L’Apostolo delle genti

«Egli è lo strumento che ho scelto per me, affinché porti il mio nome dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli d’Israele» (At 9,15). Col capitolo nono del libro degli Atti degli Apostoli comincia l’epopea di S. Paolo, l’Apostolo per eccellenza, destinato da Dio ad essere il predicatore ai pagani e per i pagani. Il ciclo paolino si apre col racconto della sua conversione, cosa che interesserà per altre due volte il lettore, una sorta di espediente letterario di S. Luca anche se circostanziato in situazioni diverse con qualche differenza di racconto. Inflessibile ebreo, radicato nella legge sotto la guida del maestro Gamaliele, Saulo si è formato ai principi della fede del Dio di Abramo ed è coerente in tutto. Viene fermato però sulla via di Damasco mentre furente contro i cristiani, si sta dirigendo verso la città per arrestare e tradurli in prigione. Una forza misteriosa lo getta a terra, una luce intensa lo acceca, una voce potente gli parla: «Perché mi perseguiti?». Condotto a mano in città incontra Anania, un discepolo del Signore, già preavvertito da Dio stesso dell’arrivo di colui che sarà destinato ad essere vaso di elezione ed annunziatore della parola ai Gentili. Dio rovescia i disegni umani pure legati ad una salda e coerente fede ancorata ai principi del Vecchio Testamento. Il Signore risorto si identifica nei cristiani perseguitati. La vicenda di Paolo e dei cristiani vittime della persecuzione, continua ancora oggi nella vita della Chiesa e della società e vede protagonisti gli uni e gli altri nella meravigliosa avventura della fede proclamata e vissuta con coerenza, nonostante le tribolazioni e la morte. P. Angelo Sardone

L’evangelizzatore efficace

«Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù» (At 8,35). Accanto agli Apostoli ed in comunione con loro i primi Diaconi svilupparono il servizio della Parola. Stefano prima, Filippo dopo, furono al centro della cronaca debitamente documentata da S. Luca. Lo Spirito Santo guida e dirige la loro azione pastorale. L’abilità, la sottigliezza ed il coraggio di Stefano gli procurano la lapidazione e la morte. Per Filippo le cose vanno diversamente. Obbediente allo Spirito, si dirige sulla strada che da Gerusalemme conduce a Gaza. Qui si imbatte in un Etíope, eunùco della corte di Candàce, regina di Etiòpia, amministratore dei suoi beni, che, terminato il culto a Gerusalemme, seduto sul suo carro tornava in patria e nel frattempo leggeva il profeta Isaìa. Sollecitato da Filippo gli chiede di spiegargli di quale personaggio si trattava nella pericope che stava appena leggendo, il quarto Carme del servo di Jahwé. Prendendo la parola il diacono gli spiega tutto fino a giungere a Gesù, il personaggio che in visione il profeta aveva visto e cantato, al mistero della sua morte e risurrezione ed alla necessità per i suoi seguaci di battezzarsi e credere in Lui. Filippo fa una catechesi straordinaria, precisa e convincente, fino al punto da indurre l’etiope a chiedere spontaneamente il Battesimo. È l’attrazione di cui parla anche papa Francesco e non il proselitismo che a volte è controproducente. Se parla lo Spirito tutto va bene; se parla solo la bocca e non il cuore o la convinzione di un evangelizzatore anche colto, tutto è fugace e senza futuro. Filippo sparisce. L’evangelizzatore vero dona e poi va via. Chi rimane solo a rimpiangerlo e non si muove autonomamente, forse ha capito ben poco di lui e della fede. P. Angelo Sardone  

