Sono Io che ti guido

«Io sono il Signore, non ce n’è altri. Fuori di me non c’è altro dio, un dio giusto e salvatore» (Is 45,21). All’accorata preghiera con la quale il profeta chiede ai cieli di stillare dall’alto perché le nubi facciano piovere la giustizia e la terra produca la salvezza, fa seguito una dichiarazione perentoria di Jahwé: «Io sono il Signore, che ho creato ogni cosa, la terra, la luce, le tenebre e tutto ho reso stabile». Ed ancora: «Io sono il Signore, non ce n’è altri. Fuori di me non c’è altro dio». È interessante ed importante che in un contesto liturgico che prepara al Natale queste affermazioni esprimano con chiarezza verso chi si va e chi si attende nel mistero. “Il nostro Dio non è una statua”, faceva cantare con profonda acutezza teologica negli anni ’70 il maestro Marcello Giombini in uno dei suoi Salmi per il nostro tempo; “ha occhi per vedere, ha orecchi per sentire, ha un cuore per amare”. Lo stereotipo di un dio staccato da noi, relegato nella storia e nel tempo, lontano dai problemi umani o addirittura tollerante o ingiusto in riferimento alla vita ed alla morte ed alle sorti dei viventi, non si allinea affatto con il sentire teologico di un Dio la cui carne si è fatta visibile nel Figlio dato al mondo, il cui cuore ed il cui corpo si sono addossati i travagli dell’uomo a cominciare dal peccato che causa la sofferenza e la morte. Occorre allora riconoscere solo in lui la giustizia e la potenza, coprendosi di vergogna, quando si arde invece di ira contro di lui. Gli stravolgimenti della natura e della vita dell’uomo sono le conseguenze naturali di scelte folli e sciagurate che l’uomo continua a compiere anche oggi in nome dei diritti civili e di una assoluta autonomia da Dio. P. Angelo Sardone

Dio non abbandona mai

«Io, il Signore, risponderò loro: io, Dio d’Israele, non li abbandonerò» (Is 41,17). Il Libro della Consolazione di Israele che comincia dal capitolo 40 del Deutero Isaia, annuncia la liberazione della schiavitù che comincerà con l’avvento del re Ciro. Il Signore afferma e dimostra coi fatti che il popolo di Israele è scelto e da Lui protetto. Non deve temere perché Dio è con lui, è tenuto per mano e condotto, da Colui che è il Redentore, il Santo di Israele. Queste espressioni la Liturgia le canta nelle cosiddette “profezie” e si rifanno perfettamente all’esperienza del popolo affranto dalla prigionia che finalmente torna a vivere nella libertà concessa da Dio. La storia di Israele è un paradigma della storia di ogni tempo: si pone dinanzi alle vicende anche attuali, come modello cui ispirarsi per avere forza, coraggio, nell’affrontare le vicende dolorose della vita e continuare a confidare nel Signore che risponde puntualmente alle invocazioni di aiuto, che non abbandona mai, e che attraverso la purificazione dell’esilio da se stessi e dalla vita godereccia, fa passare alla vera libertà che è gioia e pace. La risposta di Dio ed il suo perenne aiuto si constatano nella misura in cui ci si affida a Lui con libertà di cuore e con fiducia. Dio davvero non abbandona anche quando sembra che tutto sia un caos, che in nulla c’è speranza: salute, prosperità, guadagno, realizzazione. In tutte queste cose si sopravvive se in noi vive Cristo, sorgente di vera speranza, certezza di ogni attesa. P. Angelo Sardone

