Sapienza di Dio e saggezza dell’uomo

«Fonte della sapienza è la parola di Dio nei cieli, le sue vie sono i comandamenti eterni» (Sir 1,5). Il concetto di sapienza è di grande estensione e varietà a seconda che lo si consideri dal punto di vista filosofico e teologico. I manuali più comuni la definiscono «possesso di profonda scienza e dottrina», cioè abilità tecnica, conoscenza razionale, capacità di distinguere il bene e il male, il lecito e l’illecito. Aristotele, uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi la definisce «scienza delle realtà che sono più degne di pregio, coronata dall’intelligenza dei supremi principi», quindi la più perfetta tra le scienze. Nel mondo israelita la sapienza è pratica, è abilità nell’agire. Il grande teologo S. Tommaso d’Aquino, rifacendosi alla definizione di Aristotele intende la sapienza come somma virtù conoscitiva che Dio dona agli uomini attraverso la grazia, così che possono conoscere quelle verità alle quali prima potevano accostarsi soltanto per mezzo della fede. Una sezione cospicua della Sacra Scrittura, viene detta sapienziale ed è costituita da cinque libri, uno dei quali è il Siracide o Ecclesiastico. Presentano strette somiglianze con opere analoghe di popoli vicini. La sapienza biblica non contiene una sapienza filosofica, si raggiunge col consiglio e l’istruzione, è donata da Dio, si manifesta nella creazione ed è anche conoscenza di come fare le cose. Nei testi sacri compare come una somma di raccolte e detti sapienziali che intendono rifarsi a Salomone, il re sapiente per eccellenza. Al di là di ogni conoscenza ed investigazione filosofica, letteraria e teologica, rimane il fatto che per i cristiani la sapienza personificata è Cristo e la fonte della sapienza è la Parola di Dio. P. Angelo Sardone

Santità: il desiderio di Dio per l’uomo

«Parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Lv 19,2). Il tema della santità permea l’intera Sacra Scrittura. Non può essere diversamente dal momento che il rapporto fondamentale dell’uomo, della natura, degli esseri viventi è con Dio, il tre volte santo. Nella etimologia più semplice ed essenziale il termine santo significa staccato. Non si tratta di un elemento o di un segno di superiorità ma di una realtà di perfezione verso cui tendere, soprattutto dopo l’esperienza del peccato che ha reso l’uomo imperfetto in tutto. L’intento di Dio nella creazione e soprattutto nel rapporto personale con gli uomini, è quello di far tendere ogni cosa alla sublimità ed alla perfezione, una tensione contrastata dalla natura umana decaduta a causa del peccato. Ecco il motivo per il quale Dio stesso tramite il legislatore Mosè comunica al suo popolo il dovere di essere santi motivando chiaramente la richiesta col fatto che Lui per primo è santo. Gli elementi che determinano come una strada da percorrere per raggiungere la santità, sono i comportamenti sociali dominati dal comando dell’amore del prossimo ed in particolare le relazioni di amore, di accoglienza e di perdono. Ciò nella logica di Dio comporta la libertà del cuore dall’odio, dal rimprovero aperto per non caricarsi della responsabilità del suo peccato, la fuga della vendetta e del rancore. Il tema fu abbracciato concretamente da Cristo nel suo progetto di vita e comunicato col suo insegnamento ed il suo esempio. Tocca anche a noi metterlo in pratica. P. Angelo Sardone

