Il santo della gioia e del Paradiso

«Quelli che lo incolpavano gli si misero attorno, ma non portarono alcuna accusa» (At 25,18). L’opera evangelizzatrice di Paolo viene infastidita e bloccata dalle continue accuse che gli fanno circa la novità della sua dottrina. Il Signore glielo aveva ampiamente predetto. Feroci giudizi, carceri, fustigazioni sono solo alcuni elementi da corredo nella sua passione vivente. Gli oppositori non sono i pagani ma i suoi stessi correligionari. Gli insulti poi non si contano: viene chiamato addirittura «peste di uomo» per le cose sensazionali che va predicando ed è talmente pericoloso che per assicurargli la vita, il tribuno lo fa scortare da 200 uomini finché non giunge a Cesarea nelle mani del nuovo procuratore, Festo. Anche qui è soggetto ad un processo ma, coloro che lo incolpavano, messisi attorno, non portavano ragioni probanti ed accuse consistenti. Era la strada che il Signore gli aveva prefigurato per il raggiungimento degli obiettivi evangelici. Nella vita di S. Filippo Neri (1515-1595) di cui oggi si celebra la memoria, fiorentino di nascita e romano di adozione, soprattutto nell’ultima fase della sua esistenza, dopo tutto un lungo e profondo lavoro di evangelizzazione che aveva compiuto a Roma a favore di giovani, adulti, malati e pellegrini, fioccarono contestazioni circa i suoi discorsi ed i metodi missionari innovativi. Colpisce la sua identità di mistico e contemplativo, gioioso formatore di tanti ragazzi e giovani con una metodologia che si scostava da quella classica e col brio, col canto ed il buonumore, conduceva tutti a Cristo. È significativa la fiction televisiva «Preferisco il Paradiso» che tratteggia in forma originale l’identità e la missione di questo grande apostolo di Cristo. P. Angelo Sardone

Paolo, fariseo doc

«Io sono fariseo, figlio di farisei; sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti» (At 23,6). Paolo è tornato a Gerusalemme e si mostra comprensivo nei confronti dei cristiani provenienti dal giudaismo. Quelli però provenienti dall’Asia mettono in subbuglio la folla accusandolo di predicare contro la Legge ed il Tempio, avendo ivi introdotto dei Greci. Paolo viene preso, malmenato, finché un tribuno non lo arresta e lo mette in carcere. Ottenuto però il permesso di parlare al popolo, l’Apostolo racconta ancora una volta la sua conversione. Condotto in carcere mentre sta per essere flagellato rivendica la sua identità di cittadino romano. Perplesso il tribuno lo fa accompagnare nel Sinedrio, composto da farisei e sadducei. Qui Paolo gioca d’astuzia, meritandosi l’attenzione dei primi, in quanto, afferma, di essere fariseo e figlio di farisei ed inoltre perseguitato a causa della speranza della risurrezione. Questo termine provoca un tafferuglio tra loro dal momento che i sadducei non credono nella risurrezione. La sua capacità oratoria e l’accorto buonsenso gli permettono anche questa volta di tirarsi fuori, mentre il tribuno, vista la mala parata, lo riconduce in prigione dove la notte il Signore apparendogli gli comunica che la medesima testimonianza sarà chiamato a darla a Roma. Questo tratto storico documentato nei particolari, è davvero avvincente e manifesta come il prosieguo della missione apostolica è regolato da Dio. Quanto è importante soprattutto per noi sacerdoti, avere questa coscienza, quando tribolati e perseguitati, pur mettendo a frutto il necessario buon senso, siamo guidati dall’unica forza misteriosa che è Cristo. P. Angelo Sardone

I lupi, rapaci distruttori

«Vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato, tra le lacrime, di ammonire ciascuno di voi» (At 20,31). L’accorato saluto che Paolo fece ai cristiani di Efeso, consapevole per rivelazione di Dio che non li avrebbe più rivisto, si conclude con una forte e vincolante esortazione: vigilare e non permettere che lupi rapaci sotto mentite spoglie di predicatori spregiudicati ed avventizi, falsi profeti, disorientino la vita e le loro coscienze. Il tratto tenero, affettuoso e mesto delle parole dell’Apostolo, non può sottrarsi ad una presa di posizione ferma e decisa dinanzi al fenomeno, tipico anche oggi in alcune comunità cristiane, nelle quali gli ultimi arrivati agiscono come se prima di loro c’era il nulla, spazzando via ogni cosa, anche quelle che sono state costruite, proprio come per l’Apostolo, tra lagrime ed ammonizioni sensate per il bene esclusivo dei credenti. Un attaccamento serio e vincolante agli insegnamenti autentici ricevuti, e non tanto al predicatore che certo ha la sua parte, quando si è verificato in forma piena e matura da parte dei fedeli, fa camminare da soli, e fa distinguere le parole affettate, le moine di turno, talora solipsistiche e compensatorie, da quelle che presentano profondità di pensiero e testimonianza credibile di azioni. La rivendicazione di Paolo è molto significativa: per circa tre anni aveva annunziato il Vangelo con le ammonizioni derivanti, come un pastore fa verso le sue pecore. I lupi, i mercenari ed i briganti non hanno alcun diritto di distogliere un cammino quando questo è fatto seriamente, a meno che il pastore sia stato leggero o egocentrico. Ma questo si vede subito quando le pecore spariscono e non si sa più dove siano. P. Angelo Sardone

