La straordinaria madre-coraggio

«Figlio, non temere questo carnefice, ma accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia» (2Mac 7,29). La storia commovente di una mamma-coraggio, anonima madre ebrea dei fratelli Maccabei, sfida il tempo presentandosi come un esempio di eroica coerenza nella scelta della morte invece che dell’apostasia della fede imposta dal dominio siro-ellenistico. Dotata di un coraggio fuori di ogni normalità, ella esorta i suoi sette figli a non desistere dalla fede dei Padri, andando incontro alla morte, sicuri di entrare nella vita nuova. Ad uno ad uno i figli con sorprendente coraggio testimoniano davanti al boia che agiva con metodi molto crudeli, la fierezza della loro fede confutando la dottrina e lo stile di vita greco che chiedeva loro di abiurarla. Si tratta della bellissima testimonianza di un’intera famiglia votata al Signore che manifesta la fiducia in Dio ed il suo aiuto nell’ora della prova. Il racconto storico dell’avvenimento, detto “Passione dei santi Maccabei”, nel tempo ha trovato una grande diffusione e divenne modello per diversi atti di martiri. Le incisive parole della madre fanno da sostegno ai figli che, uno per uno, prima di cadere uccisi, pronunziano davanti al boia parole straordinarie di coraggio e di fede, intrise di intensa teologia soprattutto in riferimento alla risurrezione. Ad uno ad uno li ha rigenerati nella fede matura, coerente ed eroica. La Chiesa nel corso della sua storia ha annoverato altri analoghi esempi. L’aristocratica e scristianizzata società occidentale nasconde o tace testimonianze simili che, indipendentemente dalla religione professata, farebbero tanto bene alle nuove generazioni di genitori e figli, sballottati a volte da fedi inconcludenti e paure latenti. P. Angelo Sardone

La fede coerente e coraggiosa

«Non è affatto degno della nostra età fingere, con il pericolo che molti giovani, per colpa della mia finzione, si perdano per causa mia» (2Mac 6,24-25). La liturgia presenta una nobile figura di scriba, il novantenne Eleazaro, che durante il tentativo di ellenizzare gli Ebrei da parte di Antioco IV Epifane, rifiutò di mangiare la carne di maiale, proibitissima agli Ebrei, ritenendo che la resa di un uomo della sua età, avrebbe potuto indebolire il coraggio e la fede dei giovani. I più vicini, per sottrarlo alla morte, avrebbero voluto che lui fingesse, mangiando la pietanza che lui stesso aveva preparato, ma egli facendo un ragionamento saggio e nobile, preferì andare incontro al patibolo. La sua età ed il prestigio di una condotta irreprensibile nell’osservanza della Legge, non gli consentivano di dare cattivo esempio ai giovani e macchiare la sua vecchiaia. Fu una pazzia, ma degna della coerenza di una persona veramente matura nella fede e timorata di Dio. Il suo esempio è imperituro ed a distanza di millenni rimane una icona di serietà, compostezza, fedeltà alla Legge di Dio e rifiuto del compromesso. Quanto divario c’è, soprattutto oggi, dal dire di credere in Dio e dal manifestare in concreto con gesti e scelte coraggiose la verità della propria fede e la coerenza che ne consegue. E ciò ad ogni età e condizione sociale e religiosa. Aveva ragione S. Ignazio di Antiochia quando affermava: «è meglio essere cristiani senza dirlo piuttosto che proclamarlo senza esserlo». Una finta religiosità prevalentemente emotiva e senza radici porta alla facile apostasia ed all’ipocrisia ed elude la coerenza della fede. P. Angelo Sardone

