La guerra siro-efraimita ed Isaia

«Il suo cuore e il cuore del suo popolo si agitarono, come si agitano gli alberi della foresta per il vento» (Is 7,2). Il grande profeta Isaia racconta i prodromi della guerra che passerà alla storia come siro-efraimita (731 a.C.) e gli darà la possibilità di pronunziare l’oracolo messianico che coinvolge la giovane donna che partorirà l’Emmanuele. In pratica due re, Resin re di Aram, e Pekach, re d’Israele, volevano coinvolgere il re di Giuda, Acaz, in una guerra contro l’Assiria. A quest’ultimo che aveva subito la marcia bellica dei due re riuscendo a contenerla a Gerusalemme, il Signore manda Isaia per tranquillizzarlo e non tenere conto dei due, avanzi di tizzone fumante, ed a rimanere saldo in Lui. «Fa attenzione, sta tranquillo, non abbatterti»: sono le parole-chiave di una esortazione divina a fronte del sopruso egemonico che è andato a male. Acaz comunque non sarà da meno, avendo chiesto protezione proprio al re di Assiria divenendone vassallo. Nella storia degli uomini si inserisce puntualmente Dio con la sua storia di amore e di lungimiranza in vista del piano di salvezza da realizzare sino alla fine dei secoli. É importante fidarsi di Dio, anche quando sembra che tutto remi contro e le potenze oppressive diventano molteplici e non danno speranza alcuna. Ciò è favorito maggiormente quando la propria coscienza è a posto e non si ha, come nel caso di Acaz, la macchia dell’offerta sacrificale al dio Molok della vita di un suo figlio. La libertà del cuore e la serenità della propria coscienza favoriscono l’accoglienza della sollecitudine amorosa di Dio salvatore. P. Angelo Sardone

San Benedetto da Norcia, un colosso di santità

«Figlio mio, se tu accoglierai le mie parole e custodirai in te i miei precetti, allora troverai la conoscenza di Dio» (Pr 2,1-5). La letteratura sapienziale si esprime in maniera tipica nei 31 capitoli del Libro dei Proverbi, attribuito a Salomone che avrebbe pronunziato tremila proverbi (1Re 5,12). Esprime oltre la sapienza, la teologia pratica con uno sviluppo dottrinale. La liturgia odierna collega un significativo tratto sapienziale alla vita ed all’opera di uno dei santi più grandi e conosciuti, San Benedetto da Norcia (480-542), fondatore del monachesimo occidentale. Da giovane studente, avendo rifiutato la vita brillante di Roma si ritirò in solitudine in una grotta a Subiaco detta poi “sacro speco”, passando in seguito alla scelta di vita monastica ed in una nuova fase di maturazione interiore, a Montecassino dove impiantò una vera e propria scuola di servizio di Dio. I capisaldi della sua identità e missione carismatica sono la lettura meditata della Parola di Dio, la lode a Dio con la liturgia, il lavoro in carità fraterna ed il servizio reciproco. A lui si deve la formulazione della Regola, un codice di preghiera e di vita comunitaria con 73 capitoli nei quali tra l’altro, per la ricerca costante di Dio, viene chiesto di non anteporre nulla all’Ufficio divino ossia la preghiera liturgica, armonizzando il tutto con il lavoro. “Ora et labora” è il motto che qualifica il grande mondo benedettino sparso in tutti i continenti, che ha prodotto una lunga schiera di Santi e la qualificazione eccellente della dimensione orante liturgica. Davvero egli continua ad essere “un astro luminoso” (S. Gregorio Magno) anche nel buio del nostro tempo. P. Angelo Sardone

