Pastori secondo il Cuore di Dio

La semina del mattino
48. «Chiederò conto del mio gregge, non li lascerò più pascolare» (Ez 34,10).
Il compito del pastore, del sacerdote, è carico di responsabilità, sia che si tratti di una sola pecora, come di un intero gregge a lui affidato. Il suo ruolo è la sua vita: interamente dedito alla cura ed alla prosperità del suo gregge, egli vive notte e giorno con le sue pecore in una amorosa simbiosi. Le conosce per nome, è affabile con le timide, forte con le superbe, tenero con le madri, medico per le malate, materno con gli agnelli, deciso con le sbandate. Le pecore come per istinto percepiscono la sua presenza già dalla voce, la sua bontà dalle carezze delle sue mani, dalla delicatezza vellutata nella mungitura. Ma ci sono eccezioni ieri come oggi. Un tratto profetico di Ezechiele è un duro rimbrotto contro quei pastori che non sono secondo il “Cuore di Dio” e non agiscono in conformità al loro compito. È una dura requisitoria all’ignavia di chi pasce se stesso invece di pascere il gregge, di chi non fascia le pecore ferite, non va in cerca delle smarrite, non riporta le disperse sui monti in preda delle bestie selvatiche; di chi non si cura del gregge. Allora il Signore gli si schiera contro: chiede conto del gregge, gli toglie il compito di pascolare, strappa di bocca le pecore perchè non siano più suo cibo. Si sostituisce Egli stesso nella ricerca delle pecore, nel passarle in rassegna per controllare se ci sono tutte, come stanno, come procedono, come producono. Per il pastore allora è la fine. Da 40 anni io sono pastore delle pecore che Dio mi ha affidato col ministero sacerdotale: pur con la mia povertà metto la mia vita ed il mio servizio di amore sempre in linea con le ingiunzioni del Signore ed il sacerdozio di Cristo al quale ogni giorno rendo conto del suo gregge. P. Angelo Sardone

La trappola delle ricchezze

La semina del mattino
46. «Se vuoi essere perfetto va, vendi quello che possiedi» (Mt 19,21).
L’incontro del giovane ricco con Gesù è la metafora dell’incontro personale e decisivo con Cristo. Evoca il desiderio di sapere “cosa fare di buono per avere la vita” e conoscere “quello che manca ancora” perché la vita sulla terra, pure vissuta nella piena osservanza della legge, sia davvero felice. Gesù inizialmente ribadisce l’osservanza dei comandamenti come mezzo efficace per entrare nella vita senza fine. Il giovane asserisce la loro piena osservanza. A seguito di ciò, Gesù consiglia la scelta più radicale che guarda alla perfezione. Egli stesso aveva richiesto ai suoi seguaci di «essere perfetti come il Padre che è nei cieli». Nei passaggi incalzanti della proposta e dei verbi adoperati da Gesù nell’enunciato, la Chiesa ha visto le tracce dei cosiddetti “consigli evangelici”, riservati ad alcune persone in particolare, chiamate a percorrere il cammino della perfezione nella via della povertà, castità ed obbedienza. Il traguardo in cielo è un tesoro: per raggiungerlo occorre andare, cioè staccarsi da se stessi e dai beni materiali, venderli e donare il ricavato ai poveri. Solamente dopo si potrà essere in grado di seguire il Maestro e vivere per Lui e per il suo corpo, la Chiesa, in una donazione di sé che abbraccia tutta l’esistenza e rende fecondo ogni apostolato. Il giovane non accolse la proposta di Gesù; si tirò indietro e se ne andò via, triste. Il commento dell’evangelista è lapidario: «perché aveva molti beni». Gli mancò il coraggio e la forza per distaccarsi da essi. P. Angelo Sardone

L’insistenza della richiesta e la forza della fede

  1. «Pietà di me, Signore, Figlio di Davide» (Mt 15,22).

