Lavoro e pane

Il Signore ci chiama alla condivisione ed alla collaborazione. Questi principi li ha direttamente incisi nella creazione e nelle creature. Ha impresso la vita negli esseri ed ha affidato all’uomo il compito di amministrare il creato, di soggiogare la terra, di coltivarla e custodirla perché fruttifichi e dal suo frutto, mediante il lavoro, egli viva, sia fecondo, si moltiplichi, e goda. Dio ha voluto condividere, cioè dividere con l’uomo, la ricchezza e le potenzialità del creato e lo ha chiamato a collaborare, cioè a lavorare con Lui perché il suo progetto di amore e di bene giunga al pieno compimento. Ha fornito l’uomo e la donna di intelligenza straordinaria, capace di investigare e scoprire nel mistero del creato le leggi da Lui date per la realizzazione del suo piano di amore e di salvezza. Ha nobilitato l’uomo con la legge del lavoro che, prima di essere fonte di preoccupazione e di impegno, è comune corresponsabilità e cura del creato. La colpa originale ha sconvolto l’assetto primordiale, il suolo è stato maledetto: ciò che rientrava nel piano e nell’ordine della creazione, è diventato disordine, il dono è diventato conquista, e, per l’uomo, sacrificio, sudore, dolore. Il lavoro di collaborazione è diventato fatica, preoccupazione, disagio, sofferenza. Le istituzioni legislative e gli ordinamenti umani non sempre hanno salvaguardato l’uguaglianza e l’equa distribuzione dei beni. E così l’uomo si è trovato e si trova in difficoltà. Gesù, il Figlio di Dio, nella famiglia di Nazaret, alla scuola di Giuseppe il falegname, suo padre putativo e di Maria sua madre, ha collaborato al lavoro domestico per procurarsi il pane per vivere. Paolo di Tarso, investito della dura e faticosa missione evangelizzatrice, confessa di «non aver mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma di aver lavorato con fatica e sforzo giorno e notte per non essere di peso ad alcuno» (2Tes 3,8). Nell’attuale giornata, festa del lavoro, in verità riesce un po’ difficoltoso se non anacronistico, evidenziare il tono gioioso della festa, per la situazione che si è aggravata per tante famiglie e tante persone, della limitazione e soprattutto della mancanza del lavoro. Le prospettive immediate, nonostante gli sforzi enunciati ed i buoni propositi, sembrano davvero allarmanti. E non si tratta di un problema relegato solamente a coloro che ne sono vittime. E’ problema e responsabilità di tutta la società e di ogni singolo uomo e donna, che richiede condivisione e collaborazione. La vita dei primi cristiani a Gerusalemme è un parametro storico ed esperienziale di comunione e di condivisione: ma quanto è difficile ispirarvisi mettendo in comune i propri beni secondo il bisogno di ciascuno e perché nessuno soffri umiliazione! La Chiesa da sempre con il suo magistero ha trattato la questione sociale, sottolineando la giusta rivendicazione dei diritti al lavoro, la tutela dei più deboli, la salvaguardia dell’ambiente, la cessazione delle brutture e della violenza sulla natura e la dignità umana. Penso alle tante famiglie aggravate dall’attuale situazione di fermo o di perdita del lavoro che crea disagio anche alimentare, ai tanti esercenti commerciali destinati al fallimento, ai tanti giovani che dopo un percorso di fatica e di studio trovano porte chiuse e banchi già occupati. La mia preghiera oggi è per loro, chiedendo al Signore ed alla Vergine Maria che a larghe mani distribuiscono la Provvidenza, di non far mancare lavoro e pane perché ogni uomo, ogni famiglia possa continuare a benedirlo e ringraziarlo! Ed anche per lo Stato perché tuteli la sacra dignità dell’uomo che si esprime proprio nel lavoro intellettuale, manuale, spirituale. P. Angelo Sardone

