Il santo curato d’Ars, perla di sacerdote

«Tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato» (Ger 31,34). La particolare scrittura dell’alleanza di amore nel cuore dell’uomo secondo la logica di Jahwé ha come effetto immediato la conoscenza vera non limitata all’età dell’individuo, ed il perdono dei peccati. Quest’ultimo rientra nell’atto concreto del non-ricordo. Il riferimento biblico è la vetta spirituale della profezia di Geremia. Dalle antiche alleanze, a cominciare da quella con Noè nel segno dell’arcobaleno, con Abramo nel segno della circoncisione, con Mosè nel segno della Legge, Dio giunge ad un nuovo disegno di nuova luce: l’alleanza eterna. Le prospettive rimangono quelle antiche: fedeltà alla legge, presenza costante di Jahwé che assicura la pace e la prosperità materiale. Nel quadro storico della novità, l’alleanza proclamata attraverso il profeta si poggia su alcuni elementi: Dio perdona il peccato; l’uomo è pienamente responsabile di quello che fa e raccoglie la retribuzione delle sue azioni; la legge non è più solo un codice esterno ma un fattore interiore che con la grazia dello Spirito Santo fornisce all’uomo un cuore nuovo che lo rende capace di conoscere Dio. E’ una meravigliosa sintesi di un amore rinnovato, frutto di un’istruzione interiore che viene da Dio. Questo lo ha vissuto in prima persona S. Giovanni Maria Vianney (1786-1854), il santo curato d’Ars e l’ha insegnato col suo ministero di umile sacerdote, dalla cattedra di eloquenza del suo confessionale, a servizio sacramentale giornaliero ed estenuante di tutti, laici ed ecclesiastici, compreso cardinali e vescovi. P. Angelo Sardone

Ti ho amato di amore eterno

«Ti ho amato di amore eterno, per questo continuo a esserti fedele. Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata, vergine d’Israele» (Ger 31,3-4). Anche il libro di Geremia contiene una sezione detta “Libro della consolazione” di appena 2 capitoli, poetici e densi di grandi insegnamenti. Essi culminano nella promessa di Dio di realizzare ancora una volta l’alleanza, diversa da quella fatta coi Padri, perché scritta direttamente da Lui nel cuore. Il dialogo avviato col popolo ha i toni stupendi di una profonda relazione di amore, di un vincolo straordinario di affetto che oltrepassa la sua infedeltà, il facile scoraggiamento, l’adesione agli altri dei considerati come amanti. Il Dio del cielo è ricco di grazia e di perdono perché il suo amore non è passeggero come quello dell’uomo, calcolatore ed opportunista, anche negli ambiti più sacri dell’amicizia e del matrimonio. Il suo amore è eterno e ciò è la base della perseveranza che si traduce in accoglienza e perdono continuo. Il peccato distrugge perché riduce il tutto alla singola persona; alla preminenza di Dio sostituisce l’ancoraggio al proprio io. Ciò determina evanescenza, poco profitto, ricerca esasperata e continua di approvazioni e consensi, di un posto in cui collocarsi stabilmente, facendo seccare energie e doni e mettendo a dura prova la pazienza di tanti. I primi a pagarne le spese sono gli adulatori senza midollo col facile elogio del sensazionale quale ritorno psicologico, mentre in concreto manifestano inconsistenza e povertà spaventosa, umana, psicologica e spirituale. L’amore di Dio nella pura fedeltà e nella coerenza, porta tutti alla maturità vera. P. Angelo Sardone

