La rissa contro gli Apostoli: invidia e gelosia

«Suscitarono una persecuzione contro Paolo e Bàrnaba e li cacciarono dal loro territorio» (At 13,50). La predicazione di Barnaba e Paolo ad Antiochia sortisce grandi effetti di conversione e propagazione della fede. Dio stesso ha spalancato loro le porte per l’annunzio del Vangelo ai pagani che si dimostrano ben disposti ad accogliere la novità legata a Cristo morto e risorto. La Parola si diffondeva in tutta la regione. Gli ostacoli maggiori alla predicazione ed alla diffusione del messaggio evangelico venivano intanto proprio dai Giudei i quali manifestavano una sorta di insofferenza ed ostilità nei confronti dei due che ritenevano sovvertitori della Legge anche per il fatto che riuscivano ad entrare nel cuore della gente con facilità, trovandovi pieno consenso. Non potendo fare altro, scatenano una persecuzione contro i due apostoli. La gelosia nei confronti dei due evangelizzatori si tramuta ben presto in bestemmie contro di loro nel tentativo di dissuadere la gente che invece, non solo aveva ascoltato, ma li aveva pregati di tornare ad insegnare anche il sabato successivo. L’ira e l’invidia dei capi dei Giudei riescono a sobillare i notabili della città e le donne perché si mobilitino ed attuano il piano della persecuzione e dell’allontanamento dei due dalla città. Mettendo in pratica quanto Gesù aveva previsto ed insegnato, i due pieni di gioia, scuotono la polvere dai loro calzari contro di loro e vanno verso Iconio a 140 km da Antiochia nella provincia romana della Galazia. Il tarlo nella vita della Chiesa, opera spesso di chi ha responsabilità e non agisce secondo Dio, è proprio l’invidia è la gelosia. Non si può mettere freno all’opera di Dio quando questa è comprovata dal buonsenso e dai frutti generali e non particolari di un gruppetto di persone che si legano in maniera esagerata a questo o a quest’altro apostolo, invece che a Gesù Cristo ed alla sua Chiesa. P. Angelo Sardone

La chiarezza della parola di Dio

«Vi annunciamo che la promessa fatta ai padri si è realizzata, perché Dio l’ha compiuta per noi, loro figli, risuscitando Gesù» (At 13,32-33). Il lungo ed articolato discorso di Paolo ha il suo culmine nell’annunzio del kerigma: Cristo è morto, Cristo è risorto. É questo il nucleo essenziale dell’annunzio di ogni tempo e la base primordiale della fede cristiana. Ciò si pone in continuità con tutto ciò che era stato scritto di Gesù, anche se gli abitanti di Gerusalemme e i loro capi pur non avendolo riconosciuto con la condanna a lui inflitta, hanno contribuito a realizzare le profezie. Il loro compito si è concluso con la deposizione dalla croce e l’affidamento al sepolcro. La risurrezione è opera esclusiva di Dio Padre che in questa maniera ha adempiuto la sua promessa. Ora il dono della conoscenza di questa nuova via passa ai pagani per via della testimonianza degli Apostoli e di quanti con loro se ne fanno promotori. Ancora una volta l’Apostolo fonda le radici delle sue affermazioni nella Scrittura perché da essa, come da un prezioso giacimento, provengono le verità che andranno man mano a consolidarsi. Nei nostri tempi un ricorso maggiore e competente alla Scrittura, soprattutto da parte di noi sacerdoti, più che alla sociologia ed alla psicologia, aiuterebbe con frutto tanti fedeli nella via della fede, liberando il cuore e la mente da false ideologie destinate a cadere, consolidando i valori che sono trasmessi nella catechesi e nei sacramenti. Il popolo di Dio, saggio e desideroso davvero di camminare, questo ricerca, sia dall’altare che da ogni esperienza di formazione, più che performances di discutibile efficacia. P. Angelo Sardone

Saulo è Paolo

«Uomini d’Israele e voi timorati di Dio, ascoltate» (At 13,16). È cominciato il primo viaggio missionario di Saulo, accompagnato da Barnaba, perché così ha deciso lo Spirito Santo che li ha fatti segregare, destinandoli alla sua opera. Dopo l’evangelizzazione dell’isola di Cipro ad opera di Barnaba, il più anziano, e Saulo che da ora in poi viene chiamato Paolo, i missionari passano dalla predicazione ai Giudei a quella ai pagani, dirigendosi verso Antiochia di Pisidia. A Cipro c’era stato un grande convertito, Sergio Paolo. Forse proprio per questo, o perché già l’aveva come secondo nome, S. Luca d’ora in poi sostituirà al nome Saulo quello di Paolo che prenderà definitivamente in mano le redini della evangelizzazione. Nella sinagoga di Antiochia, dopo la proclamazione di letture tratte dalla Torah e dai Profeti, Paolo prende la parola e tiene una lunga omelia con forti connotati e reminiscenze bibliche. In essa ci sono i parametri innanzitutto della comprensione delle Scritture e poi anche i criteri della nuova evangelizzazione che dirige tutto il fatto storico antecedente a Cristo. I suoi interlocutori sono definiti timorati di Dio. L’annunzio non si restringe dunque più agli uomini e donne di fede ebraica, gli «uomini di Israele» ma è per tutti indistintamente. È assolutamente importante l’ascolto dal quale sarà veicolata poi la fede. All’origine della missione c’è la chiamata. Quella operata dallo Spirito si esprime con l’elezione di Saulo che in forza di essa assume il nome nuovo, Paolo, e si realizza in termini completamente nuovi. Messo da parte il passato e le sue glorie, Paolo comincia seriamente con toni nuovi e identità nuova la sua missione evangelizzatrice che sfiderà gli uomini ed i tempi. P. Angelo Sardone

