La storia di Susanna

«Sono in difficoltà da ogni parte. Se cedo, è la morte per me. Meglio per me cadere innocente nelle vostre mani che peccare davanti al Signore!» (Dn 13,23). La Bibbia ebraica si divide in tre parti che compongono l’acronimo TANAK, dove T sta per Torah (la legge), NA per neviim (i profeti) e K per ketuvim (altri scritti). In quest’ultima sezione gli Ebrei collocano il libro di Daniele. La Bibbia cattolica lo annovera invece tra i profeti. Tra le altre lo scritto vuole sostenere la fede e la speranza dei Giudei perseguitati dal re Antioco IV Epifane. Tutto il capitolo 13 è dedicato al racconto di una eroina, vittima del sopruso di vecchi adusati al peccato: è la nota storia della casta Susanna, moglie di Joakim, oggetto di uno squallido ed ignobile complotto di due libidinosi anziani della comunità giudaico-babilonese. Sorpresa nel giardino mentre faceva il bagno, divenne oggetto del loro malsano desiderio sessuale. Per non aver ceduto al loro spregevole ricatto, fu accusata come adultera, condotta in giudizio e condannata a morte. Il Signore che protegge gli innocenti suscitò lo spirito di Daniele che, separatamente, sottopose i due vecchioni ad un interrogatorio. Fu evidente la loro menzogna e si svergognarono platealmente. L’innocenza viene difesa e la malizia è punita. Questa realtà molte volte viene disattesa da iniqui abusi e disonesta malvagità nei procedimenti giudiziari, ieri come oggi. Pagano le spese, vittime innocenti che pur cadendo nelle trappole di facinorosi e spregevoli individui senza coscienza e moralità alcuna, scelgono di non peccare davanti a Dio e subiscono violenza su violenza. P. Angelo Sardone

Dio aprirà una via…

La semina del mattino

«Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa» (Is 43,16). Il ricordo dell’Esodo rimase impresso nella mente e nella storia del popolo di Israele. Aveva caratterizzato l’identità della nazione santa, protetta da Dio, favorita in tutto da lui, retta nel duro e provato cammino di stenti e di fatiche. Una volta insediato nella nuova terra il popolo ha goduto dei benefici che Dio ha concesso con larghezza. In seguito Egli stesso ha preparato un nuovo esodo, quello della fede e quello storico a seguito della cattività babilonese. Il profeta Isaia si fa interprete della memoria storica, ricordando al popolo cieco e sordo dinanzi agli avvenimenti della sua storia, come l’agire di Dio è vera e   concreta testimonianza di amore e benevolenza. Ciò che è avvenuto nel passato sarà eclissato da quanto, con ancor più meraviglia, Dio opererà nel nuovo esodo. Le immagini si rifanno alla situazione ambientale della natura e del territorio: il deserto, la strada, la steppa, i fiumi. Nel linguaggio biblico questi termini richiamano l’aridità e la prosperità, nel quadro della volontà di Dio come purificazione e gratificazione. Nella vita di ogni giorno il Signore apre la sua strada di esodo nel deserto della vita dell’uomo, resa tale dalla dissipazione, dal rifiuto del soprannaturale, dall’ostinazione verso il bene e dall’orgoglio che impedisce di accogliere dalle mani di Dio la provvidenza e la bontà. Bisogna realmente viere il proprio esodo per capire quello che di peccaminoso si lascia dietro le spalle e quello che invece appena si intravvede col latte ed il miele, prosperità della terra promessa che si raggiunge solo oltrepassando il Giordano col battesimo di purificazione e di penitenza. P. Angelo Sardone

S. Francesco di Paola

La semina del mattino

«Signore degli eserciti, giusto giudice, che provi il cuore e la mente, a te ho affidato la mia causa» (Ger 11,20). I profeti hanno parlato del Messia e del mistero della sua passione e morte. Con temi diversificati, a seconda del tempo, delle persone cui si rivolgevano e del luogo nel quale profetavano, proclamavano aspetti diversi che convergevano nel culmine dell’amore, l’offerta gratuita della vita a fronte degli intrighi e dell’odio violento degli avversari e nemici. Questi ultimi vogliono abbattere l’albero nella sua prosperità fruttifera e strapparlo addirittura dalla terra perché più non sia e nessuno più si ricordi di lui. Tutto è rivelato da Dio perché possa essere comunicato al popolo. Il “servo” giusto che ha visto queste magagne si rivolge al Dio giusto mettendo la sua vita nelle sue mani, affidando a Lui la sua causa. La liturgia odierna ricorda S. Francesco di Paola (1416-1507), uno dei santi più longevi e più noti per aver fatto della sua vita un servizio di amore verso tutti ed aver affidato a Dio la causa di salvezza del mondo intero. Fondatore dell’Ordine dei Minimi, con la sua testimonianza di vita rigorosa nell’eremitaggio, dedita alla penitenza, richiamò attorno a sé molti discepoli, insegnando loro il primato del Vangelo con l’austerità, anche alimentare. Il suo motto, riportato nell’iconografia è “Charitas”, carità, cioè amore per Dio e per il prossimo. Il Signore operò per lui tanti miracoli, uno dei quali, è il passaggio dello stretto di Messina sopra un mantello. Secondo e Terz’Ordine, delle donne prima e dei laici dopo, sono il corredo di questa splendida figura che ha lasciato un alone di santità che continua oggi attraverso i suoi figli e le sue figlie. Paola, in Calabria è il centro propulsore del suo culto e della devozione al santo patrono della gente di mare d’Italia. Auguri a chi ne porta il nome. P. Angelo Sardone