Ave Signora degli Angeli

Anche senza una memoria liturgica propria, si celebra oggi la Madonna degli Angeli, uno dei titoli popolari e cari alla sensibilità religiosa dei cristiani. La diffusione di questa devozione si deve probabilmente ai Frati Francescani, a partire da S. Maria degli Angeli, una piccola chiesa presso Assisi (la Porziuncola) presso la quale S. Francesco dimorava per la sua “venerazione per gli Angeli ed il suo speciale amore per la Madre di Cristo” (S. Bonaventura). Proprio in questa chiesetta il santo pregò il Signore perché a tutti coloro che “pentiti e confessati, vengono a visitare questa chiesa, conceda ampio e generoso perdono, con una completa remissione di tutte le colpe”. Il Signore concesse quanto era stato richiesto, subordinato però all’approvazione pontificia. Papa Onorio III confermò il tutto. Come si afferma nella tradizione francescana, il documento non scritto rimane da allora la Santissima Vergine Maria, il notaio Cristo, gli Angeli i testimoni. In base a ciò dal mezzogiorno del 1° agosto fino alla mezzanotte del 2, si può lucrare il “Perdono di Assisi” alle condizioni prescritte per l’acquisto delle sante indulgenze: confessione sacramentale, comunione eucaristica, recita del Credo e del Padre nostro, preghiera secondo le intenzioni del Papa, visita ad una chiesa o oratorio francescano o, in alternativa, ad una chiesa parrocchiale. Confessione e comunione possono essere fatte nell’arco di 8 giorni. Dalle mie parti nella giornata odierna festeggiano il loro onomastico le donne che portano il nome di Angela. Auguri vivissimi a tutte loro con una speciale protezione della Vergine, Regina degli Angeli. La sua presenza coronata di gloria e dai messaggeri celesti porti consolazione, sicurezza di vita e salute. P. Angelo Sardone

S. Alfonso, grande amante dell’Eucaristia e della Madonna

«Il profeta che profetizza la pace sarà riconosciuto come profeta mandato veramente dal Signore soltanto quando la sua parola si realizzerà» (Ger 28,9). Il conflitto non di interessi ma di formulazione dell’autentica verità si genera anche nei contesti religiosi. Dietro vaticini e profezie più o meno allettanti, si può nascondere la menzogna di persone non inviate da Dio, ma succubi di se stessi e del proprio orgoglio. E’ capitato a Geremia nei confronti di Anania, profeta di Gabaon che aveva illuso il popolo paventando il ripristino della libertà e del Tempio dopo la distruzione operata da Nabucodonosor. A seguito del diverbio Anania muore mentre Geremia continua il suo ministero: da vero profeta, richiamando la realtà del peccato, aveva profetato la sventura. Il testo biblico è proclamato oggi nella memoria del grande vescovo e dottore della Chiesa S. Alfonso M. de’ Liguori (1696-1787). Esperto di filosofia e diritto, avvocato di grido a Napoli, divenne sacerdote a 30 anni, lasciando il foro invischiato di falsità e corruzione per dedicarsi alla causa dei poveri dei quartieri bassi della città partenopea. Nelle missioni popolari fu per lui determinante l’incontro con i pastori della zona montagnosa di Amalfi, che, abbandonati umanamente e religiosamente a se stessi, necessitavano di formazione e guida spirituale. Con alcuni seguaci fondò la Congregazione del SS.mo Redentore, i Redentoristi, per dedicarsi alla predicazione, prediligendo il settore morale della teologia, per il quale ancora oggi è ricordato come maestro. I grandi amori per l’Eucaristia e la SS.ma Vergine Maria coronano la sua dottrina per la scia di seguaci innumerevoli anche santi. Dinanzi all’esasperante relativismo morale odierno, la sua testimonianza ed i suoi insegnamenti sono un sicuro punto di riferimento. P. Angelo Sardone

