Ascensione di Gesù al cielo

«Mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi» (At 1,9). Il mistero della risurrezione di Cristo, evento straordinario sul quale si basa la fede cristiana, ha come passo intermedio, sia storicamente che teologicamente, l’Ascensione di Gesù al cielo. Essa precede la discesa dello Spirito Santo e segna il compimento della missione salvifica di Cristo sulla terra. Il dato storico è accuratamente narrato dall’evangelista Luca, autore del libro degli Atti degli Apostoli, proprio all’inizio di questo testo straordinario che descrive gli inizi della Chiesa, i movimenti degli Apostoli e confluisce poi nel resoconto dettagliato dei viaggi di Paolo fino a raggiungere Roma. L’attento cronista riporta le ultime azioni di Cristo prima della sua ascensione corporea, sottolineando il fatto che gli Apostoli gli sono sempre accanto prima del suo commiato definitivo ed ascoltano con attenzione le sue ultime raccomandazioni. Si ritrovano con Lui a tavola ed il Maestro li assicura che la venuta dello Spirito santo porterà a loro la conoscenza piena del mistero di Dio con le circostanze che egli stesso ha preannunziato con la sua autorità. Si trovano poi sul monte Oliveto, presso Gerusalemme e qui Gesù si sottrae definitivamente dai loro sguardi ascendendo al cielo. Gli occhi perplessi degli Apostoli sono rivolti in alto quasi a chiedere ragione di quel che sta avvenendo. La risposta indicativa degli Angeli è l’apertura alla nuova situazione nella quale i discepoli di Cristo e la Chiesa si troveranno d’ora in poi senza la presenza fisica di Gesù, con il mandato loro affidato di annunziare il Regno a tutte le genti. Non bisogna guardare il cielo per sapere quando Egli tornerà, ma impegnarsi ogni giorno a realizzare ciò che Egli ha insegnato, nella fedeltà al Vangelo ed al Magistero della Chiesa. P. Angelo Sardone

La saggezza di alcuni amministratori

«Costui persuade la gente a rendere culto a Dio in modo contrario alla Legge» (At 18,13). A Corinto, dove Paolo dimorò un anno e mezzo, i Giudei infastiditi dal suo insegnamento ed inferociti contro di lui, lo condussero unanimi in tribunale davanti a Gallione, proconsole dell’Acaia. Chiedevano conto e ragione del suo insegnamento che ritenevano contrario alla Legge mosaica, allora protetta dalla legge romana. Egli non faceva altro che insegnare la Parola ma evidentemente il suo modo di porgerla ed il messaggio sotteso, non si allineava affatto col loro modo di vedere. L’unico modo per reagire era quello di tradurlo dinanzi alla pubblica autorità. Paolo, dal canto suo si sentiva fortificato non dalla sua capacità di sopportazione, ma dalla grazia del Signore che in una visione gli aveva assicurato che non gli sarebbe stato fatto alcun male, anzi lo aveva incoraggiato a continuare a parlare col medesimo tono. Vi era infatti un popolo numeroso che Cristo stesso andava formandosi. Illuminato e colmo di buonsenso fu proprio Gallione che si tirò fuori ritenendo che quelle questioni di nomi e di usi, appartenessero esclusivamente alla mentalità ebraica e non rientravano in un misfatto o un delitto degno di essere da lui giudicato. Invece ebbe la peggio Sostene, il capo della sinagoga, artefice della insurrezione, che fu malmenato dalla gente esasperata. Paolo continuò il suo ministero. Tante volte si vuole fare entrare l’autorità civile sottoponendo al giudizio profano verità che appartengono al credo ed al deposito della fede. La saggezza di alcuni amministratori pubblici, per fortuna, riconosce e demanda all’autorità religiosa costituita il potere di intervento, evitando ingerenze importune e fuorvianti. P. Angelo Sardone

S. Annibale Maria Di Francia: 19 anni dalla canonizzazione

«Ai Rogazionisti e alle Suore Figlie del Divino Zelo lasciò il compito di adoperarsi con tutte le forze perché la preghiera per le vocazioni fosse incessante e universale». Queste mirabili espressioni sono parte integrante dell’omelia pronunciata da S. Giovanni Paolo II domenica 16 maggio 2004 nella Messa di canonizzazione di S. Annibale Maria Di Francia. Si compiva così il desiderio di tanti cuori ed il lungo itinerario canonico processuale durato quasi sessant’anni, da quando il 1945 era stata avviata a Messina l’inchiesta diocesana culminata il 7 ottobre 1990 con la beatificazione. Il traguardo del riconoscimento della sua santità, poneva un tassello determinante nella vita della Chiesa per la conoscenza e lo sviluppo del carisma della preghiera ed azione per le vocazioni, chiodo fisso della vita e dell’opera del canonico messinese che per esso non si era sottratto a fatiche e lavoro estenuante con uno zelo sovrumano. Tutta la sua esistenza, infatti, era stata impostata sulla pericope evangelica della compassione di Gesù verso le folle stanche e sfinite come pecore senza pastore, la constatazione dell’abbondanza della messe e l’obbedienza al divino comando: «Pregate dunque il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe» (Mt 9, 36-38). Tutto questo, a partire dal Quartiere Avignone di Messina tra i poveri e gli orfani per i quali si fece vero padre. Il coinvolgimento di Papi, Cardinali, Vescovi, Sacerdoti e fedeli nella Sacra Alleanza e nell’Unione di preghiera per le vocazioni, una vera e propria “crociata”, perché la preghiera per le vocazioni fosse costante e divenisse universale, raggiunse l’apice quando S. Paolo VI nell’anno 1964 istituì la Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni. A noi figli e figlie di S. Annibale, religiosi e laici, spetta il compito e la grave responsabilità di pregare per le vocazioni, diffondere questo spirito di preghiera perché diventi universale, essere operai compassionevoli nella cura dei fanciulli e dei giovani e nell’evangelizzazione e soccorso ai poveri. Si realizza così l’anelito del Cuore di Gesù ed il carisma di S. Annibale, insigne apostolo della preghiera per le vocazioni. P. Angelo Sardone