La sapienza di Dio

La semina del mattino

«Ci è insopportabile solo al vederlo, perché la sua vita non è come quella degli altri» (Sap 2,14). La Bibbia contiene una sezione detta “didattico-sapienziale” caratterizzata dalla presenza di alcuni libri che sono di grande insegnamento per il popolo di Dio di ogni tempo. Quello che dà il nome alla sezione è proprio il libro della Sapienza, attribuito alla persona del re Salomone. Si comprende che questo è un artificio letterario perché scritto in lingua greca e l’età di composizione sembra essere il 50 a.C. La liturgia quaresimale attinge da esso indicazioni significative che aiutano a comprendere il mistero della passione di Cristo. La dialettica è tra gli empi ed il giusto. I primi gli tendono insidie ravvisando in lui e nel suo comportamento, un continuo rimprovero alle loro azioni ed intendimenti. Rimprovero per l’inosservanza della legge, condanna dei pensieri malsani, rinfaccio di trasgressioni a causa dell’educazione ricevuta, sono alcuni degli elementi che lo rendono inviso. A fronte di ciò si scatena l’odio, il risentimento e la messa alla prova con tormenti e insidie, per saggiare lo spirito di sopportazione. Il pensiero dell’empio è bollato da Dio come sbagliato; è pura illusione. Questi tratti biblici fanno riferimento esplicito all’identità del Messia e sono la manifestazione ulteriore delle caratteristiche del “Servo di Jahwé” che il profeta Isaia presenterà drammaticamente nei suoi quattro carmi. La storia si ripete anche in contesti ecclesiali attuali quando ministri del sacro, seri ed impegnati, sono guardati a vista con indifferenza o giudicati in cagnesco da alcuni “pii e devoti” per la verità che proclamano con la loro vita e con le loro parole. P. Angelo Sardone

La perversione di Israele

La semina del mattino

«Va’, scendi, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto, si è pervertito» (Es 32,7). Distogliendolo dalla contemplazione e dal mistico rapporto con Lui nel fulgore della luce, Dio ingiunge a Mosé di scendere a valle dove il popolo, affidato momentaneamente ad Aronne, sta compiendo riti che inneggiano ad un idolo. Le parole di Jahwé sono dure: il popolo si è pervertito, è un popolo dalla dura cervice che non si è affidato totalmente a Lui. Infatti, stanco e deluso del cammino nel deserto, rimpiangendo quanto aveva lasciato in Egitto, esausto per la mancanza di acqua e di carne, nauseato dalla manna, il popolo aveva convinto Aronne a forgiare un dio visibile in un vitello d’oro e ad inneggiare a lui. La fede del popolo non ancora matura e l’ostinazione dinanzi ad una meta ancora imprecisa e fluttuante giorno per giorno, sfocia in una vera e propria idolatria. Il testo sacro la definisce “perversione”. È una parola terribile, un giudizio molto forte. La perversione richiama infatti qualcosa che va contro la natura, contro il retto modo di agire e quando di mezzo c’è Dio il peso e la responsabilità sono davvero enormi. L’uomo da sempre, a causa delle conseguenze della colpa originale e dell’uso improprio della grazia, spesso tende alla perversione. Il gusto del diverso, il desiderio della prevaricazione prende il sopravvento sulla retta ragione e si trasforma in perversione. Gli esempi biblici della Genesi (la torre di Babele, i fatti esecrandi di Sodoma e Gomorra) sono espliciti e chiari. Come l’intercessione di Mosé indusse Dio al perdono, le suppliche della Chiesa si elevano con fiducia davanti al Signore per stornare la sua giusta ira, in nome della sua paternità che è misericordia infinita. P. Angelo Sardone