La doppia liturgia

Il pane e il vino sull’altare di una chiesa diventano Eucaristia, mistero della fede. Il pane e il vino sulla mensa di una casa diventano Comunione, mistero di amore. Tutto si muove sul piano del mistero, da quello che supera la portata dei sensi e dell’umana comprensione a quello intorno al quale ogni giorno si costruisce la vita, le relazioni, con le gioie ed i dolori, le fatiche e le speranze. Chicchi di grano macinati e acini d’uva spremuti sono gli elementi costitutivi (la materia, la chiama la teologia sacramentale) dell’Eucaristia. Sudore, impegno, sacrifici, lavoro, gioie e soddisfazioni, sono gli elementi che ogni giorno, impastati con amore e spremuti con dolcezza diventano corpo donato e sangue versato nella chiesa domestica. Per la confezione dell’Eucaristia Gesù ha incaricato gli apostoli ed i loro successori, in forza del sacramento dell’Ordine sacro: “Fate questo in memoria di me”. Per la realizzazione dell’eucaristia domestica lo stesso Gesù, in forza del sacramento del Battesimo, ha conferito a ciascuno l’identità comune di sacerdote, re e profeta per esplicitarla nel servizio della carità e dell’offerta di sé, nella conoscenza della Parola di Dio, nella proclamazione delle grandi opere del Signore. Ogni giorno la liturgia ecclesiale e domestica ha le sue norme ed i suoi segni: la tavola imbandita con la tovaglia, gli utensili, un fiore, il pane, l’acqua e il vino, nella casa; la patena con le ostie ed il calice con il vino, il “messale”, nella chiesa. E’ una analogia straordinaria di segni, di mistero. Il giovedì settimanale, più particolarmente l’Eucaristia ed il Sacerdozio sono sottolineati nella riflessione, nella preghiera e nell’adorazione. Mentre si benedice il Signore, si offrono i frutti della terra in rendimento di grazie. Questo è il senso più vero ed esplicito del termine Eucaristia. La potenza dello Spirito invocato sulle offerte materiali, rievocando le parole pronunziate da Gesù nel Cenacolo, compie il grande miracolo della “transustanziazione” cioè la trasformazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo, vero cibo e vera bevanda. Quest’offerta ha valore universale, coinvolge ed implica tutti. Anche nella casa come con una vera e propria liturgia, ogni giorno si compie l’offerta, il sacrificio, e ci si nutre del cibo materiale e dell’amore condiviso. Questa offerta coinvolge ed implica i membri della famiglia. I giorni che stiamo vivendo, dolorosamente contrassegnati dalla mancanza di partecipazione fisica alla celebrazione della S. Messa nell’assemblea del popolo di Dio e dalla ricezione materiale del pane della vita, non sono vuoti: sono comunque giorni pieni. La mancanza del cibo eucaristico viene colmata dal pane della Parola di Dio, ricca ed abbondante, comunicata e condivisa attraverso i tanti canali della comunicazione. A questo, deve associarsi il pane della carità. Un celebre aforisma di S. Agostino, ripreso dal Concilio Vaticano II in SC 47, definisce mirabilmente l’Eucaristia “Sacramento di pietà”, segno efficace dell’amore misericordioso di Dio Padre; “Segno di unità”, che realizza l’unità dei credenti in Cristo, con Cristo e tra loro; “Vincolo di carità”, catena, anello, che annoda l’amore fraterno con l’amore di Dio. Questo grande mistero è reso vivo ed operante dal sacerdote sull’altare, anche a nome di chi non può partecipare fisicamente e deve accontentarsi della comunione spirituale che rimane sempre e comunque un anelito, un desiderio e non una realtà sacramentale. Anche oggi, celebrando l’Eucaristia ed adorando il mistero della fede, io ripeto a Dio Padre il nostro “Amen” il mio, il tuo, quello dell’intera umanità. P. Angelo Sardone