I santi sette fondatori

«Questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile» (Gen 11,6). Anche dopo l’alleanza con Dio, il nuovo popolo sorto a seguito della ripopolazione della terra postdiluviana, ha mire orgogliose ed egocentriche: non gli basta la terra, vuole raggiungere il cielo. Secondo l’immagine biblica lo fa con la costruzione di una città e di una torre che vuole sfidare i cieli e raggiungerli con la sua altezza vertiginosa. Dinanzi a questo progetto che allontana l’uomo dalla verità e dalla sua fragilità, Dio pur consapevole della capacità megalomane dell’uomo di realizzare la sua opera ardita, interviene seminando confusione, confondendo le lingue e disperdendo gli uomini sulla terra. La città prototipo di ardore umano con la pretesa di scalare il cielo viene denominata Babele, il cui significato è confusione e «porta del Dio». Al contrario, nella città di Firenze nel secolo XIII un gruppo di uomini si accorda per mettersi a servizio di Dio in penitenza e contemplazione nel nome della Vergine Maria. Sono tutti benestanti, vestono un saio nero e scelgono il monte Senario come luogo per la realizzazione del loro progetto. Sono i sette santi Fondatori dell’Ordine dei Servi di Maria: Bonfiglio Monaldi, Bonagiunta Manetti, Manetto dell’Antella, Amadio Amidei, Sostegno Sostegni, Uguccione Uguccioni, Alessio Falconieri. Le vocazioni si moltiplicano celermente. L’ultimo di loro muore a 110 anni di età. Riposano tutti in un’unica tomba, presso il Santuario del Monte Senario. La confusione determinata dall’orgoglio di essere come Dio e raggiungere le vette celesti, viene confutata dall’umiltà di calpestare la terra e vivere il servizio a Dio ed alla Vergine Maria. P. Angelo Sardone

Festa della lingua di S. Antonio

«Noè aspettò altri sette giorni, poi lasciò andare la colomba; essa non tornò più da lui» (Gen 8,12). La prova della definitiva conclusione dello straordinario e delittuoso evento del diluvio e del prosciugamento dell’acqua il patriarca Noè l’ebbe attraverso la colomba. La fece uscire dall’arca tempo dopo il corvo che era rientrato non avendo possibilità di posarsi su nulla, ma tornò per le medesime difficoltà. Sette giorni dopo, a seguito della perlustrazione sulla terra tornò con un ramoscello fresco di ulivo nel becco. Sette altri giorni dopo non rientrò più. Era il segno evidente del prosciugamento delle acque. La Genesi che non è un libro di geografia, annota che la pioggia era scesa per quaranta giorni e quaranta notti e l’intero diluvio era durato un anno e 11 giorni (Gen 7,11. 8,14); le acque erano salite per 150 giorni e scese per altri 150 giorni. Si era trattato di una vera catastrofe cosmica. Nel Vecchio Testamento la colomba che è spesso nominata come uccello sacrificale per la purificazione delle impurità e l’offerta del nazireo acquista un valore simbolico richiamato nei Salmi, nei Profeti e nel Cantico dei Cantici. Nel Nuovo Testamento è il simbolo dell’ingenuità e dell’innocenza ed ancor di più, diviene il segno visibile dello Spirito Santo. I primi Padri della Chiesa l’associarono al Battesimo e più tardi, nelle rappresentazioni pittoriche dell’Annunciazione, del mistero della Trinità ed in genere nell’iconografia cristiana, allo Spirito Santo. In alcune chiese, la custodia eucaristica è metallica, appesa al di sopra dell’altare ed a forma di colomba (il columbarium). Il simbolo della colomba è anche uno dei segni della Pasqua. Oggi si celebra la festa invernale di S. Antonio di Padova in occasione della traslazione delle sue reliquie (1263), meglio conosciuta come “festa della lingua di Sant’Antonio”: nella prima ricognizione la lingua del santo taumaturgo fu trovata incorrotta ed è tuttora conservata nella basilica a Padova. P. Angelo Sardone

