Fiore del Carmelo

La semina del mattino. 14. «Ecco una nuvoletta, come una mano d’uomo, sale dal mare» (1Re 18, 44).
La terribile e lunga siccità che interessò la terra di Israele al tempo di Elia, terminò a seguito della sua preghiera sul monte Carmelo. Da sempre la tradizione cristiana ha visto nel segno della nuvoletta che il servo del profeta osservò simile ad una mano innalzarsi dal mare verso il cielo, la Vergine Maria invocata poi come Regina del Carmelo. A partire dal secolo XIII, sulle pendici dello stesso monte ad imitazione di Elia, un gruppo di eremiti e laici pellegrini in Terra Santa intraprese una vita di preghiera e contemplazione che col tempo si configurò nell’Ordine dei Fratelli Scalzi della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo. La spiritualità carmelitana si è rivelata nel corso dei secoli un qualificato itinerario di santità che annovera numerosi e grandi testimoni. La fecondità determinata dalla pioggia sulla terra arida ed arsa è il segno di Maria, vergine e madre feconda che continua a generare i credenti nella fede e nella vita di grazia, attraverso Gesù che ci ha resi figli adottivi. L’iconografia La rappresenta insieme con Gesù Bambino sopra le anime del Purgatorio, nell’atto di offrire uno scapolare (un abitino che si porta indosso), privilegio e segno di salvezza accordata a chiunque lo porta con fede, devozione e spirito evangelico, osservando la legge di Dio e praticando in maniera autentica la vita cristiana. La nube, il monte santo, il fiore del Carmelo richiamano la ricchezza della grazia di Dio, il traguardo ultimo della vita umana, il profumo delle virtù di cui Maria è preziosa e splendida gemma, vite fiorita, splendore del cielo che conserva pure le menti fragili e dona aiuto.P. Angelo Sardone

La via per la verità e la vita

La semina del mattino.

  1. «Mostrami, Signore, la tua via, perché nella tua verità io cammini» (Sal 85,11).

La strada della vita è segnata dalla verità. Ad essa si oppone la menzogna che rende improvvida la via e porta sempre fuori strada. Anche se si va avanti a passo svelto, se non si conosce la strada, si rischia di andare lontano dalla meta. Nei pericoli e nella prova non è facile sapere dove e come andare. La via da seguire non è sempre chiara ed evidente. La garanzia di conoscerla ed indicarla, al di fuori di Dio, non la dà nessuno se non limitatamente. Egli la mostra nelle vicende della storia personale e con gli interventi della sua provvidenza. La verità si cela a volte col compromesso e il tornaconto: la menzogna può diventare norma di vita. C’è il rischio concreto e continuo di lasciarsi sviare da “dottrine varie e peregrine” (Eb 13,9). Dio accompagna ogni momento la vita dell’uomo indicandogli la via da seguire perché possa camminare nella verità e realizzare la sua vocazione. Lo fa con due modi: ammonendo e dando la mano (S. Agostino). Entrambi si realizzano con Gesù Cristo: «Io sono la via, la verità, la vita» (Gv 14,6). Camminare nella verità significa lasciarsi guidare da Lui che ne è garante e via sicura che porta al Padre. Il cuore semplice che teme il suo nome Lo riconosce come via, lo accoglie come verità, si lascia guidare nella vita ed alla vita. Con Lui non si sbaglia mai la strada e si recupera il cammino ed il tempo perduto. P. Angelo Sardone

