Il desiderio del martirio

«Dio ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati» (Ef 2,5). Dio realizza per i cristiani ciò che ha operato con Cristo. La salvezza è gratuita e risponde alla sua misericordia e benevolenza. Attraverso il Battesimo i cristiani sono innestati in Cristo ed il mistero della sua risurrezione realizza contemporaneamente la salvezza e la vita nuova. Questa esperienza mirabile visse il martire S. Ignazio (35-107), uno dei primi Padri della Chiesa, vescovo e successore di San Pietro ad Antiochia in Siria. Nel corso della persecuzione di Traiano fu arrestato e condotto in catene a Roma per divenire pasto delle belve negli spettacoli organizzati in onore dell’Imperatore. Nel corso del viaggio scrisse sette lettere alle Chiese che incontrava lungo il cammino ed a Policarpo di Smirne; esse fanno parte della cosiddetta letteratura subapostolica. Temi comuni erano la fuga del peccato, l’accortezza dagli errori dell’eresia gnostica che riteneva apparente l’incarnazione di Cristo, l’unità della Chiesa. In una di esse per la prima volta la Chiesa viene definita “cattolica”, cioè universale. Pastore zelante ed amante del suo gregge, in maniera del tutto singolare, raccomandò ai Romani, una volta entrato nel circo per le feste imperiali, di non salvarlo dal martirio e dal pasto degli animali, avendo così la concreta possibilità di assomigliare a Cristo nella passione. Le bestie feroci dovevano essere la sua tomba. Un coraggio simile desta incredulità e stupore, perché testimonia in maniera concreta l’amore convinto per Gesù, proprio come l’Apostolo Paolo, col desiderio vivo di annientarsi per essere con il Maestro. P. Angelo Sardone

La forza della preghiera di intercessione

«Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk» (Es 17,11). Il cammino del popolo di Israele nel deserto è contrassegnato da tante difficoltà: mancanza di cibo e di acqua, guerra contro re e popoli per avanzare verso la terra promessa. Per le difficoltà alimentari, ci pensa Jahwé donando giornalmente la mamma, facendo scaturire acqua dalla roccia, dando le quaglie come carne. Ad affrontare le popolazioni ed i re ci deve pensare Mosé ed il suo fiduciario Giosuè, ma la vittoria appartiene sempre a Jahwé. Il ruolo di Mosé è quello di mediatore ed intercessore. Dinanzi alle continue ribellioni e mormorazioni il condottiero, pur stanco di un popolo dalla dura cervice, affronta ogni cosa ed affida a Dio la risoluzione. Nella battaglia contro Amalek, mentre Giosuè è nella valle a combattere, Mosé si stacca dal popolo e si isola sul monte per pregare e chiedere al Signore il sostegno nella lotta e la vittoria. Il suo gesto è la sua postura sono quelli dell’orante: le braccia alzate al cielo. Ma col tempo sente la stanchezza ed è costretto a sedersi ed a farsi sostenere le braccia da due che gli sono accanto, Aronne e Cur. Le mani levate al cielo sono il segno della invocazione ed è immediata la risposta propizia di Dio che si riverbera nel campo di battaglia con la vittoria degli Ebrei. Si tratta dei primi arcaici insegnamenti e testimonianze bibliche sulla forza e l’efficacia della preghiera, esemplificati dal tratto storico che rende più concreto e visibile l’intervento di Dio. È sottolineato così il grande valore dell’intercessione. Chi è nella valle a lottare deve essere sempre sostenuto da chi sul monte per vincere invoca l’aiuto che viene dal Signore. P. Angelo Sardone

Sintesi liturgica XXIX domenica del Tempo ordinario

Nella battaglia contro Amalèk, Israele prevale grazie all’intercessione di Mosè che sul monte con le braccia alzate supplica il Signore. Il supporto di Aronne e Cur che gli sostengono le mani, gli permette di non stancarsi e perseverare. La necessità di pregare sempre, è esemplificata da Cristo con la parabola del giudice senza scrupoli e della vedova che lo importuna fino a quando non è esaudita. Dio ascolta chi grida verso di Lui giorno e notte. La Scrittura istruisce per la salvezza: è ispirata da Dio ed è utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia. Se la si conosce, non solo l’uomo di Dio, ma chiunque potrà ritenersi completo e ben preparato per ogni opera buona. A maggior ragione chi ha ricevuto il ministero dell’annuncio, perché con essa insiste sempre, ammonisce, rimprovera, esorta. P. Angelo Sardone