La persecuzione fonte di espansione

«Scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa; tutti, ad eccezione degli apostoli, si dispersero» (At 8,1). La Chiesa di Gerusalemme sin degli inizi fu oggetto di violenta persecuzione, tanto da mettere in fuga nella Giudea e nella Samaria tutti i nuovi seguaci della fede cristiana. Costoro, pieni di neofito ardore, di luogo in luogo annunziavano la Parola. Le ricorrenti sintesi del racconto lucano, evidenziano con fuggevoli ed intense pennellate, persone ed avvenimenti che caratterizzano la fase iniziale della cosiddetta “implantatio Ecclesiae”. Saulo di Tarso che aveva fatto la sua silenziosa comparsa tra coloro che approvavano la lapidazione del diacono Stefano ed aveva raccolto il suo mantello, comincia in maniera autoritativa la sua missione di fiero avversario di Cristo, nel tentativo di distruggere la Chiesa nascente. Entra nelle case ed arresta uomini e donne cristiane. Il diacono Filippo si reca in Samaria, regione cuscinetto tra la Giudea e la Galilea, e qui predica e compie guarigioni e segni strepitosi, guadagnandosi l’attenzione della gente e procurando gioia nella città. Il coraggio acquisito col dono dello Spirito Santo tiene inizialmente gli Apostoli ancorati a Gerusalemme: devono compattarsi ulteriormente resi forti dal nuovo battesimo nello Spirito che ha conferito loro inaudite capacità espressive e forza apostolica trainante. I cristiani di ogni tempo, in forza del dono dello Spirito, prima attraverso il Battesimo e poi con la Confermazione, sono chiamati ad essere «missionari di Cristo» là dove la Provvidenza di Dio li colloca, avendo come scopo essenziale vivere la fede e testimoniare l’amore. P. Angelo Sardone

Testimoni del risorto

«Vi proclamo il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale siete salvati» (1Cor 15,1). Il tempo pasquale è caratterizzato in maniera sistematica dall’annuncio, che nella liturgia con la proclamazione della Parola, diviene insistente. D’altronde il mandato di Cristo agli Apostoli dopo la risurrezione, fu proprio quello di annunziare, perché dall’annunzio deriva la salvezza. Il cuore del “kerygma” è costituito dal sunto mirabile dell’evento pasquale: «Cristo è morto, fu sepolto ed è risorto». La sequenza delle apparizioni a Cefa, ai dodici, a 500 fratelli, a Giacomo, agli altri Apostoli ed infine a Paolo, come raccontato dagli Evangelisti, testimonia in maniera inconfutabile il fondamento della fede cristiana. Comincia ad impostarsi così la Traditio apostolica: «ciò che ho ricevuto, ho donato a voi», scrive S. Paolo. Tutti gli Apostoli, dirigendosi nelle terre fino allora conosciute, portarono con sé il bagaglio di quanto avevano appreso dal Maestro, donandolo con generosità, andando incontro anche a difficoltà e testimoniando col sangue l’adesione a Cristo. Oggi se ne ricordano contemporaneamente due di loro, Filippo e Giacomo il Minore, perché le loro reliquie furono trasferite insieme a Roma nella chiesa dei Santi dodici Apostoli. Filippo era di Betsaida, come Pietro ed Andrea. Giacomo era figlio di Alfeo e cugino di Gesù. A lui, capo della Chiesa di Gerusalemme dopo la morte di Giacomo il Maggiore, è attribuita l’omonima lettera. Col Battesimo abbiamo ricevuto il dono della fede che a partire dall’immersione nella morte e risurrezione di Cristo, ha conferito a ciascuno la responsabilità dell’annunzio ed il valore della testimonianza. P. Angelo Sardone

S. Atanasio, dottore della SS.ma Trinità

«Non riuscivano a resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava» (At 6,10). Dopo l’istituzione del diaconato nella comunità cristiana di Gerusalemme, l’evangelista Luca documenta le azioni pastorali dei diaconi, primo tra tutti, Stefano. Di lui evoca la grazia e la potenza di cui è dotato ed i grandi prodigi e segni operati in mezzo al popolo. Tutti sono ammirati ed alcuni membri della sinagoga pur volendo discutere con lui, non sono alla pari e non resistono alla sua sapienza: il diacono infatti parlava sotto l’influsso dello Spirito Santo. Non potendo fare altro, istigano alcuni a calunniarlo, asserendo di averlo sentito dire cose blasfeme contro Dio, la Legge e Mosè, fino a tradurlo davanti al sinedrio per un giudizio punitivo. Tutto quello che viene detto, è ritenuto sovversivo nei confronti di una Tradizione cui gli Ebrei in maniera ligia si assoggettavano. Si accorgono ben presto che non è Lui a parlare perchè scorgono il suo viso simile a quello di un angelo. Dinanzi alla potenza dello Spirito ogni tentativo di ostruzione è vano soprattutto quando si vogliono offuscare verità di fede che toccano il mistero di Cristo. Ciò si ripete nella storia della Chiesa e trova oggi in S. Atanasio di Alessandria d’Egitto (295-373), un deciso assertore della divinità di Cristo proclamata nel Concilio di Nicea (325) e negata dall’eresia ariana. Da giovane fu discepolo di S. Antonio abate e per le sue qualità di uomo probo, virtuoso ed asceta fu acclamato vescovo. La Chiesa lo ha definito dottore della SS.ma Trinità. Anche oggi è indispensabile formarsi alla scuola di questi interpreti illuminati della fede per non rischiare di “correre invano”. P. Angelo Sardone