Il pane del cammino

La semina del mattino.
12. «Su, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino» (1Re 19,7).
Dio dona il cibo perché alimenti ogni essere vivente, lo faccia crescere, lo sostenga nel cammino della vita. Tutto ciò che di commestibile è stato creato nella natura animale e vegetale serve per nutrire l’uomo. In modo particolare il pane quotidiano che Gesù Cristo stesso invita a chiedere nel Padre Nostro. La vicenda profetica di Elia è contrassegnata dal bisogno di cibo: il pane e la carne portati dai corvi mattina e sera; la focaccia della vedova cotta ed offerta per diversi giorni, in entrambi i casi nel periodo della siccità (1Re 17); la focaccia e l’acqua dati da mangiare per ben due volte da un Angelo, mentre il profeta fugge dal perverso re Acab verso il monte Oreb, prima dell’incontro con Dio (1Re 19). Il Signore provvede generosamente e «sazia la fame di ogni vivente» (Sal 144,16). La fiducia nella Provvidenza divina e l’umile abbandono al compimento della sua volontà, permette di accogliere oltre che il pane materiale, anche ciò che ogni giorno Dio destina al fabbisogno spirituale personale e comunitario: la Parola di Dio, l’Eucaristia, l’alimento della carità, il triplice pane col quale si imbandisce la mensa, si sfama il cuore, si fa comunione. Il cammino è troppo lungo, a volte difficoltoso ed impervio ed il pane e l’acqua sono indispensabili per sostenere la fatica e nutrire il corpo e l’anima. La generosa condivisione del cibo materiale e spirituale con chi è affamato, misero, senza tetto, nudo, mentre assicura l’abbondanza della Provvidenza, garantisce la presenza della giustizia che cammina davanti e della gloria di Dio che segue di dietro (Is 58,7). Solo colui che ha avuto fame può comprendere maggiormente chi è nel bisogno di cibo. P. Angelo Sardone

Il sacrificio della loce

La semina del mattino.

  1. «Chi offre la lode in sacrificio, questi mi onora» (Sal 49,23).

Offerta e sacrificio, lode ed onore esprimono il rapporto tra l’uomo e Dio. Sin dalle origini della vita sulla terra, soprattutto dopo il peccato, l’uomo ha sentito il bisogno di offrire, cioè di porre dinanzi a Dio i prodotti della terra sia per ringraziarLo e propiziare la sua benevolenza, che per riparare l’offesa. L’offerta è segno di sottomissione, di riconoscenza del beneficio ricevuto, di compenso dovuto. Il sacrificio è in genere un’azione cruenta che richiama il sangue ed il fuoco. La sua radice latina «sacrum facere», indica l’azione con la quale si rende sacro qualcosa, cioè lo si separa dal quotidiano e lo si pone nella sfera del divino. Implica la richiesta di propiziazione e di grazia. Si sacrifica a Dio dando fuoco alla vittima: in essa quasi si materializza la responsabilità del proprio errore. Il sacrificio richiama anche la rinunzia e l’oblazione. Offerta e sacrificio danno lode al Signore perché gli conferiscono riconoscenza per quanto ricevuto ed esaltano la sua grandezza. Ad essi si unisce l’onore dovuto a Dio creatore e redentore. L’esperienza cristiana dà valore all’Offerta della giornata, la preghiera specifica con la quale si presenta a Dio, come espressione di amore, la gratitudine per i doni ricevuti con la creazione e la redenzione, e si offre a Lui quanto di buono materiale e spirituale si potrà compiere. Ciò esprime riverenza e rispetto, onore e gloria. Col fuoco dell’amore si brucia l’offerta di se stesso e si pongono davanti a Dio anche le rinunzie, i dolori, le sofferenze, le buone azioni. Tutto ciò dá lode a Dio. Questo è il motivo per il quale la preghiera cristiana viene solitamente definita «Sacrificio di lode». Onoriamo dunque il Signore con l’offerta, il sacrificio e la lode. P. Angelo Sardone

Orecchie per ascoltare

La semina del mattino.
10. «Chi ha orecchi, ascolti!» (Mt 13,9).
I cinque sensi sono indispensabili per vivere bene. Non se ne può fare a meno. Se ne dovesse mancarne anche uno, l’uomo sarebbe fortemente penalizzato. Servono per interagire con gli altri. In particolare l’udito con le orecchie, capta i suoni dalle fonti esterne e li trasmette ad un’area cerebrale che li riceve e li decodifica. In genere alla sordità è collegata anche l’incapacità di parlare. Il rapporto di amore con Dio e la sua Legge si costruisce, si regola e si concretizza a partire proprio dall’ascolto. Gesù lo ribadisce: «Il primo comandamento è; Shemà Israel! Ascolta Israele!» (Mc 12,29). Ascoltare significa prestare attenzione, accogliere, rendersi disponibile, mettersi su una stessa lunghezza d’onda. Per ascoltare occorre fare silenzio, concentrarsi. L’ascolto apre all’obbedienza, che, dal verbo latino «ob-audire», significa ascoltare stando di fronte. Nel rito conclusivo del Battesimo il sacerdote tocca la bocca e le orecchie del neo-battezzato dicendo: «Effatà», parola aramaica che significa «àpriti», e chiede al Signore che fece udire i sordi e parlare i muti, di concedergli di ascoltare la sua Parola, e di professare la fede. Quando il Maestro parla, il discepolo tace, ascolta, con amore! L’ascolto presuppone umiltà, responsabilità, confidenza, fiducia in chi parla, anche quando ciò che dice può essere un duro imperativo. L’udito per sentire, la mente ed il cuore per ascoltare il Signore che parla, sono indispensabili per accogliere e mettere in pratica quanto viene detto. P. Angelo Sardone