Qualunque invocazione si innalza al cielo, Dio l’accoglie. In particolare non restano indifferenti al suo cuore le richieste di chi soffre e per chi soffre. La sua grandezza si manifesta nella generosità verso le creature, che, a qualunque popolo o nazione appartengano, si rivolgono a Lui con fede. Il suo modo di rispondere non sempre corrisponde a come l’uomo vorrebbe che fosse: immediato, sollecito, pieno. La sua risposta è condizionata da un comprovato atteggiamento di fede da parte del richiedente, cui si associa, l’insistenza, l’umiltà ed il riconoscimento della divinità di Cristo. Il grido della donna Cananea pieno di straziante dolore per la situazione particolare della figlia molto tormentata dal demonio, risuona forte, insistente e continuo e si concentra in due mirabili espressioni: «Pietà di me, Signore!» e «Signore, aiutami!», entrambe formidabili manifestazioni di fede. Gesù che prima era rimasto indifferente non degnandola neppure di una parola, apprezza la fede della donna, che, nonostante sia una straniera, riconosce la sua divinità e lo invoca Figlio di Davide. Confermando il suo ruolo di salvatore delle pecore perdute di Israele, la mette alla prova con il segno del pane destinato ai figli (gli Israeliti) che non può essere gettato ai cagnolini (gli stranieri). Il bisogno si fa intelligente virtù: riconoscendo che anche le briciole cadute dalla tavola dei padroni possono sfamare i cagnolini, la Cananea vince la resistenza di Gesù che, riconosciuta la grandezza e la maturità della sua fede, le concede quanto richiesto. P. Angelo Sardone

Maria Assunta in cielo

La semina del mattino
44. «Tutte le generazioni mi chiameranno beata!» (Lc 1,48).
Pervasa interamente dallo Spirito, autentica profetessa del Nuovo Testamento, quando incontra sua cugina Elisabetta, Maria di Nazaret esplode in un cantico di lode e di gloria al Signore. Il “Magnificat” è la sintesi mirabile di quanto di più bello e grande una creatura possa indirizzare a Dio salvatore. La consapevolezza della sua povertà ed umiltà nella condizione di serva del Signore, già enunziata nell’accoglienza del progetto di Dio su di Lei, la rende simile al Figlio Gesù, il servo di Jahwé. Ella rimane piccola ma è grande, è umile ed alta, eternamente beata, mirabilmente madre. Questa consapevolezza, illuminata dallo Spirito, sulla base del privilegio altissimo della sua Immacolata Concezione, si traduce in termini altamente teologici, che attuano il mistero nascosto nei secoli e rivelato in Cristo. Il richiamo alla sua umiltà fa riconoscere che tutta la gloria, l’onore, la grandezza, e la gratitudine va al Dio Onnipotente e Santo che è misericordioso verso coloro che lo temono. Maria racchiude in sé tutte le beatitudini proclamate da Gesù. L’ulteriore esclusivo privilegio dell’Assunzione in cielo in corpo ed anima, senza conoscere la corruzione del sepolcro, conferma la sua identità di Madre del Signore della vita, la indica segno di speranza, primizia ed immagine della Chiesa che per tutti i secoli la chiama “beata”. Buona solennità dell’Assunzione di Maria. P. Angelo Sardone

Il perdono sempre

La semina del mattino
42. «Quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?» (Mt 18,21).
È sempre duro parlare del perdono: ancora più difficile praticarlo. Tutti vogliono avere ragione, ognuno ha sempre la sua ragione. A sbagliare sono gli altri e se ci si trova in fallo si adoperano tutti i modi per rifarsi: appartiene alla natura umana resa fragile dalla situazione del peccato. L’ammissione delle proprie colpe è ritenuta spesso una debolezza, un oltraggio al proprio onore. L’alterigia a volte fa quadrato col minimo di ragione che si può avere. È stato sempre così e rimane difficile per tutti ed in tutte le condizioni di vita. L’apostolo Pietro, designato da Cristo a capo della Chiesa col potere di legare e sciogliere, chiede a Gesù fino a quante volte bisogna perdonare un fratello che ha commesso una colpa. I numeri indicati dal Maestro sono simbolici e richiamano non solo la pienezza del perdono (sette volte), ma anche la completezza della pienezza (settanta volte sette), cioè sempre. L’esempio raccontato da Gesù mette in luce la portata del debito di un servo nei confronti del padrone (diecimila talenti), e di quello di un compagno nei confronti del servo incriminato, di appena cento denari. Il condono benevolo accordato dal padrone non è seguito da altrettanto atteggiamento del servo nei confronti del suo compagno che finisce in prigione. Tutto ciò provoca il giusto sdegno del padrone che gli infligge una dura punizione. La conclusione è chiara: così agirà il Padre celeste nei confronti di chi non perdona di cuore il proprio fratello. P. Angelo Sardone

