morta. Fede ed opere sono inseparabili. Una fede che si basa solo su ciò che afferma ed alla quale non corrispondono opere pratiche, è inutile. L’amore verso il prossimo che non va incontro alle reali esigenze dell’altro è inesistente. La massima riassuntiva delle sue affermazioni, facendo riferimento all’esempio del corpo e dello spirito è perentoria: come il corpo senza il soffio vitale dello spirito è morto, così la fede senza le opere è incompleta, inerte, è morta. Il punto di vista di Giacomo è complementare a quello di Paolo; sono frutto di due diverse personalità con mentalità diverse. Per il primo la fede è veramente perfetta quando si concretizza con le opere ed in esse si realizza. Per il secondo, la fede è la totale adesione a Dio. Per il cristiano valgono entrambe le affermazioni, nella misura in cui, con l’ascolto fedele della Parola di Dio e la pratica della vita sacramentale, si radica nella fede in Dio, e con le opere concrete dettate dalla legge naturale, da quella positiva dei dieci comandamenti e dal buonsenso, traduce ciò in cui crede in ciò che vive. La lex credendi deve diventare lex vivendi. P. Angelo Sardone

I sette santi fondatori

«Dio ha scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano» (Gc 2,5). Facendo un discorso generale sul comportamento di chi ha la fede, Giacomo esorta ad avere un atteggiamento opportuno riguardo alle persone ed all’assemblea liturgica, dal momento che la fede deve essere espressa nelle opere e viceversa. I riguardi indebiti ed i favoritismi sono contrari alla linea di Dio e mettono chi li pratica, fuori del contesto della fede. Chi vive nella fede ha un’ottica molto diversa da quella del mondo. I poveri sono i destinatari del Vangelo: a loro Dio destina l’eredità del Regno perché sono liberi dai legami terreni e la loro povertà diventa ricchezza. I ricchi al contrario che trattano male i poveri sono da considerare fuori da un contesto di benevolenza da parte di Dio. Oggi la Chiesa ricorda i sette Santi Fondatori, mercanti, devoti della Vergine Maria, che mossi dall’ideale della comunione fraterna e del servizio ai poveri il 1245 si ritirarono sul monte Senario nei pressi di Firenze. Adottarono la Regola di sant’Agostino e diedero inizio all’Ordine dei Servi di Maria. Erano Bonfiglio, il primo priore, Bonagiunta, Manetto, Amedeo, Sostegno, Uguccione, Alessio Falconieri. La loro vita aveva quattro aspetti ed impegni concreti: la Chiesa, il bene degli altri, la venerazione della Vergine, il cammino di santificazione. Caratteristiche proprie erano la severa penitenza e la scelta della radicale povertà con un vero e proprio «atto». Furono proclamati santi tutti insieme nel 1888 da Leone XIII. La loro testimonianza è ammirevole ed attuale: furono poveri per i poveri. P. Angelo Sardone

Parola ascoltata, parola eseguita

«Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi» (Gc 1,22). Trattando l’importanza della Parola di Dio nella vita del cristiano, nell’intento di far comprendere la necessità della sua attuazione e facendo eco a quanto già Gesù aveva insegnato con autorità, S. Giacomo innanzitutto esorta ad ascoltarla attentamente e ad osservarla. La Parola di Dio deve essere letta, meditata, vissuta perché porti come frutto l’osservanza, cui si associa la coerenza di metterla in pratica. L’inganno a volte sta proprio nell’ascoltarla in maniera superficiale, pensando che ciò sia sufficiente: in questo modo è come se si aggirasse Dio pensando così di accontentarlo. Per il cristiano la Parola di Dio è lampada dei passi e luce sul cammino, strumento fondamentale nel processo della sua formazione e della trasmissione della fede, a partire proprio dall’ascolto. Nel libro del Deuteronomio il verbo «ascoltare», ricorre ben 86 volte. Secondo S. Giacomo se l’ascolto non si concretizza nella pratica, rimane un ascolto vuoto, ingannevole ed illusorio. A riprova di ciò egli porta l’esempio dello specchio nel quale uno considera le fattezze del suo volto e poi se ne va dimenticando ciò che ha visto. L’idea di sé è superficiale ed effimera, simile ad un progetto pure ben fatto ma senza esecuzione. La lettura giornaliera della Parola favorisce la sua conoscenza e la sua attuazione. Il nostro mondo spesso è distratto e superficiale, rifugge dall’apprezzamento di parole che sono impegnative; spesso gli imperativi biblici risultano particolarmente inopportuni. Occorre essere esecutori concreti della Parola e non superficiali per meritare l’encomio della beatitudine. P. Angelo Sardone

