La roccia eterna è la Parola che salva

«Aprite le porte. Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna» (Is 26,4). L’Avvento è tempo di speranza. La Parola di Dio che la rende certa e forte, induce alla gioia ed al canto. Nel linguaggio profetico la città di Gerusalemme diviene il riferimento costante della religiosità del popolo d’Israele e luogo dell’incontro col Signore, la città della salvezza. Le sue porte devono essere sempre aperte per accogliere il popolo giusto e fedele il cui animo è saldo e la cui ricerca è la pace e la fiducia. Il Signore ha provveduto ad abbattere la città eccelsa, cioè superba, insieme con i suoi abitanti arroccati nell’alto delle loro posizioni ambiziose con la pretesa quasi di essere superiori a Dio. Il risultato è un ammasso di macerie sulle quali passano i piedi degli oppressi e dei poveri. Al contrario Dio è roccia eterna: se si confida in Lui si ha salva la vita e si è nella gioia. Incamminati verso il Signore che viene, la Parola di Dio diviene stimolo ed incentivo alla vera speranza che permette di vedere già ora il non ancora e spinge a camminare sulle macerie del proprio egoismo o della passività della propria fede sconsolata e provata, per andare verso la rocca, in alto. Occorre camminare e tenere lo sguardo fisso verso la meta. Il cammino dell’Avvento è uno stimolo efficace per accogliere la Parola e lasciarsi da lei guidare verso il luogo dove un piccolo bambino confonde la maestà dei grandi, la povertà della stalla si oppone e sovverte la sontuosità del palazzo, la roccia eterna si erge sontuosa. P. Angelo Sardone

Il banchetto del Messia

«Ecco il nostro Dio; è il Signore in cui abbiamo sperato» (Is 25,9). Gli oracoli messianici del profeta Isaia diventano incalzanti. Riprendendo temi sviluppati da altri profeti anteriori, egli descrive l’afflusso dei popoli della terra a Gerusalemme per la celebrazione di un sontuoso e gustoso banchetto. Questa idea diverrà ricorrente nel Giudaismo prima e poi nel Cristianesimo. Velo e coltre di vergogna saranno strappati, la morte sarà eliminata, le lagrime asciugate da ogni volto, la condizione disonorevole annientata. Allora tutti i popoli grideranno all’evento: “questo è il nostro Dio e Signore nel quale è stata riposta tutta la speranza”. Alla poesia si alterna la teologia fine e delicata che fa guardare universalmente a Gerusalemme, il punto di riferimento religioso e teocratico del popolo di Israele. Dio manifesterà la sua potenza attraverso un bambino inerme ed indifeso; il suo amore che scuote la terra attraverso il vagito di un neonato; la sua gloria attraverso la povertà di un minuscolo villaggio, Betlemme, una coppia di coniugi, Giuseppe e Maria, la nascita in una stalla. Per non ridurre il Natale a semplice poesia con il corredo delle luci, le nenie, l’articolato e colorito menù, i regali, occorre tendere le orecchie ad accogliere le sollecitazioni profetiche e liturgiche che ogni giorno attestano la verità sconvolgente di un Dio che ama, provvede ai suoi figli e che li salva con la mediazione del Figlio suo che diventa Figlio dell’uomo. L’Avvento sarà pieno nella misura in cui ci si apre all’evento, di cui “l’Ecco” è la chiave introduttiva. P. Angelo Sardone