I comandi di Dio sono dentro di noi

«Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te» (Dt 30,11). Il libro del Deuteronomio è il quinto dei cinque libri di Mosè, il Pentateuco. Prende il nome dalla traduzione in greco delle parole “copia di questa legge”, seconda presentazione della legge. Contiene tre grandi discorsi fatti da Mosè per ricordare agli Israeliti le esigenze dell’alleanza con Dio fatta sul monte Sinai. Sono la sintesi delle vicende del deserto, l’impegno a rinnovare la fedeltà all’alleanza in cambio di benedizioni, le ultime disposizioni di Mosè ed il racconto della sua morte. Sul finire della sua missione il grande condottiero dopo aver convocato il popolo di Israele gli riferisce e ribadisce le esigenze proprie della relazione con Dio e di tutte le norme date da Jahwé. Il suo tono è perentorio: si tratta di ordini, comandi e decreti che richiedono obbedienza, osservanza e continua conversione nella totalità del proprio essere. I comandi di Dio sono proporzionati in termini di tempo e di spazio alla ricezione umana. In un certo senso Dio stesso previene il giudizio dell’uomo che facilmente si traduce in scoraggiamento ed impossibilità di osservanza delle leggi perché ritenute assurde, lontane dal comune modo di pensare e troppo difficili da essere tradotte nella pratica di vita. I suoi ordini non sono collocati in cielo, impossibili per essere presi, uditi ed eseguiti. Non sono oltre il mare, impossibile da navigare. Sono invece parole vicinissime, poste da Dio sulla bocca dell’uomo e nel suo cuore, pronte per essere messe in pratica. Queste verità non appartengono solo al vecchio popolo di Israele ma anche al nuovo popolo di Dio costituito nella e con la Chiesa di cui noi siamo parte integrante. P. Angelo Sardone

Eccomi, manda me!

«Il Signore diceva: Chi manderò e chi andrà per noi? Io risposi: Eccomi, manda me!» (Is 6,8). La storia di ogni vocazione nasce nel cuore stesso di Dio. La chiamata si esplica in avvenimenti particolari e con modalità singolari incastonati nel tempo ed in atteggiamenti diversi. Il Primo Isaia del 745 a.C. racconta la storia della sua vocazione cominciata in una dimensione mistica di rapporto e di dialogo con Dio. Il contesto è teofanico e paradisiaco: Dio sul suo trono sontuoso, alto ed elevato, ha un mantello che riempie di gloria tutto il volume del tempio. E’ attorniano dai Serafini, che inneggiano a Lui con la triplice acclamazione di «Santo, santo, santo». L’atteggiamento del giovane è di assoluto smarrimento, paura, confusione e presa di coscienza dell’impurità delle sue labbra e della sua vita. Ma tutto è sedato da Dio che invia uno degli angeli a purificare le sue labbra con un tizzone ardente. Viene quindi ammesso alla partecipazione al dialogo con Dio che sta parlando a voce alta e che chiede chi deve mandare per la salvezza del popolo. Purificato da ogni colpa il profeta si alza dalla sua prostrazione di peccatore e si mette a completo servizio dando la sua disponibilità: «Se vuoi, manda me!». In tale modello anche oggi spesso si rispecchia la vocazione sacerdotale e religiosa di tanti uomini e donne. L’indegnità e l’impurità delle labbra e della vita, proprie di ogni essere umano, sono superate dall’intervento divino che abilita al ministero ed al servizio anche coloro che si ritengono incapaci, ma che si affidano a Lui con tutto il cuore. Nelle Sue mani diventano così vasi di elezione e talora di straordinaria santità. P. Angelo Sardone.