Vanità delle vanità

«Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità: tutto è vanità» (Qo 1,2). Spesso la Bibbia attribuisce a personaggi illustri, come Salomone, il re sapiente, la composizione di qualche libro, singolare per i contenuti densi di saggezza ed eloquenza. Uno di questi è il Qoèlet che nella traduzione greca e per tanto tempo anche in quella italiana adoperata nell’area liturgica era detto «Ecclesiaste», cioè colui che parla nell’assemblea. Composto di appena 12 capitoli il testo che il grande biblista card. Gianfranco Ravasi definisce il più originale e scandaloso del Vecchio Testamento, presenta l’insegnamento al popolo, con riflessioni profonde sulle contraddizioni della vita, considerata da punti di vista diversi, talora anche fortemente pessimisti. Gli sforzi umani risultano inutili, difficile è la scoperta del significato della propria esistenza dal momento che il senso più profondo lo conosce solo Dio. Un’ironia fortemente critica sembra avvolgere il libro. Il tutto comunque si risolve in una forma fiduciosa di abbandono a Dio pur godendo di quanto la vita offre di bello perché proviene da Dio. Il termine «vanità» adoperato sin dall’inizio del poema, crea insieme un’impressione di fugacità ed un senso di assurdità. Le grandi verità sono sottese ad un argomentare tra il poetico ed il reale e richiamano una lettura attenta e profonda che va al di là delle righe. Spesso la vita dell’uomo si rispecchia perfettamente in questo enunciato biblico. Vale comunque la pena, nonostante gli affanni e le preoccupazioni, continuare a lavorare con sapienza e scienza, mietendo anche successo, nonostante che poi il tutto dovrà essere lasciato a un altro che può non aver faticato per niente. P. Angelo Sardone

Il fiuto vero del popolo

«Una condanna a morte merita quest’uomo, perché ha profetizzato contro questa città, come avete udito con i vostri orecchi!» (Ger 26,11). Seguendo alla lettera l’ingiunzione rivoltagli da Dio, il profeta Geremia nell’atrio del tempio di Gerusalemme avverte il popolo d’Israele che se non si convertirà con l’abbandono della condotta perversa e l’osservanza dei comandamenti, tutto sarà distrutto e la città diventerà esempio di maledizione per i popoli. Una simile invettiva irrita grandemente i sacerdoti ed i capi che non soltanto lo detestano ma cospirano contro di lui per farlo morire. Il profeta è ben consapevole della portata delle sue parole ma si difende affermando che è Dio che lo ha mandato veramente a profetizzare in tal senso. Per quel che si riferisce alla sua vita, è nelle loro mani. Facciano come meglio credono, addossandosi però la responsabilità del versamento del suo sangue innocente. Il popolo rivela la sua saggezza non permettendo che il profeta sia messo a morte, prendendo apertamente le sue difese contro i capi ed i sacerdoti. Molte volte si è ottusi dinanzi a situazioni analoghe, soprattutto quando si tratta di profeti schivi dalla ricerca di notorietà, adusati piuttosto al colloquio ed al rapporto intimo ed obbediente con Dio più che agli applausi ed alle compiacenze di audience, di riflettori accecanti o di carta stampata. Non sempre è facile riconoscere simili personalità: il popolo di Dio ha un fiuto singolare ed in circostanze particolari sa riconoscere e non fa condannare il profeta vero che non annunzia se stesso ma Dio per il quale è disposto a patire la privazione e la morte. P. Angelo Sardone

Marta, Maria e Lazzaro

«In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio» (1Gv 4,10) La prima lettera di S. Giovanni si pone in stretta connessione col quarto Vangelo. Vivere da figli di Dio significa vivere l’amore come è stato insegnato da Cristo, rompere cioè col peccato, osservare i comandamenti, giungere alle fonti della carità e della fede. Nella giornata odierna, dal 2021 per espresso volere di papa Francesco, seguendo quanto già S. Giovanni Paolo II aveva autorizzato nella pubblicazione del Martirologio Romano, si celebra congiuntamente la memoria dei Santi Marta, Maria e Lazzaro, amici del Signore. Vivevano a Betania a pochi km da Gerusalemme e la loro casa era un punto di riferimento del Maestro dove egli stesso sperimentava lo spirito di famiglia e l’amicizia. Qui predicava e si fermava per prendere un boccone: Marta era indaffarata per accoglierlo nel migliore dei modi, Maria ascoltava con docilità le sue parole, Lazzaro rispose prontamente al comando di uscire dal sepolcro dove da quattro giorni era stato collocato a seguito della morte. In tutti e tre i casi si trattava come di un compenso ai tre fratelli del bene grande della loro squisita accoglienza, della loro amicizia e della condivisione di amore. E’ molto importante e determinante ai fini del retto andamento della società, il coinvolgimento della famiglia nell’opera della evangelizzazione, perché ciò permette non solo di avere ospite Cristo, di accoglierlo e di sfamarlo, ma anche di godere dei suoi interventi strepitosi che consolidano il reciproco rapporto di amore e di condivisione affettiva. P. Angelo Sardone

