Pochi i padri

La semina del mattino
65. «Sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo» (1Cor 4,15). Il rapporto tra sacerdote e fedeli è analogo a quello tra il pastore e le sue pecore, il padre ed i suoi figli. Dall’ordinazione sacerdotale consegue il compito di accompagnamento e guida nella via della fede e nella vita nello Spirito, di attenzione e cura, di vera e propria paternità. Il potere conferito da Gesù, attraverso la grazia dei Sacramenti, particolarmente la Riconciliazione, mette nelle condizioni il sacerdote di generare spiritualmente le anime. Questa verità è legata all’identità ministeriale ed alla missione affidata da Gesù sommo ed eterno sacerdote e dalla Chiesa. S. Paolo lo testimonia col suo ministero apostolico nelle prime comunità cristiane e lo conferma con una espressione di grande autorità rivolta ai Corinti: «Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo». È senz’altro uno degli elementi più concreti del servizio dell’apostolo che rivendica la priorità paterna e spirituale dinanzi a cristiani orgogliosi, ondeggianti, opportunisti, facilmente adescabili dall’ultimo arrivato. Il sacerdote, ad immagine di Cristo, è trasmettitore degli stessi suoi sentimenti: sapienza, umiltà, fortezza, carità. Nella vita spirituale tanti possono essere i maestri, moltissimi i pedagoghi, a volte anche ingannevoli, ma di padri, non certo molti: sono tali coloro che generano col seme della Parola, il perdono dei peccati, la presenza costante, la cura e l’attenzione oltre il tempo e la distanza. P. Angelo Sardone

Vino nuovo in otri nuovi

La semina del mattino

  1. «Nessuno versa vino nuovo in otri vecchi» (Mc 2,22).

Le leggi della natura e dell’esperienza sono precise, pratiche e concrete. Non si può contravvenire ad esse senza incontrare poi difficoltà. Nei suoi insegnamenti molto spesso Gesù ricorre ad esemplificazioni tratte dalla natura per evidenziare grandi verità ed indurre gli ascoltatori a comprendere meglio quanto detto ed agire di conseguenza. La toppa di un vestito nuovo non si applica ad uno vecchio per ripararlo. Gli otri vecchi non sono in grado di accogliere il vino nuovo perché la sua forza li spacca e il vino si perde. È questione di logica ed anche di esperienza. Nella parabola evangelica si intravvede la difficoltà di insegnare e praticare i nuovi insegnamenti di Gesù superando le tradizioni e conoscenze religiose relative all’Ebraismo antico. La vita spirituale deve modellarsi ogni giorno in novità segnate dalla Provvidenza di Dio e dalla corrispondenza effettiva alla grazia. La purificazione della coscienza rende disponibile la propria vita ad accogliere il nuovo, determinato dalla forza stessa di Dio che è forza purificatrice e trainante. È importante predisporre la propria vita all’accoglienza sincera della grazia che si comunica attraverso i sacramenti i cui effetti sono salutari. Ma per poter accogliere la forza da essi sprigionata, occorre innanzitutto sbarazzarsi del vecchio e rendere nuovi gli otri della propria vita, rinnovare cioè mente e cuore per poter far posto al nuovo, simboleggiato dal vino. Come la forza del vino è sprizzante, la grazia di Dio ovunque passa purifica, rinnova, esalta e dà vigore. P. Angelo Sardone