Gli orfani di ieri e di oggi

«Presso di te l’orfano trova misericordia» (Os 14,4). La vicenda profetica di Osea, al pari degli altri profeti, si muove in un’ambivalenza: gli entusiasmi del popolo, le sue ribellioni e gli interventi di Dio che vogliono provocare il ritorno a Lui con tutto il cuore. Il popolo di Israele si dimena continuamente tra l’amore fedele a Jahwé e l’attrazione costante, illusoria e perniciosa degli idoli. La vita matrimoniale di Osea si ispira all’amore di Jahwé che, nonostante tutto, accoglie sempre il popolo fedifrago come fosse una prostituta, lo riconduce sulla retta vita e gli suggerisce parole adatte da adoperare nella sua preghiera. Uno dei passaggi evidenziato dai suggerimenti, fa riferimento agli orfani che trovano misericordia presso Dio. Questa categoria, insieme agli stranieri ed alle vedove, secondo la Legge di Mosè godeva di una particolare predilezione da parte del Signore. La storia dell’umanità é ricca della presenza degli orfani sia tradizionali, per la morte dei genitori, che moderni, vittime del disfacimento della famiglia e situazioni analoghe. Anticamente strutture come orfanotrofi, brefotrofi e simili si prendevano cura di essi. La Chiesa è stata sempre in prima linea con le sue istituzioni caritative, Congregazioni ed Istituti religiosi per accogliere ed assistere. In Italia, a seguito della moderna legislazione è sembrato come se con un colpo di spugna si cancellasse persino il nome ai numerosi orfanotrofi che operavano su tutto il territorio. Le Comunità religiose dedite a questo servizio, si sono adeguate ai nuovi parametri imposti e tante, inesorabilmente, hanno chiuso i battenti. La variazione di tipologia ha limitato il numero di ragazzi e ragazze nell’orbita assistenziale, ritenuta superata. Le Case di accoglienza, case-famiglia e tipologie similari hanno preso il posto degli antichi orfanotrofi, corredate da nuovi standard e professionalità laicali. Ciò è accaduto anche nelle nostre strutture. Si lavora insieme religiosi e laici per una carità che si colora sempre di misericordia. P. Angelo Sardone.

Il sacramento del battesimo di S. Annibale

«Fu battezzato nella parrocchia di S. Lorenzo, la sera del 7 luglio, avendo fatto da parroco il Canonico don Giuseppe Marchese, a un’ora e un quarto di notte». Gli appunti di famiglia scritti dal marchese Francesco Di Francia così concludono l’annotazione della nascita fisica e spirituale del figlio Annibale Maria nell’arco di appena due giorni: 5 e 7 luglio 1851. Il Battesimo fu celebrato nello stesso luogo nel quale i genitori si erano sposati il 2 giugno 1847, la Parrocchia di S. Lorenzo, allora ubicata nella chiesa di S. Maria della Provvidenza, di fronte al Torrente Portalegni. Lo amministrò, con licenza del parroco, il Can.co don Giuseppe Marchese, arcidiacono della cattedrale e Giudice della Regia Monarchia. Il padrino fu don Francesco Toscano, fratello di Guglielmo, nonno materno, lo stesso che aveva unito in matrimonio i coniugi Di Francia. Come primo nome gli fu dato quello di Maria. Ogni anno, nell’anniversario del suo Battesimo, S. Annibale si recava in quella chiesa a ringraziare il Signore del grande dono ricevuto, fino ai tempi del terremoto del 1908 quando la chiesa fu distrutta. Non ancora sacerdote, nel mese di maggio del 1876 nella parrocchia di S. Lorenzo il chierico Annibale introdusse per primo nella città di Messina, la devozione alla Madonna di Lourdes con preghiere e versi e fondò un’Associazione col titolo dell’Immacolata Concezione di Lourdes. Divenuto sacerdote più volte amministrò il Battesimo a diversi bambini: in particolare il 6 gennaio 1909, in un vagone della stazione di Messina lo conferì al piccolo Tommaso Natale Maria, nato il 1° gennaio 1909 da Ignazio Panarello e Francesca Laganà, reduci dal terremoto. Con la distruzione della chiesa, la parrocchia di S. Lorenzo trovò posto prima in una piccola baracca, affidata nel 1917 ai padri Carmelitani, e poi in una artistica chiesa, la Madonna del Carmine, completata il 1931. Qui si conserva il Registro dei Battezzati nel quale, è annotato l‘Atto di Battesimo di S. Annibale, l’anno 1851, al n. 165. P. Angelo Sardone   