Il rigore morale di Mattatia

«Molti in Israele si fecero forza e animo a vicenda per non mangiare cibi impuri e preferirono morire pur di non contaminarsi» (1Mac 1,62). La sezione dei libri storici della Bibbia cristiana si chiude con due, detti “Dei Maccabei” che non rientrano nel canone giudaico, ma sono comunque ritenuti ispirati. Contengono la storia delle lotte sopportate dai Giudei per la libertà politica e religiosa del popolo e suscitate dai re Seleuciti. Prendono il nome da Giuda, soprannominato “maccabeo”, cioè “martello”, che è l’eroe protagonista. Egli è il capo della insurrezione contro Antioco IV Epifane. Il soprannome passò all’intero periodo storico giudaico. Erano in campo da avversari il potere ellenistico conquistatore, nella persona di Antioco, “radice perversa” e da figli empi di Israele che preferivano fare accordi coi popoli conquistatori, e Mattatia che invece incitava alla guerra santa per non essere contaminati dalle istituzioni ed usi pagani. Antioco infatti saccheggiò il Tempio e prescrisse l’unificazione dei vari popoli, compresso quello giudaico, l’abbandono delle leggi, i sacrifici con carni immonde. Per Israele ciò costituiva il più alto sacrilegio. Tutto era in subbuglio: la vendetta dell’empio re era la morte di innocenti ed osservanti della Legge. Molti non volendo contaminarsi andavano incontro alla morte. È una grande lezione storica di coraggio e coerenza di uomini e donne dotati di fede certa e solide convinzioni religiose, non fanatiche, ma osservanti in pieno della Legge di Dio. Tanto si ha da imparare da questi esempi e questi gesti: molti cristiani di oggi con facilità preferiscono rinunziare alle loro convinzioni e seguire modi di pensare ed agire che contravvengono esplicitamente alla legge di Dio. P. Angelo Sardone

La fine del mondo

«Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni; sarà salvato chiunque si troverà scritto nel libro» (Dn 12,1). La fine dell’anno liturgico è caratterizzato dalla lettura di testi particolari che parlano della fine del mondo e dell’escatologia. La Chiesa riserva in quest’ultimo periodo prima di intraprendere il nuovo anno, considerazioni sul senso e la realtà della fine delle cose e del mondo, come Gesù Cristo stesso aveva preannunziato. Lungi dal destare una naturale paura, questo tempo che coincide col mese di novembre dedicato alla riflessione sulla morte ed alla venerazione dei defunti, diviene tempo propizio per aprire la mente ed il cuore a considerare la finitezza delle cose e regolare pensieri ed azioni su un versante di bene e di amore. Uno dei testi dell’Antico Testamento sulla resurrezione della carne, il libro profetico di Daniele, introduce la figura angelica di Michele, il grande principe che vigila su Israele. Daniele era un giovane giudeo deportato alla corte di Nabucodonosor ed ivi rimasto fino al terzo anno del re Ciro (537 a.C.). Al tempo della fine è dedicato il capitolo 12 con una visione singolare che riporta la più antica espressione di fede nel mistero della risurrezione. Dopo un periodo di grandi tribolazioni i morti risorgeranno alcuni per la vita eterna altri per la condanna. Non si sa quando sarà la fine: il mistero è sigillato nel tempo. Tale resta anche oggi. Gesù lo ha confermato chiaramente: la conoscenza del tempo di realizzazione di questo evento appartiene solo al Padre, nessuno lo sa. Con buona pace dei Testimoni di Geova e dei Millenaristi! P. Angelo Sardone

XXXIII domenica del Tempo Ordinario

Nel tempo dell’angoscia Dio salva il suo popolo. L’Arcangelo Michele vigila. La salvezza sarà per coloro che sono scritti nel libro della vita, saggi che splendono nel firmamento come astri lucenti di giustizia. Avvenimenti apocalittici segneranno la fine del mondo: sole che si oscura, luna che non dà luce, stelle che cadono dal cielo. Gli Angeli del giudizio raduneranno tutti i popoli da ogni parte della terra. La lezione si apprende dalla natura: il fico tenero e pieno di foglie annunzia l’estate. Le cose preannunciate da Gesù sono il segno dell’imminente fine del mondo che nessuno sa perché il Padre ha voluto riservarlo a sé. Cristo è assiso alla destra del Padre: ha offerto il suo sacrificio una volta per sempre, ha eliminato il peccato ed attende la disfatta dei nemici che saranno posti sotto i suoi piedi. P. Angelo Sardone