Non abbandonarci alla tentazione

«Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno» (Gc 1,13). La Lettera di Giacomo è uno scritto del Nuovo Testamento attribuito a Giacomo fratello del Signore che ebbe un ruolo di primo piano e di direzione nella Chiesa di Gerusalemme. Radicato nel Giudaismo e ritenuto uno delle colonne della Chiesa, prese parte al Concilio di Gerusalemme. La lettera a lui attribuita, molto probabilmente un’antologia di testi o un’omelia destinata ai dispersi delle tribù di Israele, presenta elementi di vita cristiana concreta con alcuni principi molto pratici ed una concezione realistica della vita. Tra i diversi argomenti, proprio all’inizio vi è il tema della tentazione che oltre che dallo stesso uomo, proviene da una forza superiore, il diavolo. La tentazione non viene da Dio perché Dio non può essere tentato, ma da una potenza demoniaca che trova un appiglio ed una base favorevole nella concupiscenza che alberga nell’uomo e che se non è regolata, diventa travolgente ed assillante e lo porta ad ampia peccaminosità. Inoltre Dio non tenta nessuno. La fede viene messa alla prova, superata la quale produce la costanza che dà pieno compimento all’opera divina.  È comunque possibile superare le difficoltà e le prove: la vittoria favorisce l’uomo nel raggiungimento del traguardo escatologico. La prova e la tentazione, passando attraverso il peccato possono portare alla morte. La virtù si sviluppa nella misura in cui si supera la prova. L’uomo è tentato dalla carne, dal diavolo e dal mondo. Dio permette la prova e la tentazione, ma sostiene l’uomo perché “non cada nella tentazione, mediante il fervore della carità” (S. Tommaso d’Aquino). P. Angelo Sardone 

I santi fratelli Cirillo e Metodio

«Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la Parola di Dio» (At 13,46). La predicazione di Paolo insieme con Barnaba è uno dei fenomeni più belli raccontati dagli Atti degli Apostoli e testimonia come dalla Palestina la Parola di Gesù entra nei confini dell’Asia Minore, ad Antiochia di Pisidia e pian piano diviene universale. Con la medesima modalità, nel IX secolo, due fratelli, i santi Cirillo e Metodio, monaco il primo e vescovo il secondo, nati a Salonicco divennero evangelizzatori particolarmente nella Pannonia (l’attuale Ungheria) ed in Moravia (l’odierna parte orientale della Repubblica Ceca). Qui Cirillo che parlava correttamente oltre il greco, il latino, l’ebraico e l’arabo, ideò un nuovo alfabeto per le popolazioni locali con caratteri detti appunto “cirillici”, e provvide alla traduzione dei testi sacri. La loro azione fu non solo spirituale e teologica ma anche fortemente culturale e linguistica, svolgendo un servizio missionario e di unità tra la Chiesa di Costantinopoli e quella di Roma. Morirono a distanza di 16 anni l’uno dell’altro, a Roma ed in Moravia. Autentici apostoli degli Slavi, Giovanni Paolo II nel 1980 li proclamò compatroni dell’Europa. È molto significativo constatare come in ogni tempo la Chiesa in ogni parte del modo, sulla scia dei primi Apostoli, vanta uomini santi ed illustri che accanto ad una ferrea dottrina e preparazione teologica esprimono nel servizio apostolico un’altrettanta profonda cultura profana, linguistica e letteraria con una competenza di alto valore. Ciò le fa onore e conferma come la fede cammini di pari passo con la cultura e la ragione. Oggi si festeggia anche S. Valentino. Auguri a chi porta il nome di questo santo. P. Angelo Sardone

