Dio, il totalmente altro

«Se uno volesse disputare con Dio, non sarebbe in grado di rispondere una volta su mille» (Gb 9,3). Nel primo ciclo di discorsi che Giobbe fa coi suoi tre amici giunti da lui per consolarlo, dopo aver sostato in silenzio per sette giorni e sette notti, si affrontano problematiche di alto valore morale. Una di queste fa riferimento alla giustizia divina che è superiore allo stesso diritto. Dinanzi a Dio tutte le ragioni umane hanno un limite e la richiesta di chiarimenti non sempre è appagata perché con Lui ci si pone in atteggiamento di ascolto e non in contrappunto dialogico ed apologetico. Dio detiene ogni potere e con esso guida l’intero universo. Con Dio il rapporto non è come tra simili: ogni tentativo di uguaglianza è assolutamente impari. Questo tono accusatorio da parte di Giobbe non è altro che la manifestazione a voce alta del desiderio non solo di un confronto, ma anche e soprattutto della ricerca di una ragione plausibile che spieghi il suo comportamento, gli eventi e le situazioni umane a volte molto ingarbugliate. In fondo ciò non è altro che il desiderio di aprirsi ad un dialogo, ma dal momento che la distanza è infinita rischia di falsare un atteggiamento che da remissivo si traduce in alterato. Ma non è così perché il tono quasi accusatorio, si rivela una richiesta di comprensione e di aiuto, quasi una preghiera. Occorre comunque passare da un atteggiamento provocante alla ricerca di una logica, ad uno di ascolto ed accoglienza del suo mistero che rimane comunque incomprensibile. Una fede autentica tante volte deve andare oltre una logica propriamente umana fatta di conseguenze ed accogliere in fondo un Dio che ama ma che, come affermava il teologo svizzero protestante Karl Barth è «il totalmente altro». P. Angelo Sardone

Vincenzo de’ Paoli, il santo dei poveri

«Mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc 4, 18). Il detto profetico di Isaia, fatto proprio da Gesù nella sinagoga di Nazaret, nel corso della storia della Chiesa è stato messo in pratica da tanti Santi operatori della carità. Sull’esempio del Maestro che manifestò un’attenzione singolare per i poveri di ogni ordine e grado, precisando che la loro presenza sarebbe stata costante nella società, essi hanno realizzato la carità come misura alta di attenzione a tutti e servizio specifico ai bisognosi. La liturgia ricorda oggi la memoria e le gesta del francese S. Vincenzo de’ Paoli (1581-1660), uno dei maggiori esponenti dei cosiddetti “santi sociali” tanto cari agli ultimi nostri papi. Sacerdote ad appena 19 anni divenne parroco nel circondario di Parigi promuovendo l’evangelizzazione con forme semplici e popolari, traendo dietro a sé alcuni uomini che divennero i Preti della Missione (Lazzaristi) e insieme a santa Luisa de Marillac, istituì le suore Figlie della Carità. Fu coraggioso e sapientemente influente anche presso la corte di Francia fino al punto che la regina istituì ed a lui affidò il Ministero della carità. Secondo i suoi insegnamenti, ad imitazione di Gesù, i poveri devono essere curati, consolati, soccorsi, raccomandati. Ciò deve determinare la loro difesa, la partecipazione alle loro sofferenze, la immediatezza nell’azione, la preferenza su tutto, intendendo la carità superiora a qualsiasi altra regola. Tanti religiosi, sacerdoti e laici hanno usufruito della sua formazione ed hanno collocato tasselli diversi nella composizione dello stesso mosaico della carità con passione evangelica ed istituzioni analoghe. Tra questi c’è S. Annibale M. Di Francia che dal suo amico S. Luigi Orione il 1935 era definito “il san Vincenzo de’ Paoli del Sud”. P. Angelo Sardone