Nulla anteporre a Cristo

La semina del mattino.
9. «Il Signore riserva ai giusti il successo» (Pr 2,8).
Il mondo d’oggi sembra contaminato dal desiderio o dal bisogno di successo. Si corre per stare sulla cresta dell’onda, mantenere i quozienti di notorietà, dare continuità e stabilità al proprio target sociale, mantenersi eternamente attivi e giovani. I riflettori ordinari attirano e gli scatti gratuiti di una fotocamera compensano. Per tanti il successo è vita; l’insuccesso è sconfitta, fallimento, causa di depressione, rischio di morte. Nella linea della fede c’è una stridente contraddizione: la croce di Gesù, clamoroso insuccesso, causa la vittoria; la sua morte è vita; quando sembra che tutto sia finito, tutto incomincia. Il successo vero si stabilisce in una dinamica di realizzazione della propria esistenza nonostante tutti i limiti. Si consegue sulla base di quello che si è, più che di quello che si fa o di ciò che appare. I criteri per un effettivo successo sono l’accoglienza della Parola che salva, la trasparenza dell’interiorità, l’attenzione alla vera sapienza, un cuore dedito alla prudenza, il timore di Dio aperto alla conoscenza delle cose che valgono, la rettitudine di coscienza e di vita. Non è logica fuori tempo o fuori moda ma valore apprezzato agli occhi degli uomini e, soprattutto, agli occhi di Dio che così riserva ai giusti il vero successo. I pieni voti si conseguono anche in platea, nell’umiltà, nel nascondimento e nel servizio, soprattutto quando nulla si antepone all’amore del Signore. P. Angelo Sardone

La paura e la fiducia in Dio

La semina del mattino.
«Nell’ora della paura, io in te confido» (Sal 55,4).

La vita dell’uomo fluttua tra emozioni e sentimenti, desideri e realizzazioni, gioia e dolore, coraggio e paura. L’ordine impresso da Dio nella creazione si configura in spazio, tempo, relazioni interpersonali, operazioni. In essi si colloca l’esistenza umana. Gli stati emotivi dell’uomo sono molteplici e determinati da situazioni interiori ed esteriori, pensieri ed azioni che generano soddisfazione e gioia, piacere e sicurezza, smarrimento ed ansia, dolore e morte. Il Libro sapienziale del Qoelet pone le categorie spazio-temporali a specchio con le più diverse circostanze ed esperienze umane: dal nascere al morire, dal gioire al soffrire. Per ogni cosa, per ogni evento, per ogni situazione, per ogni sentimento, c’è un tempo fissato da Dio (Qo 3,1-9). All’ora della gioia e del giubilo si alterna o segue quella della preoccupazione, della sofferenza, del dolore. La vita umana è accompagnata e segnata dalla paura, una emozione primaria di intensità varia che spazia dal dolore fisico a quello morale, dalla fatica della corsa al raggiungimento del traguardo, dal presente al futuro, dalla minaccia per la salute fisica, alla vulnerabilità. La paura comincia con l’infanzia ed accompagna la vita fino all’ultimo respiro con gradi diversi dovuti a fenomeni e situazioni esterne ed interne, volute o subite. Una visione pessimistica del mondo e della vita sottolinea la paura ed il dolore come andamento giornaliero che genera incertezza ed instabilità. Per chi crede si impone invece un sentimento ed un atteggiamento diverso: la confidenza nel Signore; Egli è arbitro di ogni cosa e, nella sua Provvidenza, regola la vita dell’uomo e la dirige al bene. La fiducia in Lui in ogni ora del tempo rende saldi, fa vincere la paura, dona pace e sicurezza. P. Angelo Sardone