San Valentino

«I pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero» (At 13,49). I primi tempi del Cristianesimo sono caratterizzati dalla diffusione capillare della Parola di Dio veicolata dalla testimonianza ardita ed eroica di numerosi uomini e donne che, sull’esempio degli Apostoli, si facevano banditori del messaggio di salvezza tra i pagani. Coloro che l’accoglievano divenivano portatori di gioia; quelli che la rigettavano procuravano un numero interminabile di martiri. Tra questi se ne distingue uno che gode di particolare ricordo e venerazione nella giornata odierna: S. Valentino, del III-IV secolo, vescovo di Terni. La nota e fondamentale sua caratteristica fu la santità di vita, per la carità, l’umiltà, ed uno zelante apostolato tra la gente che gli meritò da Dio il dono dei miracoli. Il suo patronato sui fidanzati ha come fondamenta varie ed inconsistenti leggende come quella di far fare pace alle coppie pregando su di loro, donando una rosa, e di propiziare l’unione matrimoniale di un pagano con una donna cristiana. Ormai da tempo su questa ricorrenza è intervenuta una sproporzionata commercializzazione consumistica che poco ha a che fare col sacro, anche se, come in altri casi, la memoria liturgica può diventare l’occasione per aiutare i fidanzati, gli innamorati a prendere coscienza della sacralità, dell’importanza e della serietà del sacramento del matrimonio cristiano, frutto dell’impegno di persone mature. Amarsi e progettare di vivere insieme nel matrimonio è una vera e propria arte, un lavoro di artigiani pazienti, intelligenti, che vanno fino in fondo e vogliono essere perseveranti nell’amore e nella reciproca accoglienza. Auguri a tutti coloro che portano il nome del santo ternano. P. Angelo Sardone

Caino ed Abele: storia di ieri e di oggi

«Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise» (Gen 4,8). Nella narrazione degli esordi dell’uomo e della donna sulla terra, al peccato dei primogenitori, che riguarda tutti, fa seguito il fratricidio, una violenza che irriga di sangue la terra. Alla rivolta contro Dio fa seguito la lotta dell’uomo contro l’uomo. Caino, lavoratore del suolo ed Abele, pastore di greggi offrono a Dio il prodotto del loro lavoro: le primizie della terra ed i primogeniti del gregge. Dal racconto biblico si evince per la prima volta la preferenza di Dio nei confronti degli umili ed il rigetto delle cose umanamente ritenute grandi, un tema che tornerà nei vangeli soprattutto nell’esemplificazione del figlio minore preferito al maggiore. L’offerta di Abele è gradita al Signore al contrario di quella di Caino che rimane irritato. Jahwé gli fa notare che quando si agisce bene il volto è sempre alto; quando invece si cova l’invidia e la gelosia, il male, il peccato è come accovacciato nell’intimo orientato istintivamente verso l’uomo, ma passibile di dominio. Il resto è noto: indotto ad andare in campagna Abele viene ucciso dal fratello; si consuma la prima tragedia familiare; per la prima volta il sangue umano scorre e macchia la terra facendo elevare un grido verso l’alto. La gelosia è davvero terribile dinanzi al successo o alla prosperità di un individuo. La campagna è il luogo aperto, spazioso, dove è possibile realizzare il proprio lavoro e cercare il proprio nascondiglio dagli uomini, ma non da Dio. Questo sangue continua ad essere sparso nel tempo e nella storia e non è solo frutto delle guerre e delle devastazioni ambientali e telluriche, ma della gelosia e del potere umano, del desiderio di possesso che a volte non fa guardare in faccia neppure chi ha la stessa carne e lo stesso sangue. P. Angelo Sardone

La vera sapienza

«A nessuno ha comandato di essere empio e a nessuno ha dato il permesso di peccare» (Sir 15,20). Il lungo Libro del Siracide, 51 capitoli, nel linguaggio greco «Sapienza di Gesù figlio di Sirach», direttore della scuola sapienziale a Gerusalemme tra il III ed il II secolo a.C., fu denominato da S. Cipriano «ecclesiastico» per l’uso che se ne faceva nella Chiesa primitiva. Appartiene alla sezione biblica detta didattico-sapienziale. Affronta temi diversi senza un ordine ben preciso, dalla storia sacra al destino dell’uomo, dalla osservanza della legge identificata nella sapienza, alla pratica del culto. Comprende molti detti saggi a volte raggruppati attorno ad un tema. Uno di questi è la libertà umana, stigmatizzata in alcuni versetti che la Liturgia propone nella celebrazione della S. Messa. Nella mentalità vetero-testamentaria essa non è concepita come concetto sociale né tanto meno teologico. Essere libero vuol dire non essere schiavo. Ma dal momento c’era che il pericolo incombente della mentalità ellenistica il testo chiarisce che l’osservanza dei comandamenti di Dio dipende dalla libera volontà dell’uomo che ha possibilità e capacità di scegliere tra le estremità contrapposte.
La stessa sapienza di Dio pone i comandamenti dinanzi alla libera volontà dell’uomo perché possa scegliere nonostante la sua limitata visuale e la sua intenzionalità. Nella sua libertà l’uomo sbaglia e diviene così empio, ma ciò non appartiene a Dio che «non ha dato a nessuno il permesso di peccare» né tanto meno ha comandato il male. Si diviene davvero sapiente quando nonostante la piena libertà di adeguarsi o meno all’osservanza della legge, naturale e positiva, uno la osserva tenendo conto che è frutto della sapienza divina. La libertà del cristiano è governata dalla presenza dello Spirito Santo, dal momento che dove è lo Spirito ivi è la libertà (2Cor 3,17). P. Angelo Sardone