Caterina da Siena, santa di sorprendente attualità

Santità e dottrina sono elementi che qualificano, caratterizzano e sublimano la vita umana come riflesso della vita divina. Creato ad immagine e somiglianza di Dio e redento da Cristo nel mistero della sua morte e risurrezione, l’uomo anela alla santità che lo rende staccato da tutto ciò che è solamente umano e carnale e, alimentato dalla sana dottrina frutto della sapienza, lo porta alla perfezione. In questi parametri si inquadra la vita e l’opera di santa Caterina da Siena, vergine e dottore della Chiesa, patrona d’Italia. La sua breve esistenza, 33 anni appena, ha esplicite connotazioni di intensità di vita umana e spirituale, di impegno sociale e civile, di attività culturale ed ecclesiale. La dottrina infusa, l’intraprendenza ed il coraggio manifestati in operazioni di grande portata, la distinguono nel complesso e travagliato panorama sociale ed ecclesiale del suo tempo, e la rendono eccezionale testimone di sapienza e santità. La sua esperienza umana e spirituale è la chiara dimostrazione che le lacune culturali sono colmate in maniera sovrabbondante dalla scienza infusa da Dio e da Lui elargita a seguito di una richiesta orante umile e fiduciosa (Sap 7); che l’amore per Gesù Crocifisso e la Chiesa sono superiori a qualunque altro interesse; che l’ardore e lo zelo apostolico si esprimono con coraggio e senza paura; che la vera santità è «la perfetta unione, sia pure attiva, della nostra volontà con quella dell’Altissimo, per puro amore di Dio e col retto fine di piacere a sua Divina Maestà» (S. Annibale M. Di Francia). Alimentata alle fonti della grazia, della preghiera e dei sacramenti, un’autentica santità apre gli spazi della mente e del cuore ad un’altrettanta unione e solidarietà con gli uomini, ai loro interessi, alle necessità concrete di una società che, soprattutto oggi, sembra voler fare a meno di Dio. Durante la peste, il terribile flagello che il 1375 sconvolse la nobile città di Siena, Caterina visse un rapporto di maggiore intimità ed intensa comunione con Gesù, avvalorato da una partecipazione più diretta, anche se non visibile esternamente, ai dolori ed ai segni della passione. Produsse inoltre un’attività attenta ed intensa verso i poveri, gli ammalati, i carcerati di quel mondo dilaniato da disgregazione e peccato. La sua figura è di sorprendente attualità e di eloquente insegnamento. La sua testimonianza, sulla scorta della Parola di Dio, insegna che la vera comunione con Dio si traduce in generosa comunione con gli altri, purchè ciò avvenga nella verità e non tra le tenebre della menzogna e dell’inganno. Il Signore Gesù che nella sua benevolenza rivela le cose grandi ai piccoli, anche in questo particolare tempo di prova, di oppressione e stanchezza, di lacerazione psicologica, spirituale e relazionale, invita ad andare da Lui, cioè a credere in Lui, a camminare con Lui con fiducia ed abbandono, per trovare ristoro e prendere addosso il suo giogo che, al di là di tutto, si rivela soave, cioè amabile, delicato, persuasivo. P. Angelo Sardone