Duc in altum. Un mare aperto er ogni sorta di pesci

La semina del mattino
63. «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca» (Lc 5,4).
I pescatori di uomini, costituiti tali da Gesù, sono stati alla sua scuola per tre anni percorrendo le città ed i villaggi della Palestina e salpando più volte il mare di Gennesaret, non sempre ricco di pesci, soprattutto dopo notti intere di lavoro. Il guadagno era indispensabile per vivere sia quando stavano con le loro famiglie, che ora che seguivano il Maestro. Gli Evangelisti Sinottici raccontano spesso questo duro lavoro e le peripezie annesse ad una pesca fruttuosa. In una di queste situazioni S. Luca colloca la chiamata dei primi apostoli. Gesù predica alla folla numerosa sulle rive del lago. A pochi metri ci sono due barche ormeggiate e, intenti a riparare le reti, alcuni pescatori un po’ imbronciati per aver trascorso tutta la notte senza prendere nulla. Gesù ne sceglie una, quella di Pietro e lo invita a prendere il largo. C’era da opporre una giusta resistenza da parte sua perchè la delusione della notte senza aver preso nulla. era sufficiente a non farlo muovere. Invece il pescatore di pesci che aveva sentito la predica del Maestro, cede, con un rigurgito di fede gli dice: “Sulla tua parola getterò le mie reti” e prende il largo. Avviene così una pesca miracolosa. Ciò determina in lui la presa di coscienza della sua indegnità, la fiducia nel Maestro e l’adesione alla sua chiamata. Il largo del mare del mondo cerca ancora oggi audaci pescatori di uomini che non si limitano a superare le poche miglia sicure e vicine alla riva, ma che sfidano il mare aperto, per annunziare la salvezza e la grandezza dell’amore di Cristo. P. Angelo Sardone

Collaboratori di Dio

La semina del mattino
62. «Siamo collaboratori di Dio e voi campo di Dio, edificio di Dio» (1Cor 3,9).
I sacerdoti, come gli Apostoli, sono chiamati ad un servizio di collaborazione. Il padrone e datore di lavoro è Dio: Egli ha cura del suo podere o campo, la Chiesa
piantata dal celeste Agricoltore come vigna scelta. Cristo che è la vera vite, dà linfa e fecondità ai tralci, cioè a tutti coloro che rimangono in Lui. Senza di Lui non si può fare nulla (Gv 15,1-5). Il Signore Gesù è la pietra rigettata dai costruttori, ma divenuta pietra angolare sul cui fondamento è costruita la Chiesa dagli apostoli (1Cor 3,11); da Lui essa riceve stabilità e coesione. Il campo di Dio e l’edificio di Dio sono affidati a coloro che ha scelto per essere suoi e perché lo coltivino e lo tengano in efficienza con la predicazione, i sacramenti, l’insegnamento, le virtù, la santità. Il lavoro apostolico riceve energia e vita non solo dalla forza e dall’impegno professionale dei lavoratori a tutte le ore, ma soprattutto da Dio che pianta, irriga, fa crescere. La fedeltà è indispensabile per la buona riuscita e la tenuta dell’impegno apostolico. La piena comunione con la Chiesa, a cominciare dal papa ed i vescovi, garantisce l’unità e la fecondità del lavoro pastorale. I collaboratori, interpreti e trasmettitori del messaggio evangelico loro affidato, realizzano la diffusione del Regno con le loro competenze e capacità relazionali, l’abnegazione. Hanno la consapevolezza di essere mezzi e strumenti di salvezza, servitori di Gesù dal quale riceveranno la ricompensa secondo il proprio operato. P. Angelo Sardone