Scolastica, sorella e seguace di S. Benedetto da Norcia

«Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò» (Gen 3,6). Il racconto biblico che ha toccato il vertice più alto nella creazione dell’uomo e della donna, narra ora la loro caduta. La donna vede che l’albero era buono da mangiare amabile, desiderabile agli occhi e gradevole da guardare, “per rendere uno intelligente” come si legge dalla traduzione letterale del testo ebraico. Nella giornata odierna la liturgia ricorda S. Scolastica (480-547), sorella di S. Benedetto da Norcia alla quale, per analogia, si può applicare in positivo il tratto biblico suaccennato. La sua identità di vergine saggia che aveva camminato ed imitato suo fratello nella vita consacrata a Dio, è raccontata nel secondo libro dei suoi «Dialoghi» da S. Gregorio Magno. Viveva in un monastero non distante da Montecassino e una volta all’anno si recava dal fratello. Qualche giorno prima della sua morte aveva incontrato il grande abate in una casetta frammezzo ai due monasteri ed aveva voluto intrattenersi più del normale nei loro colloqui spirituali, determinato dal comune amore per il Vangelo. Molto probabilmente sapeva che sarebbe stato l’ultimo. La sua intensa preghiera al Signore divenne più efficace del diniego di Benedetto che non voleva trascorrere la notte fuori del monastero. Il temporale scoppiato tutto d’un botto fece il resto. Trascorsero la notte in preghiera ed in profondi colloqui spirituali col frutto della saggezza. Tre giorni dopo ella morì ed il fratello se ne rese conto vedendo la sua anima salire al cielo come una colomba. La loro unità è sancita dal comune sepolcro che ancora oggi si venera nella celebre abbazia. P. Angelo Sardone.

La donna: completezza dell’uomo

«Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta» (Gen 2,18.23). La creazione della donna è immediatamente successiva a quella dell’uomo. Dinanzi alla creatura che chiude la creazione Dio ha una forma di compiacimento: è cosa molto buona, ma non completa. Manca un aiuto che gli sia simile. E Dio lo trae dalla stessa radice dell’uomo come da un unico blocco di pietra dal quale viene fuori la scultura di due esseri, parte integrante della medesima roccia. L’uomo, Adamo, lo riconosce immediatamente. Svegliandosi dal sonno indotto da Dio, esclama: è carne dalla mia carne ed ossa dalle mie ossa, due realtà con la stessa radice. Il nome corrispondente non potrà essere che ishah, cioè donna, che altro non è che il femminile di ish, uomo. Il prosieguo del racconto specifica ulteriormente questa fondamentale unità quando parla del matrimonio: i due diverranno una sola carne. C’è una grandiosa ricchezza di immagini e concetti che spesso si ignorano o si banalizzano, senza comprendere la realtà del mistero che è sotteso alla creazione dell’uomo e della donna. Quest’ultima, nel corso della storia, ha subito forme diverse di antifemminismo, e forse anche oggi, nonostante l’emancipazione femminile, non gode ancora di tutta l’attenzione e la sacralità che le si deve per via della sua essenza e del suo ruolo interlocutorio accanto all’uomo e sua pienezza. In ultima analisi i tratti biblici esaltano la grandezza dell’uomo e della donna, inseriti nella più globale affermazione della grandezza di Dio che ha realizzato così uno straordinario progetto di amore. P. Angelo Sardone