Crescere nel bene

Non si smette mai di crescere. Lo so bene, lo sai bene. Sviluppo e crescita sono parte integrante della vita umana e loro norma: sono alla base dell’universo creato, del pensiero forte, dell’amore vero, ma sono anche il frutto che si raccoglie con un serio, maturo e diuturno impegno. La crescita appartiene al mistero delle cose create: è legge di natura, gestisce la mente umana, dirige il cuore e da esso è condotta. Alla crescita si accompagna la conoscenza della realtà: se stessi e gli altri, Dio e tutto ciò che appartiene alla dimensione spirituale, il bene e il male, la gioia e il dolore, la ricchezza e la povertà, la sofferenza e la morte. Nel grembo materno in un tempo limitato, per un prodigio sorprendente della creazione, avviene la formazione dell’essere umano nella sua essenziale completezza fisica, biologica e relazionale. Il resto appartiene alla dinamica della natura umana e spirituale, ai diversi fattori ambientali e climatici, religiosi e culturali, alla corrispondenza consapevole o irresponsabile dell’individuo, che si esprime in termini di buona e corretta alimentazione, fede matura, appropriata cultura, sentimenti buoni ed operazioni di valore. Il compito della prima crescita è direttamente affidata da Dio ai genitori per la nutrizione dei figli, la loro iniziale formazione, l’educazione civile, religiosa, comportamentale. Si accompagnano e subentrano poi gli educatori nei vari ambiti scolastici, religiosi, professionali; essi collaborano alla strutturazione e solidificazione delle basi degli educandi ed al loro orientamento e realizzazione verso la qualità buona della vita. La crescita è affidata contestualmente alla responsabilità personale che, secondo le diverse età, matura attraverso le scelte, gli incontri, gli orientamenti, le tappe ed i traguardi, la realizzazione della propria vocazione, la maternità e la paternità, il dono della vita agli altri nel sacerdozio e nella consacrazione religiosa, lo spazio da riservare a Dio, il sacrificio e l’oblazione per amore. Man mano che si cammina e si cresce si commettono errori. Per imparare a stare in piedi tante volte si cade e tante altre volte ci si rialza. Ambivalenze comportamentali e identitarie fanno spesso da supporto all’esistenza e diventano fonte e motivo di gioia o di dolore, nascondono illusioni, evidenziano belle verità e tragiche realtà. Si crede talora di poter avere tutto in mano, di essere pronti a tutto, ma poi si scopre di essere estremamente fragili, vulnerabili. Bellezza, intelligenza, ricchezza, salute, potere, sono spesso cavalli di una battaglia che si svolge in terreni ispidi ed ingannevoli. Ci si scontra con se stessi, con gli altri, con la stessa morte che cavalca un cavallo verdastro (Apc 6,8), curioso per la novità cromatica ma che nasconde illusione, solitudine, angoscia. Si finisce per fare del male a se stessi, agli altri e ci si trova divisi, inconcludenti, disorientati. A volte si è pienamente consapevoli di ciò che si sta facendo; a volte il male è mascherato dietro un finto bene. Si è incapaci di dargli il nome proprio e di tenerlo a bada. Quante contraddizioni! Ci si prende in giro e si scherza con la vita, con la natura, con la grazia e con la stessa pazienza di Dio. Ma poi arrivano i momenti e le situazioni che, come in questi ultimi tempi, mettono alle corde la vita e rivelano la reale impotenza dell’uomo. Cosa fare: arrendersi? Continuare a sperare? Combattere per vincere e vincersi! La fede offre un criterio, una certezza ed una soluzione: «Tutto posso in colui che mi dà forza» (Col 4,13). Così tu riesci ad essere quello che sei ed a fare tutto, ampiamente giustificato dal principio agostiniano «Ama e fa’ tutto quello che vuoi!». Ma ama bene, cioè cresci e vivi bene. P. Angelo Sardone

Preghiera indispensabile

Ogni passo del cammino di ogni giorno è segnato da un anelito, una speranza, un bisogno, e può essere rinvigorito da una forza misteriosa che si chiama preghiera. Essa è indispensabile, di «somma importanza nella convivenza umana» (S. Paolo VI) perché nutre, sorregge, difende dal male, cura le ferite. L’esperienza comune a tutte le religioni e la tradizione cristiana in particolare, la riconoscono e la propongono come mezzo efficace per avanzare nella vita di fede e nell’itinerario di salvezza e di santificazione. La Chiesa definisce «Sacrificium laudis», sacrificio della lode, la preghiera liturgica, il canto dei salmi e degli inni, con i quali si santificano le ore, i giorni e i tempi dell’anno, a partire dell’Eucaristia il perfetto “sacrificio di lode” «fonte ed apice di tutta la vita cristiana» (LG, 11). Il servizio a Dio, a qualunque stato vocazionale si applica, necessita della preghiera. Essa è prima di tutto, espressione di unione con Dio, intimità d’amore che si costruisce giorno per giorno con impegno e fatica: Dio stesso prende l’iniziativa. Il popolo d’Israele lo ha sperimentato soprattutto nel cammino del deserto in un tempo prolungato di 40 anni tra tribolazioni, sfiducie, speranze, partenze, ritorni, delusioni, ribellioni, precarietà. Una colonna di fuoco di notte ed una di fumo di giorno, rivelavano la presenza costante di Dio, parte integrante non solo della dinamica del cammino, ma soprattutto della vita e delle difficoltà dei piccoli e dei grandi. La colonna era luogo di incontro e di condivisione con Dio dei problemi giornalieri: il cibo, l’acqua, la salute, la speranza di andare avanti, la certezza della meta. Non è molto diversa la nostra situazione odierna, con l’incertezza di una normalità a breve termine con l’eliminazione radicale del morbo e l’attenzione e l’intelligenza con la quale tenerlo a distanza. Nella colonna bisogna entrarci per essere coinvolti nel ritmo e nell’efficacia della preghiera per scoprirne gli elementi portanti di lode, ringraziamento, offerta, supplica, pentimento, propositi. La preghiera non è automatica: occorre la collaborazione e cooperazione, a partire dall’adesione alla volontà di Dio. Diversamente è superstizione. Il cammino è pieno di indescrivibili peripezie ma porta verso la terra promessa. La preghiera è un costante atteggiamento di vita, un cavo di connessione, un canale attraverso il quale la grazia, come l’acqua limpida scorre a noi e diventa nutrimento, purificazione, sostegno, difesa dal maligno nella dura lotta giornaliera. Mentre il popolo affrontava il nemico in battaglia, Mosé sul monte pregava con le mani e le braccia alzate. Quando le braccia erano ben levate al cielo le sorti in battaglia erano propizie. Quando le braccia cadevano per la stanchezza o l’illusione che la vittoria fosse a portata di mano, le sorti erano avverse. Per evitare ciò con spirito di intelligente intraprendenza ed efficace collaborazione, Giosuè e Cur, l’uno a destra e l’altro alla sinistra sorreggevano le braccia di Mosè. La vittoria fu assicurata. La tribolazione e le tenebre che attraversiamo, simboleggiano i peccati che stanno sempre in agguato, di notte e di giorno. Per tenere a bada il nemico, costringerlo ad indietreggiare e vincerlo, è indispensabile la preghiera. Attenzione però: non si può fare il pieno di preghiera per alquanti giorni e poi pensare di vivere di rendita. Senza la preghiera si cade facilmente. Con la preghiera si ottiene, si cammina, si vince, si vive. P. Angelo Sardone