I santi Medici Cosma e Damiano

«Il Signore ha dato, il Signore ha tolto: sia benedetto il nome del Signore!» (Gb 1,21). Oggi la liturgia eucaristica riporta l’inizio del libro di Giobbe, capolavoro della corrente letteraria didattico-sapienziale, testo da mettere «sotto il cuscino per essere certo di non aver dimenticato la lezione quando ci si sveglia al mattino» (Søren Kierkegaard). La vicenda umana di questo personaggio biblico è contrassegnata nelle prime battute dalla tragedia familiare della perdita dei figli e delle sue enormi ricchezze. Dinanzi ad una situazione assolutamente disperata il grande paziente saggio rimette tutto nelle mani di Dio ed invece di maledire lo benedice. In questo quadro di accoglienza straordinaria della volontà di Dio si inserisce la vicenda agiografica e la testimonianza dei santi Medici Cosma e Damiano la cui popolarità, a partire dal V secolo, è universale. La Tradizione li vuole gemelli e fratelli maggiori degli altri santi Antimo, Leonzio ed Euprepio. Arabi di origine, esercitavano l’arte medica in Siria in maniera tutta singolare: non si facevano pagare. Erano perciò soprannominati «anàrgiri», cioè gratuiti, senza prendere compenso. Questo modo di fare era un modo efficace di apostolato e di carità verso i poveri. Le fonti talora leggendarie li vogliono martiri con la decapitazione dopo aver subito diversi altri supplizi. La grande omonima basilica eretta a Roma il 526, testimonia il loro culto, in contrapposizione ai gemelli pagani Dioscuri, Castore e Polluce. Questi, come altri Santi sono gli intercessori più efficaci e gli amici più fidati di noi pellegrini sulla terra, perché conoscono bene gli affanni, i dolori e le sofferenze dei fratelli e sorelle e li accompagnano con la preghiera e il loro patrocinio. Auguri a tutti coloro che portano i loro nomi. P. Angelo Sardone.

Il Papa a Matera a concludere il Congresso Eucaristico

«Benedetto Colui che viene nel nome del Signore!» (Sal 118,26). Dopo giorni intensi di preghiera, riflessione e celebrazioni, il Congresso eucaristico nazionale si chiude questa mattina con la visita pastorale di Papa Francesco e la sua celebrazione eucaristica. Sono passati 30 anni da quando S. Giovanni Paolo II, in visita alla Basilicata, sostò a Matera. C’è tanto fermento e tanta attesa per questo evento che segna la vita non solo della diocesi di Matera-Irsina che ha avuto il privilegio della scelta strategica, ma anche per l’intera Italia in questo delicato momento di travaglio, preoccupazione e responsabilità nelle scelte. Il Vicario di Cristo, secondo l’investitura fatta direttamente da Cristo all’apostolo Pietro, viene a confermare i fratelli nella fede, a partire dall’Eucaristia, autentico nutrimento del cammino dell’uomo, segnato da vicissitudini, contraddizioni e desiderio di bene. L’accoglienza del papa viene fatta nello spirito carismatico di S. Annibale M. Di Francia il quale nutriva per lui «il più grande rispetto, la più illimitata soggezione e subordinazione» considerandolo «come la persona stessa di Gesù Cristo e con lo stesso amore lo amerò e gli obbedirò». In un tempo come il nostro, pieno di facili e gratuite contestazioni nei confronti del Santo Padre anche da parte dei fedeli e talora anche di membri della gerarchia, un monito di questo genere, suona come incentivo efficace ad accogliere la sua persona ed i suoi illuminati insegnamenti. La presenza del papa oggi è senz’altro foriera di interessanti stimolazioni a vivere il mistero dell’Eucaristia che non può essere concepita senza il sacerdozio ed i sacerdoti. P. Angelo Sardone

XXVI domenica del tempo ordinario: sintesi liturgica

Gli spensierati di Gerusalemme, coloro che si considerano sicuri a Samaria, quelli che godono dei benefici del gregge mangiando e bevendo, i cantori e suonatori di strumenti musicali, noncuranti delle rovine, andranno in esilio. La parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro denunzia una sperequazione non solo di censo ma anche di valutazione e considerazione della vita. La pratica godereccia dei buontemponi si scontra con la povertà estrema degli straccioni. Ma alla morte tutto cambia, si capovolgono le situazioni e le condizioni: chi era nell’agio è nei tormenti ed ha bisogno del sostegno anche di una sola goccia d’acqua, che non manca però al povero che è nel seno di Abramo, divisi da un grande abisso. L’uomo di Dio deve tendere alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza e combattere la buona battaglia della fede per raggiungere la vita eterna. Questo monito è per tutti, chierici e laici comuni. P. Angelo Sardone

