«Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore» (Rm 14,7-8). L’appartenenza a Cristo costituisce uno dei tratti fondamentali della vita e dell’impegno cristiano ed è espressione concreta della mutua associazione. Nella vita dei cristiani esiste una dicotomia tra i maturi e forti che sono liberi da prescrizioni assillanti ed esterni e da deboli nella fede che legano il proprio modo di agire ad imposizioni che vengono dall’esterno e che talora sono velati di superstizione. In tutto ed in tutti deve prevalere l’unità che non è necessariamente uniformità di vedute, ma si traduce in attenzione, comprensione e rispetto dell’atteggiamento altrui. Maggiormente quando si hanno nella comunità responsabilità derivanti dalla propria vocazione. È il caso di S. Carlo Borromeo (1538-1584), grande pastore della diocesi di Milano, insieme con altri santi, guida della Controriforma cattolica ed animatore del Concilio di Trento. Di corporatura robusta, era alto più di un metro ed ottanta, a poco più di vent’anni da suo zio il papa Pio IV fu nominato suo segretario e cardinale. Mettendo in atto le prescrizioni del Concilio tridentino, ebbe a cuore la formazione del clero e dei fedeli, visitando la vastissima diocesi, fondando seminari, edificando ospizi ed ospedali con le ricchezze della sua famiglia e difendendo l’autonomia delle istituzioni ecclesiastiche. All’unità della diocesi associò l’umiltà della sua vita ed il servizio dei poveri nello spirito e nel corpo, fino all’eroicità nel corso della peste del 1576, quando contrasse la malattia e morì. In lui vita e morte si qualificano «per» il Signore: è questo l’atto maggiore di eroismo cristiano. P. Angelo Sardone