Il pascolo della Sacra Scrittura

«Essi pascoleranno lungo tutte le strade, e su ogni altura troveranno pascoli» (Is 49,9). Il popolo d’Israele, a cominciare dai patriarchi, era un popolo nomade che viveva fondamentalmente di pastorizia. Il doversi spostare continuamente, soprattutto durante il quarantennio dell’esodo, lo costringeva a condurre una vita a stretto contatto con le pecore. Questi animali costituivano una fonte di reddito per il latte, la carne, la lana e, soprattutto gli agnelli, erano destinati al sacrificio di puro odore per il Signore. Dio spesso viene presentato come il pastore che cammina davanti alle pecore, le guida e le difende dai nemici. Il quarto carme del servo di Jahwè fa riferimento al Messia come agnello condotto al macello e come pecora muta di fronte ai suoi tosatori. Il secondo carme cui si riferisce la citazione, dopo aver presentato il “Servo” oggetto di umiliazioni e di glorificazione, riprende il tema del ritorno del popolo d’Israele dalla schiavitù, lungo una strada meravigliosa. La ricchezza è costituita dal fatto che potrà pascolare ovunque, su tutte le strade e finanche nelle alture, sui «monti di Israele» (Ez 34,13), dove troverà buoni pascoli. S. Agostino afferma che questi monti e queste alture sono “le pagine delle Sacre Scritture”, dove si può e si deve pascolare con sicurezza, ascoltando la voce del pastore. Gli Ebrei si qualificavano perciò come “popolo del Libro”. La frequentazione della Sacra Scrittura deve costituire per ogni cristiano l’impegno costante e diuturno per poter attingere da essa conoscenza di Dio, istruzione, ammonimenti e la pratica più efficace per amare Dio ed i fratelli. P. Angelo Sardone

L’acqua che sgorga dal santuario

«Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà» (Ez 47,9). Quasi in conclusione del suo libro, nella sezione denominata “La Torah” il profeta Ezechiele, condotto dallo Spirito giunge all’ingresso del tempio ed osserva il fenomeno dell’acqua. Essa scende dalla parte meridionale dell’altare. Girando attorno all’edificio scopre che il rivolo gradualmente aumenta: ciò è comprovato dal tentativo di attraversarlo prima in maniera agevole, fino all’impossibilità di farlo perché simile ad un fiume navigabile. Riversandosi nel mar Morto, risana quelle acque prive di vita e le favorisce con un gran numero di pesci che in esso vivranno. In analogia a questo, ogni essere umano vive dovunque arriva l’acqua salutare. Secondo il comune modo di intendere, le acque sono espressione della benedizione che arriva al paese dalla rinnovata abitazione di Dio in mezzo al popolo. Le stesse immagini saranno riprese da S. Giovanni nell’Apocalisse. L’acqua è segno della grazia e fonte di abbondante benedizione, il suo fluire è l’azione dello Spirito Santo, datore di vita e che fa nascere la vita e fiorire il deserto. L’acqua sgorga direttamente dalla fonte del Cuore di Cristo e si differenzia in sette rivoli che costituiscono i sacramenti, i segni sensibili ed efficaci della grazia, attraverso i quali viene elargita la vita divina. Non si insisterà mai abbastanza nell’indicare la necessità di una vita cristiana qualificata in maniera indispensabile proprio attraverso la grazia dei Sacramenti. Cristo la dispensa mediante i ministri della sua Chiesa. P. Angelo Sardone

La preghiera di abbandono

La semina del mattino

«Non c’è delusione per coloro che confidano in te. Ora ti seguiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo il tuo volto» (Dn 3, 40-41). Il fuoco fa sempre paura, soprattutto quando ci si trova dentro: quello materiale che consuma ed annienta, quello spirituale che brucia, riscalda e trasforma. In piena cattività babilonese, Daniele (Azaria nella lingua locale) eleva a Jahwè una bellissima preghiera di affidamento, di abbandono, di richiesta di grazia in nome dell’antica alleanza e del patto di amore che Dio ha stabilito col suo popolo attraverso Abramo. La consapevolezza di essere diventati piccoli ed indegni fa crescere la necessità di chiedere perdono e di abbandonarsi nelle sue mani con un cuore però contrito ed umiliato, unico vero sacrificio gradito a Dio. In questi termini e con questo atteggiamento non c’è più delusione e timore per chi confida, e si sviluppa la clemenza da parte di Dio che così dà gloria al suo Nome con la sua misericordia. La vita cristiana è un serio e sistematico percorso di fiducioso abbandono nelle mani di Dio, ogni giorno, ma soprattutto nell’ora della prova, quando le tribolazioni, le difficoltà, le delusioni, le malattie, le incapacità proprie ed altrui mettono al muro senza possibilità di ricominciare. È quello il momento di confidare meno in se stessi ed affidarsi di più a Dio con la totalità del cuore, della mente, della vita. Queste realtà pratiche si comprendono anche con l’ascolto di Dio, la frequentazione e lo studio attento della sua Parola. P. Angelo Sardone