L’umiltà è verità

«Non ritengo in nessun modo preziosa la mia vita, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di dare testimonianza al vangelo della grazia di Dio» (At 20,24). Fa impressione cogliere questa confessione dal vivo di S. Paolo, mentre a Mileto parla agli anziani della Chiesa di Efeso lì convocati. Sta per partire per Gerusalemme e in un clima di affetto e di grande commozione per tutti dà loro l’addio, affermando di essere «incatenato» e dominato dallo Spirito. L’Apostolo che non si è mai sottratto alla verità per proclamare e testimoniare la grandezza di Dio che ha operato in lui, più di qualche volta, soprattutto nelle sue lettere, non tace riferimenti autobiografici che confermano la grazia abbondante a lui donata da Dio. E la verità è questa, riassuntiva della sua vita: ha servito il Signore con umiltà, nonostante le lacrime e le prove procurate dalle insidie dei Giudei; non si è tirato mai indietro nella predicazione e nell’istruzione, sia pubblicamente che in privato, testimoniando a tutti la conversione a Dio e la fede nel Signore Gesù. La preziosità della sua vita mantiene il suo valore oggettivo, anche se è evidenziata da lui in profonda umiltà, come uno scarso valore. Nonostante tutto il suo intento e la sua missione è portare a termine il servizio affidatogli dal Signore Gesù, una corsa verso la meta, dando testimonianza al Vangelo che ha generato la grazia che gli ha fatto operare un ministero singolare. I Santi hanno vissuto la conclusione della loro missione con questo tenore. Nel suo autoelogio funebre S. Annibale, a prova di umiltà, sottovaluta grandemente la sua persona e le sue doti, ma non tace assolutamente la sua «fissazione ed il suo zelo» per il Rogate. L’umiltà è verità. P. Angelo Sardone

Santa Rita

«Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33). Gli insegnamenti di Gesù sono profondi e nello stesso tempo alla portata di tutti. Ciò che gli Apostoli ed i suoi seguaci non erano riusciti a comprendere viene svelato in maniera più esplicita sia in vista della passione e morte che del dono dello Spirito rivelatore della verità tutta intera. Chi segue Cristo deve prepararsi a subire nel mondo tribolazioni e disagi. La speranza nel risorto e l’accoglienza dello Spirito offre la possibilità di tradurre le difficoltà della vita in opportunità di salvezza e di santificazione. In questa cornice evangelica si situa la vita e l’opera di una delle sante più popolari dell’agiografia cristiana, santa Rita da Cascia (1381-1447) lustro e gloria dell’Ordine agostiniano. Nata in una famiglia di pacieri e segnata sin da piccola da eventi misteriosi e profetici, andò sposa ad un uomo, «un ghibellino risentito», divenendo madre di due figli. La tragica morte del marito assassinato ed il desiderio di vendetta nella famiglia, furono da lei affrontati con coraggio e spirito evangelico denso di perdono, carità ed eroismo, fino a chiedere al Signore che i suoi figli piuttosto morissero anziché macchiarsi della grave colpa dell’omicidio. Rimasta vedova e sola, si ritirò a Cascia nel convento delle monache agostiniane per dedicarsi esclusivamente a Dio nella contemplazione e nella vita ritirata in un cammino di ascesi, preghiera, penitenza ed anche azione. Il viaggio a Roma per la canonizzazione di S. Nicola di Tolentino, il dono di una spina pungente chiesta al Signore come dono di amore e conficcatasi sulla fronte, la rosa e due fichi raccolti per lei in un orto pieno di neve, sono alcuni noti elementi della sua storia nell’itinerario di santificazione costruita giorno per giorno nel servizio al Signore. Auguri a tutte coloro che ne portano il nome, perché la loro vita si conformi sempre più alla volontà di Dio. P. Angelo Sardone

Ascensione di Gesù al cielo

«Mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi» (At 1,9). Il mistero della risurrezione di Cristo, evento straordinario sul quale si basa la fede cristiana, ha come passo intermedio, sia storicamente che teologicamente, l’Ascensione di Gesù al cielo. Essa precede la discesa dello Spirito Santo e segna il compimento della missione salvifica di Cristo sulla terra. Il dato storico è accuratamente narrato dall’evangelista Luca, autore del libro degli Atti degli Apostoli, proprio all’inizio di questo testo straordinario che descrive gli inizi della Chiesa, i movimenti degli Apostoli e confluisce poi nel resoconto dettagliato dei viaggi di Paolo fino a raggiungere Roma. L’attento cronista riporta le ultime azioni di Cristo prima della sua ascensione corporea, sottolineando il fatto che gli Apostoli gli sono sempre accanto prima del suo commiato definitivo ed ascoltano con attenzione le sue ultime raccomandazioni. Si ritrovano con Lui a tavola ed il Maestro li assicura che la venuta dello Spirito santo porterà a loro la conoscenza piena del mistero di Dio con le circostanze che egli stesso ha preannunziato con la sua autorità. Si trovano poi sul monte Oliveto, presso Gerusalemme e qui Gesù si sottrae definitivamente dai loro sguardi ascendendo al cielo. Gli occhi perplessi degli Apostoli sono rivolti in alto quasi a chiedere ragione di quel che sta avvenendo. La risposta indicativa degli Angeli è l’apertura alla nuova situazione nella quale i discepoli di Cristo e la Chiesa si troveranno d’ora in poi senza la presenza fisica di Gesù, con il mandato loro affidato di annunziare il Regno a tutte le genti. Non bisogna guardare il cielo per sapere quando Egli tornerà, ma impegnarsi ogni giorno a realizzare ciò che Egli ha insegnato, nella fedeltà al Vangelo ed al Magistero della Chiesa. P. Angelo Sardone