Santa Teresa la Grande

«Il Padre vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di Lui e per comprendere quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi» (Ef 1,18-19). Il ministero apostolico di Paolo si caratterizza anche con il ricordo e la preghiera per quanti accolgono il mistero del Vangelo. La sua accorata invocazione chiede al Signore di dare loro lo spirito di sapienza ed intelligenza per poter comprendere la speranza, la gloria e l’eredità promessa ai Santi. Queste verità si sono concretizzate nella vita e nell’opera di una delle donne più straordinarie dell’agiografia cristiana, S. Teresa di Gesù (1515-1582), la grande riformatrice del Carmelo. Come altri santi, spagnola di nascita, donna di contemplazione e di efficace e vigorosa azione, mistica e insieme immersa nelle faccende e relazioni umane, ha lasciato una traccia perenne nella Chiesa per la sua azione rivoluzionaria ed il coraggioso rinnovamento impresso all’Ordine dei Carmelitani. A partire dalla sua conversione avvenuta all’età di 39 anni, giunse gradualmente e faticosamente a percorrere la strada della perfezione obbedendo agli impulsi della grazia, intuiti nel profondo del cuore e nella contemplazione dei divini misteri, ma anche resi noti dai suoi direttori spirituali. La sua azione riformatrice interessò entrambi i rami del Carmelo, femminile e maschile, coinvolgendo anche S. Giovanni della Croce che si fece interprete convinto della novità impressa dall’ardita consorella. Nel 1970 le sue opere le valsero il riconoscimento pontificio di «dottore della Chiesa». Sapienza ed intelligenza determinarono in lei la profonda conoscenza di Gesù esplosa nel dono della sua condivisione. La sua testimonianza è ancora oggi attrattiva per tanti che scelgono di vivere analogo cammino di perfezione che porta verso il monte santo, Gesù Cristo. Auguri a tutte coloro che ne portano il nome. P. Angelo Sardone

Il sigillo dello Spirito

«Avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, caparra della nostra eredità» (Ef 1,14). Il Battesimo conferisce la grazia. Lo Spirito la completa mediante il gesto sacramentale dell’imposizione delle mani che esprime la sua effusione su quanti la ricevono e l’unzione del sacro crisma, olio profumato consacrato dal vescovo il giovedì santo. Come nel Battesimo l’unzione col crisma è fatta sul capo, nel sacramento della Cresima, dal vescovo è fatta sulla fronte, dopo aver imposto la mano, dicendo: «Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono». In questa maniera il cristiano chiamato ad essere adulto nella fede e soldato di Cristo, riceve come una impronta spirituale indelebile che si chiama “carattere”: è così configurato a Cristo e da Lui riceve la grazia di spandere il “buon profumo” tra gli uomini (cfr 2 Cor 2,15) difendendo la fede, diffondendola, «per riflettere Gesù Cristo nel mondo di oggi» (Papa Francesco). Il sigillo è come un marchio indelebile che contrassegna per sempre e suggella un diritto di proprietà. Come nell’antichità, esso ha un valore anche giuridico: il proprietario contrassegna le cose o le persone come suo possesso e le marchia. Il sigillo dello Spirito è il segno dell’appartenenza a Dio, un segno che non viene mai meno, nonostante la creatura possa recedere dal patto. Per questo S. Ambrogio esortava a conservare ciò che si è ricevuto dal momento che «Dio Padre ti ha segnato, ti ha confermato Cristo Signore e ha posto nel tuo cuore quale pegno lo Spirito». Questo dono va custodito con grande attenzione ed impegno, sostenuti dai benefici che da esso ne derivano. P. Angelo Sardone