Il cuore di Dio

La semina del mattino.
7. «Il mio cuore si commuove dentro di me» (Os 11,8).
E’ una delle cose più belle che la Sacra Scrittura riporta sulla bocca di Dio nel suo amore per l’uomo. Se Gesù Cristo ha rivelato il volto umano del Padre, i profeti, con un linguaggio antropomorfico, ne hanno presentato il cuore, sede della misericordia, centro di un amore sconvolgente. La grandezza di Dio oltre che nella creazione e nella redenzione, si manifesta con la sua apertura continua all’uomo. Sta qui tutto il suo mistero, nascosto alla mente limitata, ma vivo, penetrante e percepibile nell’intimo del cuore: Egli si commuove. Il verbo usato da Osea nella lingua ebraica è «rovesciare, capovolgere» e si riferisce in genere alle catastrofi. Dio ha un fremito intimo ed indomabile di compassione, capovolge e rovescia la giusta punizione per il peccato dell’uomo in «hesed», amore di tenerezza e misericordia. Dal suo cuore di padre non è scissa la giustizia che, se anche prevede la pena per la colpa, si esalta nel perdono dinanzi alle lagrime sincere di pentimento. Dio dal cuore grande, cura, sorregge, purifica, si commuove profondamente e freme, continua a bussare al piccolo cuore dell’uomo, anche quando gli si volge indietro. P. Angelo Sardone

Le pecore perdute

La semina del mattino, 6. «Rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele» (Mt 10,6).
Nel primo mandato missionario, i 12 apostoli furono dotati da Gesù di poteri straordinari sugli spiriti impuri, sui malati e finanche sui morti. L’ordine loro dato contiene tra l’altro un’indicazione ben precisa: non andare verso i pagani ed i Samaritani, ritenuti separati, ma comunicare la salvezza messianica alle pecore perdute della casa d’Israele. L’espressione ricalca un passo profetico di Ezechiele (34,4-6) e si riferisce anche al cosiddetto “popolo della terra”, che per guadagnarsi da vivere, per attività disonorevoli, per poco interesse o ignoranza, era ai margini della vita sociale e dell’impegno religioso. Oggi le pecore perdute possono essere anche coloro che per motivi diversi hanno abbandonato il patto di alleanza e fedeltà al vero Dio, disperdendosi nei meandri della confusione, del peccato, della corruzione, lontani dalla pratica della vita di fede. La società di ogni tempo ha riservato situazioni analoghe. La realtà odierna che sembra più accentuata e preoccupante, forse ha ribaltato l’immagine evangelica delle novantanove pecore che sono al sicuro nell’ovile e dell’unica che si è smarrita. La nuova evangelizzazione deve ripartire dai nostri ambienti, non per proselitismo ma con la forza dell’attrazione, con la coerenza della vita e la costanza nel non facile impegno. Necessita di un rinnovato mandato a tutti i battezzati con il potere ereditato da Gesù Cristo: l’amore fraterno e la testimonianza. P. Angelo Sardone

Pecore e pastori

La semina del mattino, 5. «Le folle erano stanche e sfinite» (Mt 9,36).
Erano in tanti a seguire Gesù, attratti dall’autorità del suo linguaggio, dalla concretezza delle sue azioni, dall’efficacia di ogni suo intervento. Non badavano neanche ai bisogni più elementari ed alle necessità impellenti, affascinati com’erano dal Maestro. C’era di tutto: piccoli e grandi, malati e sani, depressi ed esaltati, ricchi e poveri. L’immagine dipinta dall’evangelista Matteo e da Marco è inequivocabile e le tinte sono intense: le folle erano stanche e sfinite come pecore senza pastore. Mosso da una profonda compassione, in riprese diverse Gesù diede loro da mangiare, cominciò ad insegnare, guarì i malati. Mentre mandava i discepoli in missione, con un intervento sorprendente delineò infine un criterio di vicinanza e condivisione nella sintesi di un comando: «Pregate il Signore della messe perché mandi gli operai!». Le pecore di ieri e di oggi, angosciate per le tristi situazioni della vita, le malattie, i disagi, le solitudini, le amarezze, le delusioni, hanno bisogno di pastori pieni di compassione che ascoltino, condividano, che guidino il gregge. Che, soprattutto, siano “pastori buoni”, interessati al vero bene, alla cura ed al progresso del gregge, alleviando la fatica e sorreggendo la spossatezza. «Pastori secondo il cuore di Dio», dice S. Annibale. Per averli bisogna meritarli, bisogna chiederli incessantemente. Bisogna poi ascoltarli e seguirli, proprio come le folle facevano col Maestro. P. Angelo Sardone