S. Nicola di Bari: ponte tra l’Oriente e l’Occidente

«La mano del Signore si poserà su questo monte» (Is 25,10). Il sentiero dell’Avvento porta ad un monte dove il Signore ha preparato per tutti un banchetto eccezionale con vivande prelibate e vini succulenti. Il suo scopo è eliminare la morte per sempre, asciugare le lacrime su ogni volto e posare su ciascuno la sua mano provvidente. In questa logica di vita si pone la testimonianza di uno dei santi più noti e venerati dell’agiografia cristiana, S. Nicola di Mira (260-326) o, come più comunemente è conosciuto, S. Nicola di Bari, dal momento che nel 1087 le sue reliquie furono trafugate e ivi condotte per essere venerato come protettore, patrono, e ponte di dialogo tra l’Oriente e l’Occidente. Nato a Patara, nella Licia, sulla costa meridionale dell’attuale Turchia, sin da giovane si esercitò nelle virtù cristiane, in particolare la carità e castità. Le riconosciute sue doti di pietà gli valsero la nomina a vescovo di Mira. Prese parte al Concilio di Nicea (325 d.C.). È noto l’episodio della salvezza di tre fanciulle avviate dal loro padre, caduto in disgrazia economica, alla prostituzione, per procurarsi il denaro necessario per il matrimonio. Il santo diede per dote a ciascuna di loro un sacchetto contenente il denaro sufficiente. L’iconografia lo ritrae con ai piedi tre palle d’oro che richiamano i sacchetti di monete d’oro, come anche la salvezza di tre uomini ingiustamente condannati a causa di tafferugli avvenuti nella città di Mira. Un suo efficace intervento salvò la stessa città dalle eccessive tasse imposte dall’imperatore. L’omonima basilica a Bari, è meta continua di pellegrinaggi provenienti soprattutto dall’est-Europa. Auguri a tutti coloro che portano il nome di Nicola e i suoi derivati, perché, secondo l’etimologia propria del nome, siano vittoriosi sul male. P. Angelo Sardone

Prima domenica di Avvento

«Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità» (Is 63,17). Comincia oggi l’Avvento che segna l’inizio del nuovo anno liturgico, la «struttura temporale entro la quale la Chiesa celebra l’intero mistero di Cristo: dall’Incarnazione e dalla Natività fino all’Ascensione, al giorno di Pentecoste, all’attesa della beata speranza e della venuta del Signore» (Direttorio pietà popolare, 94). Il teologo liturgista, dom Odo Casel (1886-1948), rappresentava l’anno liturgico con l’immagine dell’anello nuziale: la Chiesa, sposa di Cristo, mostra l’anello come segno della sua unione con lo Sposo. Con un senso misto di sobrietà, austerità e gioia, la Chiesa si prepara ad accogliere nel mistero la nascita di Cristo, facendola precedere da un congruo tempo, l’Avvento, che imita la lunga attesa che precedé la nascita di Gesù, caratterizzato particolarmente dalla voce dei profeti che invitano alla conversione ed alla speranza. Isaia è il profeta principale che accompagna l’itinerario dell’Avvento con la sua parola e guida il cammino con la profondità espressiva dei suoi scritti. Meditando sulla storia di Israele, il profeta come in un salmo di supplica collettiva, mentre ricorda il castigo di Dio sull’umanità ribelle, evidenzia il suo intervento salvifico a cominciare dalla liberazione dall’Egitto. L’accorata invocazione si traduce in fervorosa preghiera: «ritorna Signore, per amore del tuo popolo, squarcia i cieli e scendi». L’attesa liturgica è memoria della prima venuta del Salvatore nella carne mortale, supplica fiduciosa dell’ultima venuta di Cristo Signore nella gloria finale. Buon cammino dell’Avvento! P. Angelo Sardone

Il Figlio dell’uomo

«Guardando nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo. Gli furono dati potere, gloria e regno» (Dn 7,13-14). Le visioni notturne del profeta Daniele hanno un risvolto apocalittico. Immagini e termini adoperati nella loro spiegazione, hanno grande affinità con quelli dell’Apocalisse di S. Giovanni apostolo. La liturgia della Parola che caratterizza l’ultima settimana del Tempo Ordinario prima dell’inizio del nuovo anno liturgico, utilizza questi testi provocando una riflessione profonda sulle realtà escatologiche.La prima visione si caratterizza come «visione delle quattro bestie», quasi in analogia al sogno di Nabucodonosor ed ai quattro metalli di cui era composta la statua. Il leone rappresenta il regno babilonese; l’orso, quello dei Medi; il leopardo, il regno persiano, e la quarta bestia, diversa da tutte le altre, spaventosa, terribile con una forza eccezionale, l’Impero di Alessandro e dei suoi successori. Questi regni perdono il potere dinanzi a quello maestoso del Figlio dell’uomo che giunge sulle nubi ed al quale sono concessi il potere, la gloria ed il regno che non sarà mai distrutto. Il termine «figlio dell’uomo», designa un uomo che misteriosamente supera la condizione umana, come spiegato dagli esegeti e come riportato nelle interpretazioni dei rabbini e nell’applicazione che Gesù fa a se stesso, come titolo messianico. Gesù ha condiviso in tutto la condizione umana anche nella sua precarietà. Una dimostrazione chiara verrà nel mistero della sua nascita in terra e poi della sua morte redentiva. Questi concetti, per quanto alti e difficili da interpretare, preannunziano l’evento della venuta di Cristo. P. Angelo Sardone

Sant’Andrea, primo animatore vocazionale

«La fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10,17). Questa affermazione di S. Paolo è diventata un classico nella catechesi: dall’ascolto della Parola di Cristo viene la fede. L’importanza dell’ascolto è indiscussa perché permette di cogliere con attenzione, meditare nel profondo e poi tradurre nella vita quanto è comunicato. Nell’intera sua vita l’Apostolo Andrea, di cui oggi si celebra la festa liturgica, è stato un attento ascoltatore, prima di Giovanni Battista di cui era discepolo e poi di Gesù. Accolse senza riserve l’indicazione che il rude maestro del Giordano che amministrava il Battesimo diede a lui ed all’altro che era con lui. L’attenzione e la fiducia «nell’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo», lo spinse a comunicare immediatamente a suo fratello Simone la straordinarietà dell’incontro e della persona di Gesù di Nazaret. Entrambi poi, secondo la versione evangelica di Matteo e Marco, furono chiamati direttamente da Gesù mentre, lungo le sponde del lago di Gennesaret, gettavano le reti in mare. La sua collocazione all’interno del collegio apostolico lo pone sempre in atteggiamento interlocutorio ed attento. Indica infatti il fanciullo in possesso dei cinque pani e dei due pesci coi quali Gesù realizza la moltiplicazione; insieme con Filippo col quale condivide l’etimologia greca del nome, comunica che alcuni Greci vogliono conoscere Gesù. La crescita ulteriore nella fede avverrà dopo la morte e la risurrezione di Cristo, quando, secondo la tradizione si diede alla predicazione in Asia Minore e nella Russia meridionale e meritò il martirio, crocifisso su una croce particolare ad X che prende da lui il nome di «croce di Sant’Andrea». Auguri a tutti coloro che ne portano il nome perché siano ascoltatori attenti e comunicatori efficaci della Parola di Dio. P. Angelo Sardone