L’eroismo della virtù della purezza

«Vite rigogliosa era Israele, che dava sempre il suo frutto» (Os 10,1). Con questi termini il profeta Osea definisce il popolo di Israele, rigoglioso nel suo essere e nei suoi frutti. Amato e condotto da Dio, era stato da Lui rivestito di ogni grazia spirituale e materiale. Ma l’abbondanza materiale ed il godimento del favore di Dio gli fu fatale perché determinò nella sua instabile fede, un vero e proprio disorientamento, accentuando facili illusioni e cocenti delusioni. A causa dell’infedeltà il popolo fu abbandonato a se stesso ed indotto a tornare al Signore. In questa prospettiva si inscrive l’eroicità di virtù in vita ed in morte di S. Maria Goretti (1890-1902), vittima innocente ad appena 12 anni, delle pulsioni istintive di Alessandro Serenelli suo carnefice ed uccisore. Di essa si celebra oggi la memoria liturgica. Solerte lavoratrice accanto alla mamma Assunta rimasta vedova ed impegnata nel lavoro dei campi nell’Agro Pontino, dopo la prima Comunione aveva maturato nel suo cuore il proposito di mantenersi casta nel corpo e di morire piuttosto che commettere peccati. In maniera completamente diversa, la pensava il diciottenne Alessandro Serenelli che, invaghito della fanciulla, fu accecato dalla passione, fino a tentare di violentarla. Non avendo raggiunto il suo scopo, scaricó tutta la furia istintiva sul suo corpo inerme della povera fanciulla colpendola per quattordici volte con un punteruolo. Il perdono ricevuto dalla santa vittima, dopo aver scontato il carcere, lo indussero al pentimento ed al ritorno a Dio. La vite rigogliosa della verginità e del martirio ha dato i suoi frutti non solo con la conversione dell’assassino ma anche con l’eloquente testimonianza di custodia fino alla morte, della bella virtù della purezza, oggi non sempre compresa ed evangelizzata, talora finanche ridicolizzata. P. Angelo Sardone

Buon compleanno S. Annibale!

«Il dì 5 luglio 1851 ad un’ora e mezza di sera, nascita di mio figlio Anni­bale, così chiamato in memoria del Marchese Annibale Bonzi da Bologna». Il cavaliere Francesco Di Francia dei marchesi di S. Caterina dello Jonio, negli appunti di famiglia con questi termini annota la nascita del suo terzogenito, Annibale, avvenuta a Messina nella casa in Via Gesù e Maria delle Trombe (odierna Via San Giovanni Bosco). Gli impose il nome di Maria Annibale, in onore di Annibale Bonzi da Bologna, suo grande amico. L’arrivo del bimbo impreziosiva ulteriormente la vita della famiglia che si era costituita qualche anno prima col matrimonio del Di Francia con donna Anna Toscano dei marchesi di Montanaro (1847) ed era stata già allietata dalla nascita del primogenito Giovanni Maria (1848) e di Maria Caterina (1849) donna di grande bontà. Il clima di famiglia fu contrassegnato sin dall’inizio da un grande pudore della giovanissima sposa, che era convolata a nozze ad appena 17 anni ed era andata a convivere col marito solo dopo oltre due mesi, nella casa di proprietà della famiglia Toscano, sita nel quartiere Portalegni. Una fede cristiana di alta qualità imperniata in una profonda devozione mariana e carità evangelica, permise ai genitori di dare ai figli oltre che il nome di Maria come secondo nome, una profonda formazione alla carità verso i piccoli ed i poveri ed una grande venerazione verso S. Giuseppe. Questi elementi diverranno propri di Annibale Maria che li assimilò, li incastonò nel carisma della preghiera ed azione per le vocazioni che ricevé dal Signore e li esplicitò anche nella fondazione delle due famiglie religiose che nacquero dal suo cuore: le Figlie del Divino Zelo (1887) ed i Rogazionisti del Cuore di Gesù (1897). Buon compleanno, S. Annibale Maria! P. Angelo Sardone