Nelle mani del vasaio

«Ecco, come l’argilla è nelle mani del vasaio, così voi siete nelle mie mani, casa d’Israele» (Ger 18,6). L’uso delle parabole non appartiene solo al Nuovo Testamento. Gli antichi profeti, a cominciare da Samuele, spesso accompagnavano il loro ministero con gesti simbolici che esprimevano la realtà di quanto andavano dicendo. Anche il profeta Geremia compie molti gesti simbolici: la sua stessa vita è tutta una simbologia. Uno dei primi oracoli viene pronunziato a seguito della sua presenza presso la bottega di un vasaio che stava lavorando al tornio. Mentre modellava un vaso, capitava che si guastasse e con la stessa creta ne modellasse un altro. Da questa scena prende avvio l’intervento del Signore che comunica al suo popolo di agire proprio come il vasaio: nelle sue mani la grezza argilla acquista una forma ben definita, nel senso anche che il suo volere si adatta alle situazioni concrete di debolezza o di fedeltà d’Israele. Intanto sta preparando per Il suo popolo una calamità grande se non abbandonerà la perversa sua condotta e migliorerà le azioni e le abitudini. L’uso del termine argilla, che dal greco significa splendente, bianco, richiama etimologicamente la “purificazione”. Essa avviene quando ci si lascia andare nelle mani di Dio e ci si lascia plasmare in maniera adeguata come vasi di santità nei quali fare abitare lo Spirito. Ciò deve avvenire sin da piccoli, facendosi impostare e modellare da una formazione umana, civile e cristiana di valore, senza lasciare, come tanti purtroppo affermano, all’improvvisazione ed alla scelta responsabile che poi ciascuno farà da grande, mettendo in difficoltà la propria stabilità di forma e di consistenza spirituale. P. Angelo Sardone

Sono loro che devono tornare a te, non tu a loro

«Ti libererò dalla mano dei malvagi e ti salverò dal pugno dei violenti» (Ger 15,21). La vita di Geremia e la sua attività profetica che si svolse nell’arco di circa 40 anni in uno dei periodi più travagliati della storia d’Israele, fu sempre complicata a causa della predicazione che risultava invisa a chi lo ascoltava. Il re in prima persona si sentiva attaccato, per questo gli rese difficile la vita proibendogli di recarsi al Tempio e persino la distruzione del rotolo che conteneva i suoi oracoli. Il suo ruolo non era solo di portaparole di Dio, ma in un certo senso aveva anche coscienza critica in una visuale storica e politica non dovuta al suo volere e modo di vedere, ma influenzato dallo Spirito di Dio. Le sventure da lui annunciate divennero realtà: Dio si servì dei Babilonesi per esprimere il suo giudizio su Gerusalemme con la distruzione e l’esilio. Il profeta intravvide un motivo di speranza: il ritorno dall’esilio sarà possibile per l’intervento di Dio, l’unico che può trasformare il cuore dell’uomo. Chiunque si affida a Dio e si rende nelle sue mani strumento della Parola da comunicare così come gli è stata affidata, anche piena di sdegno, va incontro naturalmente a tante difficoltà derivanti da ostilità, diversità di vedute, false certezze soprattutto di chi pensa di sapere. La sua vita e la sua azione a volte diventano impossibili, le sue parole scostanti. Ma la verità che prima o poi viene a galla conferma, nonostante tutto, la diversità di vedute di Dio dinanzi ai facili inganni di coloro che tendono insidie e causano dolore. La certezza viene da Dio: “sarai la mia bocca: sono loro che devono tornare a te e non tu a loro”. Quanta verità è sottesa a queste parole ieri come oggi, soprattutto quando sono pudiche le orecchie degli ascoltatori che desiderano anche da noi sacerdoti, fumo negli occhi e leggerezze verbali e comportamentali. P. Angelo Sardone