La testimonianza ed il martirio

«Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono» (At 5,32). Il coraggio acquisito dagli Apostoli a seguito della discesa dello Spirito Santo ha qualcosa di sorprendente. La paura sfoggiata in occasione della passione di Cristo e della sua morte li aveva reso tutti latitanti, Pietro rinnegante, Giuda traditore. Ora è diventata coraggio sfrontato che non si ferma dinanzi ad alcuna forma di provocazione, minacce ed ingiurie. Ciò li rende testimoni. Essi hanno visto, hanno toccato con mano, sono stati educati e formati e nonostante non avessero capito fino in fondo quanto Gesù aveva loro insegnato, ora con la discesa dello Spirito, sono letteralmente trasformati e sono diventati impavidi. Gesù l’aveva detto: «Riceverete la forza dallo Spirito e mi sarete testimoni» (At 1,8). Si tratta di dare pubblica testimonianza a qualcosa che non appartiene loro: lo Spirito si schiera dalla loro parte e genera ascolto in coloro che gli obbediscono. La testimonianza genera a sua volta l’eroismo: i martiri, sono infatti testimoni. Il termine greco «martyr» significa appunto testimone. Non si può d’altronde annunciare il vangelo di Cristo se non dando concreta testimonianza di averlo accolto nella vita e di tradurre in pratica i suoi insegnamenti. Tutti gli Apostoli, secondo la tradizione, sono morti martiri. La credibilità della Chiesa (pastori e semplici fedeli) si misura a partire dalla loro coerenza o meno, legata a ciò che si dice e proclama ed a ciò che concretamente poi si fa. Anche se non sempre ci riusciamo, noi pastori siamo chiamati a predicare prima di ogni cosa con la coerenza della vita. P. Angelo Sardone

L’istituzione del diaconato

«Cercate sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza. Noi ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola» (At 6,3-4). L’istituzione del «diaconato» nella primitiva chiesa di Gerusalemme è determinata dalla necessità di provvedere alle mense ed alle vedove. Gli Apostoli non volevano essere distolti dal compito specifico della preghiera e del servizio della Parola che si esplicitava nella predicazione. La comunità cristiana che andava ingrandendosi giorno per giorno, con lo stile della comunione fraterna e della condivisione dei beni, necessitava di un’organizzazione che non fosse lasciata al caso ed alla promiscuità eclettica del servizio. Occorreva distinguere bene i vari ministeri lasciando liberi gli Apostoli di mettere in pratica il mandato ricevuto direttamente da Gesù, cioè andare ovunque, predicare, battezzare. All’interno della stessa Comunità, secondo esplicita richiesta degli Apostoli, furono indicati sette uomini che presentavano i requisiti di buona reputazione e di pienezza di Spirito e di sapienza. Furono scelti Stefano, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola. La preghiera e l’imposizione delle mani degli Apostoli sancì il loro riconoscimento e l’avvio del ministero. Questo gesto è divenuto proprio del sacramento dell’ordine nei suoi tre gradi: diaconale, sacerdotale, episcopale. Il compito dei successori degli Apostoli, i vescovi ed i sacerdoti in comunione con loro, continua ancora oggi col ministero della predicazione, indispensabile modalità di servizio della Parola e di sviluppo della fede. «La nostra missione, la prima è parlare, annunciare quel messaggio di Cristo, del quale siamo depositari e del cui insegnamento siamo maestri responsabili» (Paolo VI). P. Angelo Sardone