La forza della preghiera con Gesù in mezzo

La semina del mattino
41. «Dove due tre sono riuniti nel mio Nome io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20).
Nella simbologia cristiana e nell’espressione dei valori fondamentali della fede, i primi tre numeri richiamano il mistero di Dio che è nel contempo uno e trino, tre persone uguali e distinte nell’unità della sostanza. Più volte nella predicazione Gesù si serve dei numeri, per annunciare le verità e qualificare l’importanza di alcuni insegnamenti. L’efficacia della preghiera cristiana viene garantita dalla presenza di Cristo tra coloro che pregano. La forza della preghiera sta anche nel numero di coloro che pregano: più si è, più essa è forte; quanto maggiore è il numero di chi invoca, più breccia si fa nel cuore di Dio. Senza nulla togliere all’importanza ed alla validità della preghiera singola, che rimane sempre e comunque un modo personale per aprirsi a Dio, Gesù ribadisce la sua esplicita presenza come orante, in mezzo a più persone, anche solo tre, riunite nel suo Nome, e quindi la necessità e l’efficacia della preghiera in comune. Essa rientra nel concetto stesso di Chiesa, casa della preghiera e comunità di persone chiamate da Dio, che esprime il suo ministero nel culto sacramentale. I Salmi sono essenziali per la preghiera della Chiesa perché nutrono ed esprimono la preghiera del Popolo di Dio come Assemblea, in dimensione sia personale che comunitaria (CCC, 2586). La novità consiste non solo nel chiedere nel Nome di Gesù ma anche di averlo presente in mezzo. Ciò avviene nello Spirito Santo, attraverso il quale la preghiera cristiana è comunione di amore con il Padre per mezzo di Cristo. P. Angelo Sardone

Sulla graticola per amore di Gesù

La semina del mattino
39. «Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Il ritmo della legge biologica, in natura si muove con questa dinamica: il seme gettato nel terreno, muore come tale, si disfà, quindi produce i frutti. La legge immessa dal Creatore nella natura vegetale regola così la produttività. Nel linguaggio cristiano il chicco di grano che muore e dal quale si produce frutto abbondante, è la metafora della morte e risurrezione di Cristo: morto e posto nel sepolcro, con la sua risurrezione Gesù ha sconfitto la morte e dato inizio alla nuova vita. Con la logica del seme caduto in terra e facendo riferimento ai numerosi martiri cristiani che davanti ai tribunali pagani testimoniavano pubblicamente la fede, sottoposti a torture e sofferenze fisiche fino alla morte, Tertulliano, uno dei primi Padri della Chiesa affermava che «il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani». Coraggiosi araldi della fede «grazie alla testimonianza del loro martirio, hanno disprezzato la vita fino a morire» (Apc 12,11), determinando così un numero sterminato di seguaci di Cristo in tutte le epoche. Oggi si fa memoria di S. Lorenzo, un diacono di Roma del III secolo che amministrava le offerte fatte alla Chiesa. Secondo la Tradizione fu bruciato sopra una graticola, in odio alla fede e per aver mostrato al Prefetto imperiale i veri tesori della Chiesa: i malati, gli storpi e gli emarginati. I martiri di oggi, numerosi quanto quelli di ieri, sono testimoni di un Amore per il quale vale la pena di impegnare e donare la propria vita. P. Angelo Sardone