Scelti per essere santi ed immacolati

«In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (Ef 1,4). Ogni lettera di San Paolo ha la sua importanza. Il complesso scritturistico dell’Apostolo delle genti proprio perché ispirato da Dio, ha un valore incommensurabile per la formazione ed i fondamenti della fede cristiana. La lettera che egli scrive da Roma alla fine della prima prigionia tra il 62 ed il 63, molto probabilmente di carattere circolare, viene denominata dalla Tradizione diretta agli abitanti di Efeso, sicuramente perché in questa metropoli asiatica è stata conservata e ritrovata, quando nel 125 cominciò la formazione sistematica del corpus delle lettere di Paolo. Uno dei presupposti paolini è quello di incentrare ogni cosa in Cristo. Ciò viene anche evidenziato, nei cosiddetti inni cristologici presenti in alcune lettere. Qui, inserito in una benedizione, viene indicato il disegno divino sull’umanità e su ciascuna creatura, che fa riferimento ad una scelta antecedente la creazione, «da sempre». Esso si specifica in due direzioni: l’elezione e la predestinazione ad essere figli adottivi. Appartiene come ad un sogno e ad un vero progetto, la scelta da Lui operata perché ciascuno persegua l’obiettivo della santità e la purezza nella carità: consacrati a Lui nel Battesimo e dediti alla carità, all’amore, al servizio. L’adozione a figli suoi accanto a Gesù, il Figlio unigenito, garantisce la partecipazione alla vita della famiglia di Dio. Questi alti concetti teologici si sperimentano nella vita della Chiesa nella misura in cui si accoglie la Parola, la si medita nel cuore, si cerca di tradurla ogni giorno nella vita. P. Angelo Sardone

Le opere della carne ed i frutti dello Spirito

«Se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Sono ben note le opere della carne» (Gal 5,18). Un articolato, distinto e preciso elenco di opere contrarie allo Spirito, contraddistingue l’indicazione di Paolo agli abitanti della Galazia per affermare ulteriormente la nuova prospettiva di una fede pratica che deriva da Cristo Risorto. Nella dialettica spirito e carne, l’apostolo in maniera inequivocabile e ferma, stigmatizza le relative opere e frutti. Quelle che si riferiscono alla carne sono 14; quelle allo Spirito sono invece 9. In entrambi i casi si tratta di multipli: 14, è il multiplo di sette che indica la pienezza, 9, di tre che indica in genere la perfezione. Occorre rispolverare in maniera adeguata il significato ed il valore di questi elementi dai quali può dipendere, insieme con la salvezza e la santificazione, l’impostazione ed il retto andamento della vita morale del cristiano, il suo fallimento o peggio la sua dannazione. Fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere, sono elementi ben precisi ed attuali che non richiedono chissà quale spiegazione, essendo comuni e rilevanti nel modo di vivere di ogni tempo. L’eredità del Regno è impedita a chi compie simili opere. Amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé, sono invece i frutti dello Spirito che garantiscono un autentico cammino spirituale serio, maturo ed efficace per la salvezza e l’acquisizione certa del Regno di Dio. P. Angelo Sardone

La fede nella verità con la carità

«Perché in Cristo Gesù vale la fede che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6). Il nucleo centrale della libertà per i cristiani, secondo l’apostolo Paolo, è dato dal fatto che, la morte e risurrezione di Gesù Cristo ha liberato dalla schiavitù del peccato e della morte. Si tratta di una novità di vita che apre all’accoglienza universale e ad una libertà più grande perché ormai non contano le provenienze geografiche e culturali ma la sola fede che deve rendersi operativa con e nella carità. Ciò deve diventare il distintivo del cristiano perché l’umanità di oggi necessita di persone semplici, concrete che, come Gesù, si mettano a fianco dei fratelli condividendo la loro fatica e le loro difficoltà. Il servizio della carità diventa proprio di ogni cristiano perché rende visibile così l’amore del Signore nei termini di gratuità ed oblazione generosa. Una fede richiusa solo nelle affermazioni dottrinali o negli ambiti ecclesiali senza possibilità di uscita e di servizio, rimane monca, idealista, forse anche opportunista. La fede nell’accoglienza del mistero della vita e dell’opera di Cristo, fondata sulla sua mirabile risurrezione, si rende operativa nel dono di sé agli altri e nel servizio di carità con le sue molteplici forme e secondo le diverse caratteristiche indicate dallo stesso S. Paolo (1Cor 13,4-8). Una fede collocata negli ambiti di un credo ripiegato su se stessi, senza un afflato caritativo e di servizio, può correre il rischio, come dice l’apostolo Giacomo, di divenire perfino “morta”. Probabilmente c’è da rivedere molta della nostra vita di fede per farla crescere in verità e carità. P. Angelo Sardone