IO SONO L’IMMACOLATA CONCEZIONE

«La donna ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,15). Anche se la definizione dogmatica è relativamente recente (8 dicembre 1854), la solennità dell’Immacolata Concezione da sempre evidenzia e celebra lo straordinario e singolare privilegio riservato da Dio a Maria di Nazaret, che “in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano”, fu preservata da ogni macchia di peccato sin dall’atto del suo concepimento. È lei la donna promessa da Dio nel paradiso dell’Eden come antagonista di Satana, vittoriosa sul serpente, col calcagno libero per schiacciargli il capo (Gen 3,9-20). «Era sommamente opportuno che una Madre degna di tanto onore rilucesse perennemente adorna degli splendori della più perfetta santità e, completamente immune anche dalla stessa macchia del peccato originale, riportasse il pieno trionfo sull’antico serpente» (Pio IX). Il grande francescano il beato Duns Scoto, autentico «Dottore dell’Immacolata» (S. Giovanni Paolo II), «Dottore sottile e mariano» (S. Paolo VI) ha contribuito notevolmente con le sue tesi ragionate a superare tutte le difficoltà circa questo grande privilegio di Maria, quale destinatrice della fiducia posta da Dio nella bontà della natura umana, laddove il peccato non è riuscito a distruggere o annientare l’opera uscita dalla sapienza del Creatore. Il 1858, quattro anni dopo la definizione dogmatica, apparendo a Lourdes la Vergine dirà a S. Bernadetta Soubirous: “Io sono l’Immacolata Concezione”. Guardando Maria ogni cristiano va incontro al Signore in santità e purezza di spirito. Auguri a tutte coloro che portano il nome di Cettina, Immacolata e derivati. P. Angelo Sardone

Un ponte tra l’Oriente e l’Occidente

«Si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi» (Is 35,5). Con un linguaggio che sintetizza poesia mirabile e teologia profonda, Isaia canta il trionfo che Dio riserva per Gerusalemme unitamente alle sue benedizioni. Accanto alla natura che come personificata si ammanta di gloria e splendore per la salvezza apportata dal Messia, anche le creature reagiscono positivamente all’impatto col Salvatore costatando direttamente i miracoli sulle loro stesse persone. I ciechi vedono, le orecchie dei sordi si schiudono. I grandi miracoli operati da Cristo che, nella sua predicazione rimanda anche a questo passo, sono continuati nell’azione pastorale e di santificazione di S. Nicola di Mira (250-335), uno dei santi più popolari, invocati ed amati in tutto il mondo. Le sue gesta mirabili si configurano innanzitutto nell’esercizio della carità verso i più deboli ancor prima che fosse eletto vescovo a Mira: la dote procurata alle tre fanciulle povere per il matrimonio onde evitare che finissero sulla strada; il frumento destinato all’imperatore Costantino, che viene scaricato nel porto di Mira a beneficio del popolo nella terribile carestia; i tre innocenti salvati dalla lapidazione già decretata; la riduzione delle tasse a favore del popolo vessato dalla penuria. La sua fama di santità riempì sin d’allora l’intero mar Mediterraneo fino a giungere a Bari da dove partì una spedizione navale che si impadronì delle sue reliquie portandole a Bari dove tuttora è venerato. Il suo culto fa da ponte che unisce l’Oriente con l’Occidente. Auguri a tutti coloro che portano ilo nome di Nicola. P. Angelo Sardone

Da Gerusalemme verrà la luce

«Rivestiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre» (Bar 5,1). Le attenzioni dei profeti sono rivolte a Gerusalemme. I motivi sono diversi: è il centro della fede e del culto del popolo; da essa verrà la salvezza col Bambino che nascerà e che come Servo di Jahwé darà compimento alla volontà del Padre donando la sua vita. Soprattutto nella Comunità ebraica della dispersione, la cosiddetta “diaspora” la vita religiosa e di fede era mantenuta attraverso i rapporti con la città santa, Gerusalemme, avendo come mezzi la preghiera, l’osservanza della legge, i sogni messianici colmi di benedizione. Le vesti del lutto e dell’afflizione testimoniano la sofferenza per la deportazione in Babilonia e la perdita della libertà, senza speranza di restaurazione. Il profeta Baruc, compagno ed amanuense di Geremia, nel libro che porta il suo nome, invita il popolo ed in particolare Gerusalemme a rivestirsi invece dello splendore della gioia che viene direttamente dal Signore. I tempi calamitosi e duri dell’esilio saranno superati dalla luce nuova della liberazione e della gloria che verrà con la misericordia e la giustizia. E ciò sarà per sempre. In un tempo nel quale con molta facilità e leggerezza si abbandona il certo per l‘incerto anche nella dimensione di fede, nel quale si fa guerra anche a livello europeo a tutto ciò che richiama radici cristiani e sentimenti che per millenni hanno regolato la vita e l’opera degli uomini di tutto il mondo, bisogna riscoprire e valorizzare queste indicazioni che superano di gran lunga, anche nell’impatto sociale, il sentire malsano di certe correnti che sanno di barbaro, se non di diabolico. P. Angelo Sardone