Bellezza e sacralità dei sentimenti

Preziosi sono i sentimenti del cuore, ma anche fragili. Esigono vigilanza e cautela. Sin dal mattino si presentano con tutta la loro potenzialità: determinano scelte, dirigono intenzioni, si esprimono in comportamenti. Convivono nel corpo e nell’anima prima ancora della nascita dal grembo materno, si affievoliscono e si accrescono nel turbine o nel sereno della vita, talora si spengono, continuano oltre la morte. E’ importante conoscerli, lasciarsi guidare e non dominare, indirizzarli e potenziarli, metterli a servizio, farli tacere quando disorientano. L’esperienza umana comportamentale e relazionale li smussa, li potenzia, li sublima. Negli ampi spazi del cuore i sentimenti aprono e si aprono alla dimensione spirituale, la ricercano, soprattutto quando tutto ciò che è carnale li ammutolisce, li limita e li condiziona. Quanti ne rimangono nascosti nel profondo del cuore! Situazioni, persone, avvenimenti fungono da catalizzatori perché questi elementi così preziosi possano venir fuori ed esprimersi. Penso oggi in particolare ai sentimenti di due discepoli frastornati dalla delusione degli avvenimenti da poco vissuti nella passione e morte di Gesù, condizionati dall’apparente fallimento della sua predicazione e delle prospettive sociali e politiche. Sono delusi, eppure non si fermano, sono in cammino verso un villaggio. La tristezza che si esprime sul volto è la sintesi completa della loro situazione emotiva e spirituale. Parlano tra loro ma non addivengono a conclusioni se non l’amarezza e l’imponderabilità del prossimo futuro. Chi si era dichiarato Messia è morto e non se ne sa più niente, se non una diceria femminile, che parla di una tomba vuota. Uno sconosciuto viandante si fa loro compagno. Sembra ignaro di fatti luttuosi di Gerusalemme. Però, dinanzi alla spossatezza ingombrante dei due, “stolti e tardi di cuore nel credere”, fornisce ampie e documentate spiegazioni che, a partire da Mosè e passando dai Profeti e dai Salmi, illustrano la verità inconfutabile delle cose accadute. Nel cuore dei due cominciano ad ardere sentimenti nuovi, meno turbati e più accomodanti, meno rigidi e delusi e più affabili. Accarezzano l’idea che tutto ciò che è avvenuto non è rinchiuso in una tomba vuota, ma è esploso nella pienezza di un mistero che si è fatto storia. I sentimenti cambiano: sono ora potenziati, sorretti, alimentati da una conoscenza più profonda della Parola di Dio e da un affidamento amichevole e fiducioso al compagno di cammino. Tutto cambia quando a tavola, lo sconosciuto spezza il pane, lo benedice e lo distribuisce, ripetendo gli stessi gesti compiuti qualche giorno prima nel Cenacolo. E’ una rivelazione: gli occhi si aprono e comprendono nella profondità e nella verità. Lo riconoscono Messia. Il suo apparente fallimento è in fondo la sua più grande vittoria. Il vero fallimento è il loro, quello della loro fede non ancora matura e soggetta all’ignoranza delle Scritture, che come poi dirà S. Girolamo, è la stessa ignoranza di Cristo. Penso ai tanti nostri fallimenti, condizionati dalle situazioni pregresse ed attuali della nostra vita, che mentre richiedono un adeguato tasso di fede, sono occasioni e tempi propizi che l’alimentano e la sostengono. La mancanza della frazione del pane eucaristico celebrato comunitariamente nelle nostre chiese, viene sopperita dalla frazione del pane domestico della carità e della reciproca accoglienza, con sentimenti nuovi però, di pace e gioia, frutti concreti della Pasqua rinnovata. P. Angelo Sardone