Eucaristia e preghiera per le vocazioni

«Chi mangia di Me, vivrà per Me» (Gv 6,57). Mi ha sempre affascinato questo detto di Gesù contenuto nel lungo discorso del pane che l’evangelista Giovanni riporta nel quarto vangelo eludendo il racconto dell’istituzione della Eucaristia. A Cafarnao il Maestro dà istruzioni ben precise offrendo coordinate adatte per comprendere il grande mistero del cibo eucaristico come nutrimento di vita e la maniera per restare perennemente in mezzo al suo popolo, sia con la celebrazione della S. Messa, che con l’adorazione e la presenza dei sacerdoti unici deputati a questo servizio. Mangiare le carni immacolate di Gesù e bere il suo sangue significa entrare nella piena comunione con Lui: ciò fa scattare l’unità anche con i fratelli. Entrare nell’intimità del Cuore di Cristo significa entrare a far parte delle sue gioie e delle sue pene che S. Annibale M. Di Francia chiama “intime”, perché riferite alla scarsezza degli operai del Vangelo, soprattutto i sacerdoti e i ministri ordinati. Io che in quasi tutta la mia esistenza religiosa e sacerdotale ho svolto il compito di animatore di pastorale giovanile e di promozione delle vocazioni sacerdotali e religiose so bene cosa significhi tutto questo. Lo sbocciare di una vocazione di speciale consacrazione è frutto di una intimità di amore con Gesù, dal quale si apprende la necessità della salvezza delle anime e la cura di esse. Aderire al Signore mediante il sacramento eucaristico mette nella condizione di entrare nell’urgenza e nella necessità di vivere per Cristo. Ed uno dei modi più concreti è quello di seguirlo per la via stretta della perfezione evangelica. Eucaristia e preghiera per le vocazioni diventano quindi un tutt’uno nella comprensione e nell’esplicitazione del carisma rogazionista che purtroppo rimane ancora non molto conosciuto. P. Angelo Sardone

Il gusto del nostro pane: dalla tavola di casa all’Eucaristia

«Il gusto buono del nostro pane». Sono nato e cresciuto fino a 11 anni nella città di Altamura che, insieme con Matera, si contende la qualità e la bontà del pane di grano duro, noto un po’ ovunque. Ricordo con profonda nostalgia la liturgia domestica nella quale mia madre, autentica sacerdotessa, sin dalle prime ore del mattino a forza di braccia e con sapiente dosaggio di farina, lievito madre, acqua e sale, confezionava la massa di pasta. Dopo il riposo e la crescita con la fermentazione, posata sul letto ed avvolta in coperte con tanto di rito religioso corredato da segni di croce e preghiere, si trasformava in molteplici pani occorrenti per il fabbisogno della famiglia e soprattutto per chi, come mio padre, lo portava con sé in campagna. La liturgia continuava poi al forno dove l’esperto fornaio dava il tocco finale all’impasto, modellando la caratteristica forma alta, contrassegnando ogni pezzo con il marchio in ferro che riproduceva le iniziali del proprietario. Dopo circa due ore e mezza di cottura, il pane era sfornato e consegnato dal fornaio addetto, alle rispettive famiglie lasciando nell’aria un  profumo intenso che invitava a mangiarne subito un pezzo. La sua fragranza ed il suo sapore erano eccezionali: è difficile descriverne la bontà. Il gusto rimaneva tale anche per molti giorni: era l’alimento fondamentale e multiuso. Questa esperienza la viviamo nel ministero sacerdotale col quale, ogni giorno “confezioniamo l’Eucaristia”, pane del cammino, sostegno della vita, nutrimento efficace di salvezza. Tutto questo viene messo in evidenza in questi giorni santi del Congresso Eucaristico. P. Angelo Sardone

XXVII Congresso Eucaristico Nazionale

«Torniamo al gusto del pane!». Comincia oggi qui a Matera il XXVII Congresso Eucaristico Nazionale, «parte integrante del cammino sinodale delle Chiese in Italia, manifestazione di una Chiesa che trae dall’Eucaristia il proprio paradigma sinodale». L’evento si inquadra nel corso del Sinodo e sottolinea come Chiesa e Sinodo hanno nell’Eucaristia la fonte di comunione, il principio della missione e sono il sostegno per il cammino pastorale. Nella partecipazione alla mensa di Cristo con la celebrazione dell’Eucaristia, «fatti membra del suo corpo, siamo trasformati in colui che abbiamo ricevuto» (S. Agostino). L’idea di realizzare i Congressi Eucaristici fu della francese Maria Marta Emilia Tamisier (1844-1910) che, formatasi alla scuola di S. Pietro Giuliano Eymard, si adoperò nel promuovere con tutte le forze la salvezza della società per mezzo della Eucarestia. Sull’esempio dei pellegrinaggi mariani pensò che si dovevano organizzare pellegrinaggi ai santuari a ricordo di miracoli del Santissimo Sacramento. Il primo Congresso Eucaristico Internazionale fu celebrato a Lilla, in Francia, nel 1881. In Italia, quello nazionale, a Napoli il 1891. La Tradizione Rogazionista è stata sempre molto attenta a queste esperienze ecclesiali, sottolineando in esse l’importanza carismatica della preghiera per le vocazioni. «Quanto sarebbe bello se nei congressi non mancasse la preghiera del Rogate e si propagasse in mezzo ai fedeli, se ne facesse conoscere la necessità e si mettesse in rilievo il gran fatto che l’estensione del culto eucaristico dipende dal numero dei santi e zelanti sacerdoti, che deve mandare il Signore», diceva S. Annibale M. Di Francia. Sicuramente non mancheranno in questi giorni stimoli adeguati e risposte pertinenti a questo desiderio. P. Angelo Sardone