Il profondo silenzio

«Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, la tua parola onnipotente dal cielo, si lanciò portando il tuo decreto irrevocabile» (Sap 18,14). La lettura sapienziale della storia del rapporto di Dio con l’umanità tocca un vertice straordinario in un passaggio che la Chiesa riporta nella Liturgia in preparazione al Natale. Leggendo l’opera di Dio nella storia, a cominciare da Adamo e Mosé, passando attraverso l’Esodo, l’estensore del libro della Sapienza, considera alcuni elementi, sette in tutto, che i biblisti definiscono “contrappasso”, dal miracolo dell’acqua fino al Mar Rosso, passando attraverso le piaghe diverse delle rane, le cavallette ed il serpente di bronzo, la grandine e la manna, le tenebre e la colonna di fuoco, la notte tragica e finalmente la liberazione dalla schiavitù. L’opera della Parola di Dio è la fine dei primogeniti d’Egitto, definita dai profeti esecuzione dei giudizi di Dio, uno sterminio dovuto ad un ordine inesorabile di sapore apocalittico. Contrariamente all’uso che la liturgia ne ha fatto, il testo non prefigura l’incarnazione del Verbo, ma il terribile annunzio della sua seconda venuta. Il silenzio della notte evoca la situazione particolare del peccato che fa immergere nel buio e nell’assenza di voci e di suoni. Il Signore giunge per infrangere il silenzio con la voce tuonante del giudizio che si esprime in termini positivi per chi è degno di salvezza, ed in termini negativi per chi invece, proprio per il peccato e nel peccato, ha meritato la sua condanna. P. Angelo Sardone

La grandezza di Dio nella naturale

«Dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore» (Sap 13,5). La creazione è il capolavoro di Dio. Tutta la realtà creata rispecchia la grandezza ed il valore del Creatore. La storia del pensiero umano sempre ha considerato come punto di partenza il mondo, la terra e tutti gli elementi che li compongono come parte integrante o degradante di Dio. La sapienza divina canta l’originalità del prodotto di Dio, tale perché frutto di amore, attenzione, provvidenza e cura. La contemplazione e lo studio della natura eleva lo spirito umano fino a un Dio trascendente e creatore di tutto. La Scrittura celebra la potenza e la grandezza di Dio nel creato: è un’opera grandiosa, un’opera d’arte che riflette la grandezza e la potenza del Creatore stesso. Dio è continuamente in azione: la sua opera creatrice ed in particolare la terra sin dall’inizio è stata affidata all’uomo perché la coltivasse e custodisse con un potere direttamente conferito dal Creatore. Ogni cosa creata è grande: tutto acquista significato e valore inserito in un piano molteplice di bellezza. Da essa si desume la grandezza di Dio che va contemplato nella natura stessa perché tutto parla di Lui. La ricerca e la scoperta continua dell’uomo con la scienza evidenziano la ricchezza straordinaria immessa da Dio nella natura per il bene sociale, alimentare, spirituale e morale dell’uomo e della donna. Il peccato contro l’ecologia viene inteso come «un’azione o un’omissione contro Dio, contro il prossimo, la comunità e l’ambiente, e si manifesta in atti e abitudini di inquinamento e distruzione dell’armonia dell’ambiente» (Documento finale del Sinodo speciale per la Regione panamazzonica, n. 82). P. Angelo Sardone

San Martino di Tours

«La Sapienza passando nelle anime sante, prepara amici di Dio e profeti» (Sap 7,27). I primi amici di Dio sono i Santi, i veri signori del mondo. Essi sono dominati dalla Sapienza di Dio e pervasi dal multiforme spirito «intelligente, santo, unico, molteplice, sottile, agile, penetrante, senza macchia, schietto, inoffensivo, amante del bene, pronto, libero, benefico, amico dell’uomo, stabile, sicuro, tranquillo, che può tutto e tutto controlla». La ridondanza biblica delle caratteristiche entitarie dello Spirito Santo, sottolinea la stessa potenza di Dio che agisce attraverso i suoi Santi quando, passando in essi, li rende amici e suoi profeti. Esempio vivo di questa Parola è S. Martino di Tours (316-397), uno dei santi più celebri e venerati in Europa. Nato da genitori pagani, ricevé il Battesimo a 20 anni e pur rimanendo nell’esercito nel quale era stato avviato per la carriera militare, cominciò a testimoniare la fede cristiana fatta di rispetto, comprensione, attenzione. Divenne diacono e presbitero sotto la guida di S. Ilario vescovo di Poitiers, e con alcuni suoi discepoli avviò la vita monastica in Francia. Fu acclamato unanimemente vescovo di Tours dai cristiani locali rimasti senza pastore. La sua ardente carità abbracciò tutti gli ambiti della pastorale: la formazione del clero, l’evangelizzazione delle zone rurali, la condivisione con il prossimo più povero. Esempio classico riportato anche nell’arte pittorica è il dono della metà del suo mantello ad un povero intirizzito, sotto le cui spoglie si nascondeva lo stesso Gesù. Non ricusò la fatica fino all’ultimo istante della sua vita, e la sua presenza fece ristabilire la pace in un convento con monaci in subbuglio. Amo questo santo, avendo avuto da Dio il dono di nascere 67 anni fa proprio in questo giorno! P. Angelo Sardone