S. Andrea, l’apostolo crocifisso

«Con il cuore si crede e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza» (Rm 10,10). Nel linguaggio e nella prassi teologica cuore e bocca vanno sempre insieme. Il cuore è il centro più importante del corpo per le attività emotive, la sede dell’intelligenza. La bocca è l’organo fondamentale della parola ed ha caratteri morali. Gesù dona ai suoi discepoli una bocca e la sapienza per poter rispondere ai nemici. Per entrare nel ritmo della salvezza il cristiano deve aderire col cuore al messaggio di Cristo e poi esprimerlo esteriormente nella comunità umana. Con il cuore per credere e la bocca per proclamare la grandezza di Dio ed il suo amore, si muove l’intera esistenza dell’apostolo S. Andrea, fratello di Simon Pietro, la cui memoria si celebra oggi. Già discepolo di Giovanni Battista, è chiamato da Gesù mentre sta pescando nel Mare di Galilea, o secondo la versione di Giovanni evangelista, mentre si trovava col Battezzatore. Nel collegio apostolico si distingue per aver richiamato l’attenzione sul ragazzo coi pani ed i pesci che saranno utili con la loro moltiplicazione per sfamare la gente che segue Gesù, e come mediatore tra il Maestro ed i Greci che avevano chiesto di parlare con Gesù. I primi storici cristiani attestano che predicò il Vangelo in Asia Minore e nella Russia meridionale per poi passare in Grecia dove subì il martirio crocifisso ad una croce in forma di X che è detta appunto “di Sant’Andrea”. L’invitto coraggio dell’apostolo evoca e conferma in maniera adeguata il significato del suo nome: uomo di forza, di valore e coraggio. Auguri a tutti coloro che portano il nome di Andrea. P. Angelo Sardone

Isaia, il profeta dell’Avvento

La semina del mattino

515. «Venite, saliamo sul monte del Signore, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri» (Is 2,3). Il tempo “forte” dell’Avvento è caratterizzato dalla parola profetica che accompagna giorno per giorno la liturgia e la impreziosisce con la ricchezza tematica. In particolare Isaia si impone per i suoi contenuti e la valenza messianica del suo libro articolato che abbraccia epoche storiche diverse e tre personaggi che vanno sotto questo nome. Il primo Isaia visse a Gerusalemme e svolse il suo servizio dal 742 al 701. 

L’inizio del suo libro comprende alcuni oracoli e lamenti su Gerusalemme con l’assicurazione di una pace perpetua. Il monte del tempio del Signore sarà il riferimento di tutti i popoli: da esso uscirà la legge e la parola del Signore. È Lui che indica ed insegna le sue vie perché tutti possano camminare per i suoi sentieri. Insegnare e camminare infatti esprimono momenti diversi di un rapporto autentico con la Parola e con Dio stesso: l’ascolto fatto con obbedienza e la messa in pratica dei suoi comandi. Tre verbi possono aiutare a crescere nello spirito in questo tempo propizio dell’anno liturgico: salire al monte, cioè elevarsi da ciò che è terreno ed andare verso l’alto; conoscere le vie che il Signore indica, cioè seguire gli insegnamenti della fede; camminare nei sentieri della grazia. Ciò permetterà di andare incontro al Signore che si manifesta nel mistero della sua venuta nel silenzio di una grotta e sarà la migliore disposizione per accoglierlo nella nostra vita, disturbata dal chiasso del peccato. P. Angelo Sardone

Le perplessità ed i timori del profeta Daniele

«Mi sentii agitato nell’animo, tanto le visioni della mia mente mi avevano turbato» (Dan 7,15). Le stupefacenti visioni di Daniele sono un presagio dei tempi futuri. Nella sua grandezza e misericordia Dio rivela tramite il profeta gli avvenimenti che seguiranno, con un linguaggio difficile da comprendere. Nell’antico come nel nuovo Testamento, particolarmente con l’evangelista Giovanni autore dell’ultimo libro della Sacra Scrittura, l’Apocalisse, sono rivelati in forma misteriosa e difficile da comprendere i tratti storici che hanno segnato e segnano tuttora le vicende umane. Il linguaggio arcaico con la visione delle bestie orribili, tenta di tradurre con immagini umane i tratti storici che si alterneranno e le vicende legate a re e regni particolari che hanno segnato e segneranno il destino dell’uomo. Tutto questo desta nel cuore del giovane profeta tanto sconforto ed agitazione fino al turbamento. Pur essendo dotato di poteri particolari di interpretazione, egli stesso necessita di una spiegazione plausibile che chiede al vegliardo. Ogni drammatica situazione secondo le varie epoche storiche necessita di una lettura ed interpretazione adeguata perché l’uomo non si abbandoni solo a fosche tenebre di buio, ma si apra alla speranza che anche in mezzo alle circostanze più scabrose della vita e dei tempi, tutto si risolve sempre alla luce di Dio che conduce la storia e che afferra l’uomo per mano per condurlo a salvezza. P. Angelo Sardone