La chiamata di Matteo dal telonio

«A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo» (Ef 4,7). Dio distribuisce con larghezza di cuore e di amore la sua grazia apportatrice di salvezza. La misura del dono è sempre pienamente frutto di un amore di predilezione che supera i confini del peccato e del pregiudizio ed infonde vigore necessario per la realizzazione del piano di Dio. La chiamata di Matteo dal telonio è l’icona della liturgia odierna che celebra la festa del primo degli apostoli evangelisti. Il racconto fatto personalmente dall’interessato, che gli evangelisti Marco e Luca chiamano Levi, scaccia ogni dubbio sulla verità di una chiamata sorprendente che mette in crisi i pregiudizi riguardo a chi è o non è degno di seguire Gesù. Il suo vangelo, il più lungo dei quattro, di ben 28 capitoli, fu scritto nella lingua aramaica quella parlata dalla gente ed è diretto ai cristiani di origine ebraica. Lo testimonia anche il ricorso frequente a citazioni bibliche. Matteo è identificato come “pubblicano”, un appellativo negativo dato anche per il suo compito di esattore delle tasse a Cafarnao, dove agiva per conto dei Romani. Per questo veniva guardato e giudicato come un collaborazionista dal quale guardarsi e tenersi lontano. Gesù passando lo vede e gli dice solo «Seguimi!». S. Beda commenterà: «Seguimi, significa imitami!». Dinanzi alla chiamata, frutto esclusivo di amore, cadono tutti i pregiudizi che tante volte anche oggi limitano vistosamente l’accoglienza di chi notoriamente è un moderno pubblicano, avvezzo non solo a collaborazione disonesta, ma anche a vita dubbia e peccaminosa. Quando il Signore chiama, trasforma! L’importante è alzarsi dalla propria situazione di vita, dal peccato, dal disordine e seguire Gesù. Auguri a tutti coloro che portano il nome di Matteo che significa “uomo di Dio”. P. Angelo Sardone

I santi martiri Coreani

«Praticare la giustizia e l’equità per il Signore vale più di un sacrificio» (Pr 21,3). Uno dei testi significativi della letteratura didattico-sapienziale ed insieme il più antico, è il Libro dei Proverbi (31 capitoli), un insieme di almeno sette raccolte più antiche. Anche se viene indicato Salomone come autore, non può essere lui; è più probabile che alcune raccolte siano state effettuate durante il suo regno (961-922 a.C.). Uno dei tanti elementi che si ritrova in tutto l’Antico Testamento come insistenza sulla rettitudine di cuore, è la pratica della giustizia dal valore superiore a qualsiasi altro sacrificio. Una simile azione si trova realizzata nella vita e nell’opera di un gruppo di 103 coreani, a cominciare dal sacerdote Andrea Kim Taegon (1821-1846) e dal laico Paolo Chong Hasang (1795-1839), martiri nel corso delle persecuzioni dal 1839 al 1867. A nulla valsero i tentativi di farli apostatare e le atroci torture fino alla decapitazione. Il numero globale dei martiri coreani calcolato è di circa diecimila, sacerdoti e laici, dal più giovane di 13 anni al più anziano di 79. Il primo contatto con la fede cristiana era avvenuto in Cina e col libro del missionario gesuita padre Matteo Ricci. La prima comunità cristiana sin dagli inizi fu vittima di una persecuzione crudele con la morte dell’unico prete presente nel Paese. Pur senza guida spirituale i fedeli chiedevano sacerdoti che arrivarono solo il 1837. Il loro sacrificio si è concretizzato nella pratica della giustizia. Quanto abbiamo da imparare oggi anche noi, praticando e testimoniando la nostra fede. P. Angelo Sardone