San Leone papa, detto Magno

«Chi custodisce santamente le cose sante sarà riconosciuto santo» (Sap 6, 10). La logica di Dio è quella dell’incontro, frutto di una ricerca. Dio si lascia trovare da quelli che lo cercano ed esorta i potenti a ricercare la sapienza. Come in altre parti della Scrittura, dove è presentata in differenti forme, la Sapienza afferma che il potere é di origine divina e tutti i sovrani sono servi della regalità di Dio. I potenti saranno esaminati con rigore e soggetti ad una indagine rigorosa. Imparare la sapienza è garanzia per non cadere. Ciò vale per tutti, in campo sociale, civile ed ecclesiastico. Coloro che osservano religiosamente la volontà di Dio e la custodiscono, saranno riconosciuti santi. Dal momento che ogni forma di risposta a Dio, qualunque vocazione del cristiano, è cosa santa perché viene da Dio, la Scrittura esorta a custodirla santamente, a proteggerla da ogni pericolo esterno ed interno, a mirare alla santità, cosa che sarà riconosciuta. La memoria liturgica odierna celebra S. Leone (440-461), uno dei primi papi, dottore della Chiesa, al quale per primo fu attribuito il suffisso “Magno”, cioè grande, che indica la mole del suo operato e la santità della sua vita. Fu un papa energico nell’affrontare le diverse e gravi questioni dottrinali e disciplinari della Chiesa. Risalta particolarmente dai libri di storia il celebre incontro con Attila, re degli Unni, al quale fu inviato dall’imperatore Valentiniano III, a seguito del quale il temerario re desisté dall’invadere l’Italia. L’aver custodito fedelmente le cose sacre affidategli da Dio e dalla Chiesa, gli valse non solo il riconoscimento della santità, ma anche la grandezza stessa nella santità, al pari del leone in mezzo a tutti gli altri animali. P. Angelo Sardone

La Basilica del Papa

«Le loro acque sgorgano dal santuario» (Ez 47,12). La quarta ed ultima parte del libro di Ezechiele, il profeta sacerdote deportato in Babilonia, presenta il nuovo futuro tempio, le prescrizioni per il culto, il fiume che sgorga dal tempio. Il suo ruolo è quello di comunicare alla Casa di Israele quanto ha visto. Nella lunga visione profetica il penultimo capitolo del libro si concentra su una sorgente che sgorga dal tempio e la benedizione che porta al paese la nuova abitazione di Dio in mezzo al suo popolo. Questo testo sarà ripreso da Giovanni evangelista nell’Apocalisse. Il santuario, il nuovo tempio è la sorgente di un’acqua che risana e fa rivivere tutto all’intorno: il pesce è abbondante, gli alberi da frutto sono rigogliosi e danno raccolto ogni mese. La liturgia odierna celebra la Festa del giorno natalizio o Dedicazione della Basilica Lateranense di Roma, costruita per opera dell’imperatore Costantino sul Celio e intitolata al SS.mo Salvatore. Il battistero esterno dedicato a S. Giovanni Battista, le conferì nel tempo il nome di S. Giovanni in Laterano. Quel luogo fu assegnato da Costantino al pontefice come luogo di residenza. Dopo il battistero frutto di un adattamento di alcuni ambienti, allora terme private, fu eretta una grande basilica a cinque navate, la prima delle quattro basiliche maggiori, la più antica e importante di tutto l’Occidente. Essa è la Cattedrale di Roma, “capo e madre di tutte le chiese dell’Urbe e dell’orbe”. Ancora oggi dalla profondità di questo santuario che richiama la centralità della fede cristiana, sgorgano le acque salutari che irrorano di grazia e dissetano di dottrina e di fede il vero tempio di Cristo che siamo noi. P. Angelo Sardone