L’Emmanuele, il Dio con noi

«Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (Is 7,14). È questo uno degli oracoli più importanti e famosi nella storia della salvezza, pronunziato da Isaia. Inquadra il mistero del Messia nella sua nascita da una giovane donna. Il contesto biblico è quello della guerra siro-efraimita del 732 nella quale i re di Aram (Damasco in Siria) e di Israele (o di Efraim, al nord della Palestina) marciano contro Gerusalemme che aveva rifiutato di coalizzarsi con loro contro l’Assiria. Acaz, re di Giuda, si era rivolto al re di Assiria Tiglat Pileser III che era intervenuto sbaragliando i due eserciti. Proprio in quel contesto tramite Isaia, Dio assicura il re dell’insuccesso dei due suoi avversari, profetizza la scomparsa prossima del regno del Nord e lo spinge a chiedere un segno. Il Re se ne guarda bene perché tempo prima aveva sacrificato un suo figlio al dio Molock. Ed allora è il Signore stesso che gli dà il segno: la nascita di un nuovo re sul trono di Davide che avverrà attraverso una “almah”, cioè una giovane donna o una donna appena sposata, tale era definita la sposa del re, che concepirà e partorirà l’Emmanuele, il Dio con noi, il re che continuerà la casa di Davide. Gli evangelisti Matteo e Luca e la tradizione cristiana hanno riconosciuto in questo vaticinio la nascita di Cristo da Maria “vergine” secondo la traduzione greca di “partenos” che traduce a sua volta l’ebraico “almah”. Ciò concorda pienamente con l’annunzio dell’angelo Gabriele a Maria quando la rassicura che il frutto del suo grembo sarà opera esclusiva dello Spirito Santo e non di uomo e la citazione esplicita del passo di Isaia fatto dall’evangelista Matteo. P. Angelo Sardone

Betlemme di Efrata

«E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele» (Mi 5,1). Tra i profeti messianici quasi in sordina, ma non meno in efficacia per un celeberrimo vaticinio, si distingue Michea, operante nell’VIII secolo, contemporaneo di Isaia. Il suo nome, come Michele, significa «Chi è come Dio?». In riferimento al Messia afferma con chiarezza che Egli uscirà da Betlemme, la città di Davide, sarà dominatore in Israele e portatore di pace con un messaggio di perdono e salvezza. Nascerà da una donna che «deve partorire». Il riferimento topografico è quello di un piccolo ed insignificante villaggio che si contrappone al dominio grande che sarà invece suo appannaggio. L’allusione alla donna richiama Maria di Nazaret. Il primo riferimento a Betlemme è presente nella Genesi quando si parla di Rachele, moglie di Giacobbe, che morì e fu sepolta sulla via di Efrata, ovvero Betlemme. L’oracolo profetico si riferisce ai secoli successivi e preconizza la nascita di Cristo da Maria proprio dove era nato Davide, a Betlemme, la “casa del pane”. Da Betlemme dunque uscirà il nuovo dominatore che possiede il diritto, la facoltà ed il potere di regnare, Gesù, il Re per eccellenza, le cui origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti, nella mente di Dio e nei recessi della storia. Queste grandiose verità sono il corredo teologico straordinario non di un mito ma di una realtà storicamente avvenuta e preparata da secoli di storia e di interesse di Dio verso l’umanità desiderosa di salvezza. P. Angelo Sardone

4ª domenica di Avvento

La profezia di Michea dice che a Betlemme di Èfrata, un villaggio della terra di Giuda, nascerà il Messia, il dominatore in Israele, attraverso “la donna che deve partorire”. Elementi propri del suo dominio saranno la forza del Signore, la maestà del suo nome e la pace che con Lui si identificherà. Nel tempo stabilito da Dio, Maria di Nazaret, levatasi dallo straordinario evento dell’Incarnazione del Verbo, in fretta si dirige ad Ain Karin, nella Giudea da sua cugina Elisabetta gravida al sesto mese. L’incontro tra le due donne è sincrono con quello del bambino che entrambe portano in grembo. Lo Spirito Santo investe l’anziana cugina che pronunzia parole profetiche di eccezionale portata teologica. Maria è definita “benedetta e beata”. Il salmo 39 di Davide evoca la venuta di Cristo nel corpo preparato da Dio, come risposta e disponibilità a compiere la sua volontà in un nuovo e più perfetto sacrificio santificatore. P. Angelo Sardone

La novena del Santo Natale

«Non sarà tolto lo scettro da Giuda finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli» (Gen 49,10). Fin dai tempi più antichi, dal libro della Genesi, viene preconizzata la venuta del Messia della tribù di Giuda, Re e Signore della storia. Come nelle grandi feste, a cominciare dalla discesa dello Spirito Santo nel Cenacolo di Gerusalemme dove fu vissuta per la prima volta nell’era cristiana, la preparazione al Natale è caratterizzata dalla Novena, un tempo di nove giorni che serve per comunicare ai fedeli le ricchezze della tradizione e della devozione. Essa si caratterizza particolarmente con la Liturgia che nei giorni che vanno dal 17 al 23 dicembre, è solennizzata dalla celebrazione dei Vespri con le cosiddette “antifone maggiori” che cominciano tutte con l’esclamativo «O». Da sempre la Novena del Natale in ogni parte del mondo si distingue anche con l’apporto della tradizione popolare e l’utilizzazione di alcuni elementi molto cari al popolo di Dio ed ai suoi sentimenti. In concordanza con la spiritualità di S. Annibale M. Di Francia, innamorato di Gesù Bambino, propongo la Novena di tradizione tipicamente siciliana così come fu vissuta e praticata dal santo Fondatore dei Rogazionisti e delle Figlie del Divino Zelo, e come ancora oggi è realizzata dalle rispettive loro comunità. Si tratta di una forma semplice, con elementi simbolici e propri della grotta di Betlemme, che, adeguatamente armonizzati con la preghiera liturgica ed una buona riflessione, può determinare e far praticare una sana devozione. P. Angelo Sardone

Dio non abbandona mai!

«Come una donna abbandonata, ti ha richiamata il Signore. Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti raccoglierò con immenso amore» (Is 54,6-7). Il linguaggio profetico è fortemente colorato da tinte profondamente umane che rendono il messaggio più comprensibile nel lessico e nella simbologia adoperata. Spesso il Signore si rivolge al suo popolo come ad una donna nelle sue diverse tipologie di vergine, maritata, florida, sterile, giovanetta, matura. Sempre presente è comunque l’invito di speranza di Dio e del suo profeta al popolo di ieri e di oggi che sembra senza futuro e vive l’angoscia della deportazione e dell’abbandono. Egli si presenta come il creatore, il condottiero degli eserciti, il redentore, e, soprattutto, lo sposo. Offre le sue garanzie: la donna abbandonata sarà da Lui raccolta con amore immenso; lei alla quale è stato nascosto per poco il suo volto, sarà oggetto della pietà senza più ira e minacce. La sua afflizione e sconsolazione, determinate dai turbini della vita, saranno superate da una vita nuova fondata sulla preziosità come i zaffiri e lo stibio, un elemento chimico abbastanza solido. All’abbandono sciagurato della legge di Dio segue la desolazione, superata però dalla costante presenza di Dio che ama teneramente e profondamente. La tenacia dell’amore di Dio continua a manifestarsi in ogni tempo ed in ogni luogo con la prospettiva del benessere della vita e la solidità della fede. Ma ciò non basta: occorre la corrispondenza perseverante dell’uomo basando il tutto sulla fiducia e sul suo abbandono filiale. P. Angelo Sardone