L’autorità di Gesù e del Magistero della Chiesa

La semina del mattino
61. «Erano stupiti del suo insegnamento: la sua parola aveva autorità» (Lc 4,31).
Gli insegnamenti di Gesù Cristo hanno sempre destato grande stupore, anche in chi non crede in Lui ed in chi lo ha avversa o lo rifiuta. Le sue parole non appartengono al comprendonio ed alla cultura di un saggio, ma sono Spirito e vita, parole di verità e di grande profondità. I suoi contemporanei lo chiamavano “Rabbì”, “Maestro” e riconoscevano in Lui una competenza fuori dell’ordinario. Per questo, folle innumerevoli lo seguivano dimentichi anche dei bisogni più naturali, pur di ascoltare la sua parola: era davvero avvincente, realistico, penetrava fin nelle viscere scardinando dalla radice concezioni appiattite, comodi sonnecchiamenti morali, risvegliando il desiderio ed il bisogno del vero, del giusto, del santo. Il riferimento alla natura, le esemplificazioni prese dalle stagioni, il racconto di fatti verosimili, le parabole, erano strumento indispensabile per rendere il discorso e gli insegnamenti di facile presa. Il ricorso alla Scrittura poi cementava gli argomenti e dava maggiore valore a quello che affermava. Gli Scrivi, i Farisei e la gente comune lo ascoltavano ed erano stupìti del suo insegnamento di alta qualità, la cui caratteristica era l’autorità. Gesù parlava senza tentennamenti ed era diretto. E questo, non solo quando comandava alle forze della natura o ai demoni, ma anche quando insegnava nella Sinagoga commentando la Torah. Questo insegnamento con altrettanta autorità è affidato oggi al Magistero della Chiesa. P. Angelo Sardone

Timore e trepidazione

La semina del mattino
60. «Mi presentai nella debolezza, con molto timore e trepidazione» (1Cor 1,4).
Il ministero sacerdotale è quanto di più affascinante e misterioso possa esserci. Una dignità sovrumana avvolge completamente e trasforma la povertà fisica, psicologica e spirituale di un uomo chiamato al grave compito e alla grande responsabilità di essere “alter Christus”. Per questo egli deve rendersi conto ogni giorno di quello che fa, imitare ciò che celebra, praticare quello che annunzia, testimoniare con coraggio ciò che compie, conformare la sua vita al mistero della croce di Cristo. La debolezza umana, propria di ogni essere, è subordinata alla situazione di peccato che ha infiacchito la capacità di amare, donare, servire senza interessi e preclusioni. La grazia santificante dei sacramenti e, in particolare la Grazia di stato che il Signore gli dona per l’esercizio del ministero e la realizzazione della sua vocazione, è di grande aiuto e sostegno. Il sacerdote si mette in gioco per trasmettere verità che gli non appartengono, a volte anche scomode, con la forza che viene da Dio e che supera la paura umana che cede alla tentazione ed al facile scoraggiamento. L’esperienza dimostra che chi è eccentrico, troppo sicuro di sé, prima o poi cede e diventa vittima della superbia, del proprio egoismo, accecato da una forza implosiva che genera detrimento in sé e scandalo nel popolo di Dio. Il timore e la giusta trepidazione con le quali il sacerdote si presenta ed opera, sono compensati dalla fermezza e dal coraggio dell’annunzio che vengono da Dio. P. Angelo Sardone

Alzerò il calice della salvezza ed invocherò il nome del Signore

La semina del mattino
59. «Tu sei sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchisedek» (Sal 109,9).
Rendo grazie al Signore con tutto il cuore per il dono sublime del sacerdozio che mi ha concesso 40 anni fa. Il 30 agosto 1980, Gesù sommo ed eterno sacerdote ha trasformato la mia vita rendendola un mistero di amore per il popolo di Dio e per me stesso. Nell’identità di pastore e guida delle anime, se pure in maniera indegna, ho vissuto il mio esodo andando verso gli altri. Ho servito la Congregazione dei Rogazionisti nei diversi campi di apostolato affidati alla mia responsabilità e consoni alla mia indole: lo studio, la musica e il canto, la ricerca storica e carismatica, l’animazione della pastorale vocazionale, giovanile e sacramentale, la direzione spirituale e l’accompagnamento vocazionale, la formazione carismatica dei laici, lo zelo della preghiera per le vocazioni in tutte le forme culturali e pastorali derivanti dal Rogate. Scelto tra gli uomini e costituito per tutto ciò che si riferisce a Dio per il bene degli uomini, sono diventato, mio malgrado, strumento di grazia e di salvezza per tanti. Ho ripetuto migliaia di volte le parole della consacrazione eucaristica, ho distribuito a larghe mani il perdono, ho pianto con chi piange e gioito con chi è nella gioia, mi sono preso cura di ciascuna persona, ritenendola unica ed irripetibile. Se qualche preferenza ho avuto, è stata per i giovani e le persone più vulnerabili. Rivestito di debolezza, per la potestà conferitami da Dio, ho sentito compassione per chi è nella ignoranza e nell’errore. Ho sofferto ed ho offerto sacrifici, rinunzie, preghiere e lagrime per i peccati ed il ravvedimento dei peccatori. Ho cercato di esprimere il ministero sacerdotale nel servizio e nell’amore disinteressato, nella condivisione fraterna, nel farmi carico dei problemi e delle vite degli altri. Il Signore mi ha concesso come grazia speciale, il dono della paternità spirituale per tante anime che a me si sono affidate: ho dato loro la vita col sacramento della riconciliazione, il servizio della Parola, l’affetto e la presenza costante. Ho solo il desiderio di compiere la volontà di Dio, come mi insegnò il mio parroco. Oggi condivido con te questo dono e mistero, chiedendoti una preghiera, perchè la mia vita sacerdotale sia trasparenza di Cristo. P. Angelo Sardone