La guarigione del cuore

Il disagio e la paura fanno aprire gli occhi della mente e del cuore. La situazione personale o comunitaria nella difficoltà, induce a riflettere in maniera più adeguata sui valori della vita e l’importanza delle persone e delle di cose, a prestare ascolto agli insegnamenti ricevuti, a leggere con sapienza ed intelligenza la storia e le vicende umane, ad acquisire prudenza e maturità per operare scelte nuove da attuare con comportamenti nuovi. Alla chiusura ed al ripiegamento su se stessi, più facile da compiere, ma spesso illusorio di consolazione solipsistica, momentanea e compensatoria, si oppone l’apertura a spazi nuovi, a vedute diverse, ad orientamenti decisivi che vanno oltre gli stretti confini della propria conoscenza, coscienza e limitata esperienza. La natura che ci circonda e la storia che conserva gelosamente incise nelle pagine mai scalfite dal tempo, le gesta, le azioni umane, gli avvenimenti planetari, sono i grandi libri che conservano e descrivono le situazioni, riportando tra le righe anche le soluzioni ai problemi. Sono insegnamenti e tracce come strade da percorrere, orme da ricalcare. La Bibbia narra la particolare situazione di Naamàn, un comandante siro malato di lebbra, che vive segregato per paura del contagio. Su suggerimento di una schiava, chiede aiuto oltre il confine della sua patria ad uno straniero sconosciuto, il profeta Eliseo, che crede re ed in grado di guarirlo. La provvidenziale mediazione della ragazza si completa nell’intervento risolutivo del profeta, che opera senza uso di medicine ma con un semplice ed illuminato suggerimento. Basteranno sette bagni da fare nel Giordano, fiume evocativo dei prodigi operati da Dio per il popolo d’Israele attraverso Mosè e Giosuè, a far ritornare vigoroso il corpo ed a sanare il fiducioso comandante. Preso atto dell’avvenuta immediata guarigione, l’alto funzionario, grato per l’inaspettato prodigio, cambia atteggiamento di vita e lo esprime con un segno nuovo e semplice: porta con sé in patria un po’ di terra da lui calpestata: la ritiene terra sacra. Su di essa costruirà una vita nuova non più nello sfarzo antico egoista ed edonista, ma nella penitenza umile esemplificata in permanente purificazione. Se abbiamo riconosciuto il Signore che continuamente interviene nella nostra storia e nella nostra vita, a volte angosciata e triste come in questo momento, se ci lasciamo formare ed ammaestrare da Lui, attraverso la mediazione di chi Egli stesso mette sulla nostra strada come guida illuminata, possiamo cambiare atteggiamento e maturare vigorosi propositi di gioiosa e generosa testimonianza per noi e per chi ci circonda. La purificazione avviene attraverso la penitenza; porta a morire ogni giorno a se stessi, si esprime con relazioni ed atteggiamenti nuovi e fa scoprire che non c’è altro fine che non sia la carità. Per realizzare tutto questo però, occorre mettersi bene in mente che «prima di iniziare una seconda vita, bisogna por fine alla prima» (S. Basilio Magno). E’ questa la nostra speranza; può essere questo il nostro proposito che diventa impegno serio e duraturo. A cominciare proprio da oggi. P. Angelo Sardone