Andiamo incontro al Maestro

«Rivestiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre» (Bar 5,1). Le attenzioni dei profeti sono rivolte a Gerusalemme. I motivi sono diversi: è il centro della fede e del culto del popolo; da essa verrà la salvezza a partire dal Bimbo che nascerà e che come Servo di Jahwé darà compimento alla volontà del Padre donando la sua vita. Soprattutto nella comunità ebraica della dispersione, la cosiddetta “diaspora” la vita religiosa e di fede era mantenuta attraverso i rapporti con la città santa, Gerusalemme, avendo come mezzi la preghiera, l’osservanza della legge, i sogni messianici comi di benedizione. Le vesti del lutto e dell’afflizione testimoniano la sofferenza per la deportazione in Babilonia e la perdita della libertà, senza speranza di restaurazione. Il profeta Baruc, compagno ed amanuense di Geremia, nel libro che porta il suo nome, invita il popolo ed in particolare Gerusalemme a rivestirsi invece dello splendore della gioia che viene direttamente dal Signore. I tempi calamitosi e duri dell’esilio saranno superati dalla luce nuova della liberazione che verrà con la misericordia, la giustizia, la gloria. E ciò sarà per sempre. In un tempo nel quale con molta facilità e leggerezza si abbandona il certo per l‘incerto, anche nella dimensione di fede, nel quale si fa guerra anche europea a tutto ciò che richiama radici cristiani e sentimenti che per millenni hanno regolato la vita e l’opera degli uomini in tutto il mondo, bisogna riscoprire queste indicazioni che superano di gran lunga, anche nell’impatto sociale, il sentire malsano di certe correnti che sanno di barbaro, se non diabolico. P. Angelo Sardone

Il grande missionario dell’Est del mondo

La semina del mattino

519.«Udranno in quel giorno i sordi le parole del libro; gli occhi dei ciechi vedranno» (Is 29,18). La venuta del Signore è sconvolgente. La stessa natura subisce l’impatto della sua presenza. Si mutano le cose. L’attesta la simbologia profetica: il Libano rigoglioso diviene un frutteto; il frutteto diviene una selva. I sordi odono e gli occhi dei ciechi vedono; gli umili si rallegrano, i poveri gioiscono. La predicazione del Vangelo porta la sapienza che apre alla comprensione delle cose e coloro che la ricevono santificano il nome del Signore e lo temono. Nella linea della predicazione, arso dello zelo dell’annunzio si muove il più grande missionario dei tempi moderni S. Francesco Saverio (1506-1552). L’incontro con Ignazio di Loyola e Pierre Favre fu determinante nella sua vita: da loro e con loro nasce la Compagnia di Gesù, il 15 agosto 1534. In risposta all’invito di papa Paolo III, partì missionario per l’evangelizzazione nelle Indie orientali giungendo a Goa dopo un anno di viaggio e poi a Taiwan. Mentre era impegnato in Giappone nel 1549 a Kagoshima cominciò a vagheggiare l’idea di raggiungere la Cina, ma essendosi ammalato morì nell’isola di Sancian. Il suo ardore missionario, vigoroso e seducente, tocca vertici molto alti nelle sue espressioni rimaste celebri e contenute in una lettera a S. Ignazio. Desiderava percorrere le Università d’Europa e gridare come un pazzo per scuotere le coscienze indicando il gran numero di anime che si perdono per mancanza di evangelizzazione. «Mandami dove vuoi!» rimane il suo grido di battaglia. Le Indie oggi sono la nostra povera Europa sempre più scristianizzata e repellente alle profonde sue radici cristiane, fino a rifiutare finanche il Natale! P. Angelo Sardone