Mi hai sedotto, o Dio

22ª domenica T.O. La seduzione di Dio è un grande atto di amore, la sua violenza è fortezza per il profeta Geremia chiamato ad annunziare cose terribili e scomode. Pur non volendo pensarci né parlare nel nome di Dio, il fuoco ardente contenuto nel cuore e trattenuto nelle ossa glielo impediscono. Il vero culto spirituale è l’offerta del proprio corpo come sacrificio a Dio, il distacco dalla mentalità mondana ed il rinnovamento del pensiero onde discernere in pieno la volontà di Dio e ciò che gli è gradito. La missione di Cristo deve compiersi attraverso la sofferenza, la morte e la risurrezione. Non fu facile comprendere un simile mistero neppure a Pietro che tentò di dissuadere Gesù e fu da Lui aspramente rimproverato. La sequela di Cristo è la logica del contrario contrassegnata dalla croce: perdere la vita per causa sua per ritrovarla. Questo è il vero vantaggio che permette di ricevere da Gesù in compenso il beneficio delle proprie azioni. P. Angelo Sardone

Una imprudente e viscida promessa

La semina del mattino
58. «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò» (Mc 6,22).
E’ una scellerata e sciagurata promessa fatta da Erode, re fantoccio, ebbro di potere e sudiciume morale, a Salomè, esile giovinetta, brava nell’arte della danza ma aizzata e mal consigliata da Erodiate, sua perfida ed adultera madre, col cuore ridondante di astio e veleno contro Giovanni il Battista che aveva apertamente deplorato e rimproverato l’acclarato suo adulterio. Il pranzo sontuoso ed il molto vino avevano dato alla testa al re che aveva usurpato la moglie a suo fratello Filippo, portandola nell’entourage della sua corte viziata. Solo un insensato avrebbe potuto fare una promessa del genere per un giro di danza inebriante sensualità mentre Giovanni, che pure egli riteneva giusto e santo, giaceva nelle prigioni vittima della verità e del coraggio dell’accusa. Quando la mente umana è frastornata dalle sozzure sensuali non ragiona e cede il passo alle più avvilenti forme di bassezza fino al punto di rendersi gravemente responsabile finanche di morte. Giovanni paga con la decapitazione la sua coerenza e la verità eclatante delle sue affermazioni. Erode è vittima di una stupida promessa velata da una confusione mentale e di vita, succube di una donna perversa e di una situazione immorale. Non sa tirarsi indietro pur minimamente consapevole del grave errore che ha fatto. Quante situazioni analoghe si verificano anche oggi, riempiono le pagine dei giornali e corrono sul web! Quanta povertà! Che Dio ci salvi davvero! P. Angelo Sardone