La consolazione che viene da Dio

«Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò» (Is 66,13). Il lungo libro del profeta Isaia comprende 66 capitoli che riportano le gesta e le profezie di tre personaggi distinti e di epoche diverse che vanno sotto lo stesso nome. L’ultima parte, attribuita ad un Terzo Isaia, si colloca tra la fine dell’esilio e la costruzione del nuovo tempio a Gerusalemme, intorno al 520 a.C. L’oracolo sul tempio, che chiude il libro, comprende un giudizio su Gerusalemme e si conclude con un discorso escatologico. Un passaggio nel corposo giudizio che fa riferimento alla città di Gerusalemme, invita alla gioia per la sua ricostruzione e all’abbondanza di prosperità e ricchezza dei popoli, contiene un dolcissimo riferimento a Dio che consola, proprio come si comporta una madre verso il proprio figlio. Il tema in verità pervade tutta la seconda parte del libro detta ordinariamente “il Libro della consolazione”. Il bisogno di consolazione e di speranza si avverte maggiormente a seguito di situazioni particolari di difficoltà, a volte indipendenti dalla volontà, a volte dovute ad eventi di dolore, perdita di persone care, capovolgimenti di vita per gravi situazioni economiche, che necessitano di presenze consolatorie a conforto. Il nostro è il Dio di ogni consolazione, che consola in ogni nostra afflizione. Non lascia mai soli e proprio come una madre, attraverso eventi e persone singolari dona una carezza calda di amore ed offre uno spiraglio di luce che illumina il buio della vita e dà speranza. C’è oggi molta debolezza di consolazione. Mancano spesso consolatori. Chi si affida a Gesù è da Lui consolato ed è in grado di offrire a sua volta consolazione e condividerla con coloro che sono vittime del dolore e della disperazione. P. Angelo Sardone

La Madonna della Bruna a Matera

«Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda» (Lc 1,39). Fino alla riforma liturgica del 1969, il 2 luglio si celebrava la visitazione di Maria SS.ma a sant’Elisabetta. In essa si evocano la fede e la carità della Vergine di Nazaret messi a servizio delle necessità dell’anziana cugina Elisabetta prossima al parto. Oggi a Matera si venera Maria sotto il titolo singolare di «Madonna della Bruna», in origine un affresco bizantino risalente al 1270, del tipo “dell’odegitria”, conservato nella cattedrale. In esso Maria indica col dito Gesù che ha in braccio, come via di salvezza. Il titolo della «Bruna» non ha nulla a che fare con componenti cromatiche dell’affresco e della statua, ma richiama, secondo una etimologia linguistica, il termine “corazza” o Ebron, la città ove Maria si recò. L’intera città di Matera vive nella festa della sua protettrice, il giorno più lungo dell’anno. La statua della Madonna con il Bambino Gesù viene portata trionfalmente sopra un carro artisticamente addobbato. La Madonna della Bruna forma un tutt’uno con la Città dei Sassi, un legame che risale a più di 600 anni fa, il 1389, quando Papa Urbano VI fissò la festa liturgica della “Visitazione” al 2 luglio. La grandezza e la bellezza della festa sono caratterizzate oltre che dalle funzioni religiose, dalle sontuose luminarie, dalla processione col carro appositamente preparato e dallo strappo finale del manufatto che richiama la distruzione delle immagini sacre per evitare il saccheggio da parte dei Saraceni. Ogni anno viene proposto un nuovo carro a tema. Quest’anno è stato realizzato da Uccio Santochirico, giovanissimo maestro cartapestaio che guida il Laboratorio solidale della Cooperativa “Oltre l’arte” ubicato nei locali del Villaggio del fanciullo di Matera. Il racconto non può esaurire la realtà: almeno una volta nella vita bisogna vivere questa giornata a Matera. P. Angelo Sardone