La verità che rende liberi

«Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù» (Gal 5,1). La polemica con i Giudei si traduce in pratica in una trattazione apologetica. Paolo fa riferimento al Vecchio Testamento ricorrendo ad una allegoria, due donne: Agar, la schiava di Abramo, madre di Ismaele, Sara, madre di Isacco. Esse indicano le due alleanze e due contesti precisi: il legalismo, livello umano e terrestre, identificato col monte Sinai, e la Gerusalemme celeste identificata con la Chiesa, che esprime un regime di libertà e la nuova identità di madre feconda di figli. In quest’ultima l’iniziativa è di Dio. I cristiani sono identificati coi figli della donna libera, i figli della promessa. La conclusione presentata dall’apostolo in contrasto con coloro che a tutti i costi volevano riportare indietro la prospettiva dei nuovi cristiani della Galazia, verso la circoncisione e la sola Legge di Mosè, è chiara ed esige una scelta: o essere cristiani con tutte le implicazioni del caso o si è Giudei. Non c’è una via di mezzo. La libertà dei figli di Dio esige tutto questo! Ma anche l’accortezza e l’intelligenza nel non fare sovvertire le verità accolte con la predicazione seria e convincente del Vangelo che guarda al futuro, a fronte di una predicazione ristretta che guarda solo al passato ed ai suoi elementi vincolanti. E’ straordinaria l’attualità di simili affermazioni. In Gesù Cristo tutto è stato superato. Sguardi nostalgici ed ossessivi al solo passato che non considerano il presente illuminato dalla grazia dello Spirito, bloccano l’intraprendenza e la libertà e rendono schiavi. P. Angelo Sardone

La Madonna del Rosario

«In te saranno benedette tutte le nazioni. Quelli che vengono dalla fede sono benedetti insieme ad Abramo, che credette» (Gal 3,7). Nella storia della salvezza la figura di primo piano, sia cronologicamente che teologicamente è il patriarca Abramo, l’uomo della fede. La sua esperienza e la sua testimonianza pervadono l’intera Scrittura. A lui si ispirano i veri credenti che vanno al di là di ogni speranza e si fidano di Dio. Una di questi è Maria di Nazaret, che oggi si venera come Beata Vergine del Rosario, una memoria di ordine devozionale, legata alla vittoria delle truppe cristiane su quelle ottomane il 7 ottobre 1571. Unanimemente l’evento propizio fu attribuito alla benevolenza di Dio ed alla potente intercessione di Maria, pregata con il santo Rosario. La tradizione barre che già a suo tempo S. Domenico di Guzman aveva visto la Madonna che gli aveva consegnato il Rosario, come mezzo efficace per sconfiggere le eresie.  Questa stessa preghiera è «amata da numerosi Santi e incoraggiata dal Magistero, perché preghiera dal cuore cristologico» (S. Giovanni Paolo II). Essa si colloca nell’alveo della contemplazione cristiana. Tanto è vero che nella enunciazione dei misteri si dice: «nel … mistero si contempla…». Non si tratta quindi di roba da vecchierelle, come direbbe S. Paolo, ma di una devozione e di un pio esercizio valido e potente contro il male. In diverse sue apparizioni la Vergine Santa l’ha sempre raccomandato. Come è bello poter rivedere la corona del Rosario «torre di salvezza negli assalti dell’inferno» (Bartolo Longo) non solo nelle mani, al collo, o avvinta ad un dito, ma soprattutto sulla bocca e nel cuore dei credenti! Auguri a tutti coloro che portano il nome di Rosario e Rosaria. P. Angelo Sardone