La presenza di Dio

La semina del mattino
38. «Esci e fèrmati sul monte alla presenza del Signore» (1Re 19,9).
Dio è onnipotente ed onnisciente. A questi singolari attributi unisce quello della presenza che riempie tutto l’universo. Anche ogni singola creatura è presente a Lui: in qualunque luogo si vada, qualunque cosa si faccia non si può sfuggire alla presenza di Dio, alla quale non ci si abitua mai pienamente. Vivere alla presenza del Signore è un dono, un elemento pedagogico di santificazione, quando la mente, il cuore e la vita si orientano a Lui, quando le azioni che si compiono sono nella verità e nella grazia. Bisogna saperla riconoscere negli eventi, nelle situazioni, nelle persone. A questo dono si risponde con il raccoglimento, il silenzio, la preghiera che aiuta a compenetrarsi in Dio. Elementi distrattivi sono invece i moti interni ed esterni, le preoccupazioni, le vicissitudini della vita. Per godere della presenza di Dio, come fu detto al profeta Elia, bisogna uscire dal buio della caverna della propria vita assillata dagli avvenimenti giornalieri e fermarsi sul monte per contemplare e lasciarsi trasfigurare. I Padri dello Spirito considerano la presenza di Dio una virtù che si conquista con esperienze concrete, esercizi ripetuti, metodi comprovati. S. Pietro d’Alcantara suggerisce la pratica delle giaculatorie, piccole frecce d’amore che «aiutano la memoria continua di Dio e il procedere sempre alla sua presenza». Sono brevi preghiere, con contenuti semplici, che si lanciano verso Dio tra le attività quotidiane, con la forza della fede e l’affetto del cuore. P. Angelo Sardone

Colto, dotto e santo

La semina del mattino
37. «Mi metterò di sentinella, in piedi sulla fortezza a spiare» (Ab 2,1).
La sentinella è addetta alla custodia e protezione di persone e cose; sta al posto di guardia, in alto, veglia armato, avverte in caso di pericolo e interviene prontamente. Ha gli occhi sempre aperti sull’orizzonte per scrutare in lontananza e scorgere anche i più piccoli segni di pericolo o di movimento sospetto. Non lascia la sua postazione per poter in ogni momento dare l’allarme. Se non spia, se non dà i segnali, possono verificarsi situazioni incresciose e dolorose. S. Domenico di Guzman (1170-1221), fondatore dell’Ordine dei Frati Predicatori (Domenicani), privilegiato della grazia, è stato per la Chiesa un’autentica sentinella, secondo la parola profetica: «Ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia» (Ez 3,17). La predicazione itinerante, lo studio approfondito della Scrittura, la mendicità e le osservanze monastiche, sono i capisaldi della sua vita ed innovata azione pastorale. Dante lo paragona ad un agricoltore scelto da Gesù Cristo come aiutante nel suo orto (Paradiso XII, 70-72). In genere inalterabile e parco di parole, gioioso, composto e gioviale, quando apriva la bocca era «o per parlare con Dio nella preghiera o per parlare di Dio». L’esito del suo tenore di vita induce ad imitarne la fede, la costanza nell’impegno, la fedeltà al compito ricevuto, come avvenuto per una schiera di Santi e Sante formati alla sua scuola. P. Angelo Sardone

Perdersi per ritrovarsi

La semina del mattino
36. «Chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà!» (Mt 16,25).
La logica di Dio sembra in contraddizione o contraria alla logica umana. Spesso i conti non tornano e ci si trova in difficoltà: la diversità di vedute e di operazioni distanzia le strade rendendole anche opposte. La sequela di Cristo indicata con chiarezza ai discepoli, è basata sul rinnegamento di sé e l’assunzione ogni giorno del peso della propria croce. Perdere la vita per ritrovarla, guadagnare tanto e poi perdere tutto di sé, sono contraddizioni che si leggono e si risolvono solo in un’ottica di fede. S. Gaetano da Thiene (1480-1547) che si ricorda nella liturgia odierna, evidenzia i criteri evangelici di questa logica. La preghiera ed il servizio ai poveri ed ai diseredati, particolarmente gli incurabili, partendo dalle Beatitudini evangeliche e dall’icona della primitiva Chiesa apostolica, uniti alla riforma della Chiesa con la formazione del clero e la cura dei più poveri ed abbandonati, furono gli elementi portanti della sua vita e missione apostolica che affidò alla Congregazione dei Chierici Regolari detti Teatini da lui fondata. La sua spiritualità privilegia gli estremi della vita di Gesù: nascita e morte. Una confidenza riportata in una sua lettera, attesta che durante la celebrazione di una delle sue prime Messe, gli apparve la Madonna e depose tra le sue braccia il Bambino Gesù. Le sofferenze di Gesù lo spinsero ad avviare Ospizi per anziani e Monti di pietà. La contraddizione evangelica diviene così segreto di santità. P. Angelo Sardone