La scissione del regno di Davide

«Ecco, Israele, i tuoi dèi che ti hanno fatto salire dalla terra d’Egitto» (1Re 12,28). Con la morte del re Salomone (931 a.C.) avvenne l’irreparabile. La sua condotta lontana dalla volontà di Dio e dalla purezza del suo culto, provocò la degenerazione del regno e l’intervento di Jahwé. Il regno si sfaldò in due parti: dieci tribù nel nord costituirono il Regno di Israele con capitale Samaria e re Geroboamo, figlio di Nebat. Egli si era ribellato a Salomone per le forti tasse ed i lavori forzati ed era scappato in Egitto. Al sud due tribù (Giuda e Beniamino) col re Roboamo figlio di Salomone costituirono a Gerusalemme il Regno di Giuda. Si provocò così uno scisma prima politico e poi religioso. Ciò andrà avanti così fino al 721 quando Samaria cadrà e il 587 quando Gerusalemme sarà distrutta da Nabucodonosor. Il re Geroboamo per impedire che il popolo tornasse a Gerusalemme, fece costruire i santuari a Dan e Bethel, le estremità a nord e sud del regno e in essi collocò due vitelli d’oro indicandoli come il vero dio che aveva fatto uscire dall’Egitto il popolo d’Israele. Il suo peccato più grande fu proprio quello di prestare il culto in altri santuari invece di Gerusalemme. Il suo fine politico dové appoggiarsi all’espediente religioso dei due vitelli che richiamavano il vitello dell’esodo e che facevano stornare il cuore del popolo di Dio dal suo vero Dio. La storia si ripete. Per finalità diverse da quelle spirituali e religiose molte volte con facilità persone anche ragguardevoli si creano riferimenti alternativi che non hanno niente a che fare con Dio, ma che appagano mire puramente egoistiche ed egemoniche. P. Angelo Sardone

La Vergine santa di Lourdes

«Vidi una Signora rivestita di vesti candide. Mi disse di essere l’Immacolata Concezione». La testimonianza di Bernardetta Soubirous allora appena quattordicenne, attesta con chiarezza la verità e l’identità di una delle apparizioni mariane più note ed importanti che fa riferimento a Lourdes. Il tutto cominciò l’11 febbraio 1858 presso la grotta di Massabielle nei pressi del fiume Gave, dove la fanciulla sei era recata a raccogliere la legna. Prima spaventata, poi messa a suo agio da una bellissima Signora che le apparve nella grotta per ben 18 volte, accolse il messaggio della Madonna e, il 25 marzo, la rivelazione della sua eccezionale identità: l’Immacolata Concezione. Da allora, con la costruzione di un grandioso santuario, Lourdes è divenuto uno dei santuari più famosi al mondo per la devozione mariana, caratterizzato soprattutto dalla presenza di ammalati e pellegrini di tutte le età e di tutto il mondo. Silenzio, sofferenza, preghiera, Eucaristia e riconciliazione sono gli elementi portanti che caratterizzano il fenomeno di Lourdes e la devozione a Maria, sotto lo speciale titolo di Immacolata Concezione, la conferma a quanto quattro anni prima Pio IX aveva solennemente dichiarato con l’omonimo dogma. Nel recinto delle apparizioni milioni di persone, malati e non, ogni anno sostano in preghiera, fanno il bagno alle piscine, si confessano, partecipano alla celebrazione eucaristica, cuore di tutte le devozioni e vivono una intensa atmosfera di preghiera conversione e carità, dominata da autentiche sensazioni paradisiache. Chi c’è stato porta nel cuore il ricordo dolcissimo ed il desiderio vivo di ritornarvi. P. Angelo Sardone