Filippo e Giacomo, testimoni della risurrezione

«Vi proclamo il Vangelo che vi ho annunciato e nel quale restate saldi e dal quale siete salvati, se lo mantenete come ve l’ho annunciato» (1Cor 15,1). La preoccupazione costante di S. Paolo è stata quella di annunziare il Vangelo con fedeltà assoluta a quanto ricevuto. Ciò costituisce la cosiddetta «traditio». Il vangelo è fondato sul mistero della risurrezione di Cristo attestato dalle fonti testimoniali ed affermato con fermezza ed integrità a partire proprio da esse. Tra i tanti elencati dall’Apostolo, beneficiari dell’apparizione del Risorto, è citato l’apostolo Giacomo il minore del quale, insieme con Filippo, si celebra oggi la festa liturgica, a ricordo della deposizione delle loro reliquie a Roma, nella chiesa dei Dodici Apostoli. Filippo, come Pietro ed Andrea, proveniva da Betsaida. Fu prima discepolo di Giovanni Battista e poi chiamato direttamente da Gesù alla sua sequela. Ansioso di sapere le cose essenziali, viene da Gesù dolcemente rimproverato di non avere saputo riconoscere in Lui il volto del Padre. Giacomo, figlio di Alfeo e cugino di Gesù, fu una personalità rilevante non solo nel Concilio di Gerusalemme, ma anche come capo della Chiesa, alla morte dell’omonimo Giacomo, il maggiore. Scrisse una lettera che si dice cattolica, ritenuta al pari di una enciclica, indirizzata alle “dodici tribù disperse nel mondo”, cristiani di origine ebraica che vivevano in diaspora. Le loro vicende sono riportate nei testi evangelici e negli Atti degli Apostoli. L’annuncio del Vangelo fu per entrambi il lascito del risorto. Auguri a coloro che portano il loro nome, perché traducano nella vita di ogni giorno gli insegnamenti evangelici che salvano e nei quali bisogna rimanere saldi. P. Angelo Sardone

S. Atanasio difensore della divinità di Cristo

«Questi esortava tutti a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore, da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede» (At 11,23). La persecuzione scatenata a seguito della morte di Stefano aveva determinato la cosiddetta «diaspora», cioè la dispersione dei seguaci di Cristo e degli Apostoli nelle terre vicine, la Fenicia verso il mare, l’isola di Cipro e la città di Antiochia, in Siria. Visto che aumentavano le conversioni e l’adesione al Cristianesimo era crescente, la Chiesa madre di Gerusalemme mandò ad Antiochia, Barnaba, soprannome di quel Giuseppe che aveva venduto le sue proprietà depositando il ricavato ai piedi degli Apostoli. Era stato proprio lui a farsi garante di Saulo dinanzi alla naturale diffidenza della Chiesa nei confronti dell’ex persecutore dei cristiani. Il testo sacro lo definisce uomo virtuoso, pieno di Spirito Santo e di fede, ma anche risoluto esortatore nel rimanere fedeli al Signore. Nella storia questi esempi e disponibilità di autentici «facilitatori» si moltiplicheranno già nei primi secoli e concorreranno non solo allo sviluppo della fede e della conoscenza di Cristo, ma anche alla salvaguardia dei valori teologici che determinano il domma. Uno di questi viene ricordato nell’odierna liturgia: S. Atanasio (295-373) vescovo di Alessandria d’Egitto, dottore della Chiesa ed intrepido assertore della divinità di Cristo, negata dagli Ariani e proclamata dal Concilio di Nicea (325). La sua fermezza gli costò sofferenza ed esilio. Conobbe S. Antonio abate del quale scrisse la vita con episodi singolari ed insegnamenti risolutori delle controversie ariane, oggi attuali: «i demoni sono astuti e pronti a ricorrere ad ogni inganno e ad assumere altre sembianze… fingono di parlare come uomini di fede per trarre in inganno e trascinano dove vogliono le vittime dei loro inganni». P. Angelo Sardone