La saggezza ed il discernimento

«Dà all’Altissimo secondo il dono da lui ricevuto, e con occhio contento» (Sir 35,12). Il libro didattico-sapienziale del Siracide è un ottimo sussidio di profonda riflessione: aiuta l’uomo e la donna di ogni tempo, a confrontarsi con la sapienza di Dio che si rispecchia nell’ordinarietà della vita. Gesù figlio di Sirach, l’autore sacro, unisce in sé la duplice identità di fervente ritualista e di esigente moralista nell’osservanza di tutte le leggi di giustizia e di carità. Presentando l’importanza della Legge ed il dovere dei sacrifici, esorta a donare all’Altissimo secondo il dono particolare ricevuto ed a farlo con occhio e cuore contento. La vita, in fondo, altro non è che un inno di lode al Dio datore di ogni bene ed alla sua grandezza che si rispecchia nella creazione e nelle creature dotate di intelligenza e riconoscenza. La capacità acquisita di fare discernimento della propria esistenza permette di enumerare i doni di natura e di grazia ricevuti, per metterli a disposizione di Dio e degli altri. Questo è un dovere di tutti, e lo diventa ancor più nella misura in cui si conosce e si attua la propria personale vocazione. È importante discernere i doni che Dio elargisce con generosità, per giungere ad una vera e propria «identificazione vocazionale» che permette poi di agire mettendo in atto ciò che si è ricevuto. Nella realizzazione del proprio cammino di vita è indispensabile, dopo aver intuito ciò che si è ricevuto, farsi aiutare nel discernimento ulteriore per dare senso pieno alla propria esistenza e ridonare a Dio con altrettanta generosità, ciò che si è ricevuto. Per questo è indispensabile la ricerca ed il ricorso a buoni educatori, retti formatori, saggi consiglieri e ad apostoli secondo il cuore di Dio. P. Angelo Sardone

Maria Madre della Chiesa

«La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato» (Gn 3,12). Per volere di Papa Francesco, nella giornata odierna, lunedì dopo la Pentecoste, si celebra la memoria liturgica di «Maria Madre della Chiesa», un titolo riconosciuto ufficialmente da S. Paolo VI, il 21 novembre 1964, a conclusione della terza sessione del Concilio Vaticano II. Egli dichiarò la beata Vergine Maria «Madre della Chiesa, cioè di tutto il popolo cristiano, tanto dei fedeli quanto dei Pastori, che la chiamano Madre amantissima». Questo titolo significativo impreziosisce ancora di più l’identità del Vergine Santa alla quale Gesù Cristo stesso, morente sulla croce affidò l’umanità intera nella persona dell’Apostolo Giovanni. Proprio in questo contesto, nella riflessione dei Padri della Chiesa, Maria viene presentata come la novella Eva, la madre di tutti i viventi, unita intimamente a Cristo, nuovo Adamo ed a Lui soggetta. Maria non è solo la figura escatologica della Chiesa, ma anche e soprattutto la Madre delle membra di Cristo avendo cooperato con la sua carità alla nascita dei fedeli della Chiesa, i quali di quel Capo sono le membra, e dunque la Madre della Chiesa. Era presente sin dagli inizi nel Cenacolo di Gerusalemme insieme con gli Apostoli e li seguiva e sosteneva con la sua preghiera. Questo titolo era molto caro a S. Annibale Maria Di Francia, il quale così definisce ed invoca Maria nella conclusione della sua prima preghiera per chiedere al Signore il dono dei buoni evangelici operai scritta il 1880. Maria, «è il buon terreno in cui il seme del Rogate è stato seminato ed è cresciuto» (S. Annibale) ed è Colei che, con la sua presenza e la sua preghiera, procura alla Chiesa gli operai del Regno. P. Angelo Sardone

La glossolalia

La Pentecoste è il compimento pieno della Pasqua, il cinquantesimo giorno dalla risurrezione di Cristo, il grande evento che segna la storia e la vita della Chiesa. Negli ultimi suoi discorsi Gesù l’aveva più volte annunziato: lo Spirito Santo, la terza persona della SS.ma Trinità, sarebbe sceso come Consolatore, rivelatore della verità, guida della santità della Chiesa. Un ulteriore evento segna l’inizio della storia della Chiesa che, nata dal cuore di Cristo morente sulla croce, chiusa per paura nel Cenacolo di Gerusalemme, irrorata dalla grazia dell’effusione dello Spirito, esce allo scoperto. Tutto cambia: la paura si tramuta in coraggio, la lingua impacciata si scioglie e proclama le grandezze di Dio. Lo Spirito, uno col Padre ed il Figlio, si mostra materialmente con lingue di fuoco che si posano sulle teste degli Apostoli uniti con Maria nel cenacolo, ed opera la comprensione dell’annunzio che gli Apostoli fanno nella loro lingua, rendendolo comprensibile a tutte le lingue parlate da coloro che allora si trovavano a Gerusalemme e che provenivano da parti diverse del mondo giudaico. È il fenomeno della «glossolalia»: un’unica lingua viene compresa da tutti. Inizia il tempo della Chiesa la cui missione è il sacramento di Cristo e dello Spirito Santo: con tutta se stessa e in tutte le sue membra è inviata ad annunziare e testimoniare, attualizzare e diffondere il mistero della comunione della Santa Trinità. Per tanto tempo lo Spirito Santo è stato il «grande sconosciuto» come evidenziato da San Josemaría Escrivà (1902-1975), fondatore dell’Opus Dei ed il cardinale belga Léon-Joseph Suenens (1904–1996) uno dei protagonisti del Concilio Vaticano II. Grazie alla nuova coscienza pneumatologica promossa dal Concilio Vaticano II e dai Movimenti ecclesiali che ne fanno specifico riferimento, il santo e divino Spirito è più conosciuto ed invocato. P. Angelo Sardone

La giustificazione di S. Paolo

«Vi ho chiamati per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d’Israele che io sono legato da questa catena» (At 28,20). Siamo alle ultime battute del meraviglioso libro degli Atti degli Apostoli. Paolo è a Roma: vi è giunto affrontando anche tempesta e naufragio e passando per l’isola di Malta. Pur non avendo trovato in lui alcunché degno di morte, i Romani lo avevano trattenuto a Gerusalemme, in carcere, costringendolo ad appellarsi a Cesare. Essendo cittadino romano aveva questo diritto e perciò fu condotto a Roma dove gli fu concesso di vivere in una casa presa in affitto avendo un soldato a guardia. In queste condizioni rimase per due anni. Roma contava allora un milione e mezzo di abitanti e gli ebrei erano circa quarantamila. La sua preoccupazione era quella di incontrare i notabili dei Giudei che abitavano nella capitale dell’impero romano per chiarire la sua condizione di prigioniero e la sua posizione soprattutto nei confronti dei correligionari ebrei che erano bene informati di ciò che era successo in Palestina. Non aveva fatto nulla né contro il popolo né contro le usanze della Legge. Il suo compito rimaneva comunque ancora quello di accogliere coloro che andavano a trovarlo e di parlare loro con franchezza e senza impedimento di Gesù. Questo atteggiamento leale e difensivo costituisce l’ultimo tratto documentato della vita dell’Apostolo delle genti che intravvede la sua liberazione e che in seguito proprio a Roma testimonierà col sangue del martirio la sua fede in Cristo. La coerenza fino in fondo e la fedeltà alla missione ricevuta di annunziare il Regno ai pagani costituisce l’ultimo tassello che l’evangelista Luca pone alla sua grandiosa opera ecclesiale, che ha accompagnato il cammino pasquale. P. Angelo Sardone