Il corpo e sangue del Signore

Cosa Celebriamo nella solennità del Corpus Domini. - La Luce di Maria
«Dio ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore» (Es 8,3). La solennità del «Corpus Domini», il corpo e sangue del Signore, si colloca nella Liturgia dopo la celebrazione del mistero della Trinità. Non si tratta di un doppione del Giovedì santo, ma di un ulteriore momento annuale nel quale si manifesta pubblicamente la fede nell’augusto mistero dell’Eucaristia. Il dato storico della sua istituzione risale al 1246, ad opera della beata Giuliana di Retìne, una suora belga che aveva chiesto al vescovo di celebrare una festa eucaristica fuori del contesto della settimana santa. È noto inoltre il riferimento al miracolo eucaristico avvenuto a Bolsena il 1263, quando un prete boemo che si recava a Roma si fermò a celebrare la Messa e fu sopraffatto dal terribile dubbio che nella Eucaristia ci fosse davvero il corpo ed il sangue di Gesù Cristo. Al momento della consacrazione dall’ostia uscirono alcune gocce di sangue che sporcarono il corporale di lino e alcune pietre dell’altare, tuttora visibili nel Duomo di Orvieto dove sono conservati. Un’ulteriore eclatante testimonianza è data dal celebre miracolo eucaristico di Lanciano, tra il 730-750, dove si conserva l’ostia tramutata in carne. Anche qui un monaco basiliano mentre celebrava la S. Messa, assalito dal dubbio della reale presenza di Gesù nell’Eucaristia, vide l’ostia trasformarsi in carne, il vino in sangue. Gli studi recenti hanno confermato che quella carne è un frammento del miocardio, ed il sangue appartiene al gruppo sanguigno AB. È significativa la processione del Corpus Domini per le strade delle città ad indicare il popolo di Dio che cammina col suo Signore proclamando la fede nel «Dio-con-noi». Gesù «stabilì e conferì agli apostoli il suo sacerdozio, con la potestà di consacrare il suo corpo e il sangue suo preziosissimo sino alla fine dei secoli» (S. Annibale M. Di Francia). Di qui la necessità di chiederli con insistenza al Dio delle misericordie e di ogni grazia, perché solo tramite loro è assicurata la celebrazione della S. Messa e la confezione dell’Eucaristia. P. Angelo Sardone

Il lieto fine per Sara e Tobia

«Raffaele disse a Tobìa prima che si avvicinasse al padre: «Io so che i suoi occhi si apriranno» (Tb 11,7). La storia di Tobi e Tobia, come raccontato nel libro omonimo, va verso il lieto fine. L’apporto divino manifestato concretamente tramite l’Arcangelo Raffaele che si è presentato ed ha accompagnato Tobia nel viaggio, è stato determinante. Il fiele ricavato dal pesce, sarà determinante per ridare la vista al padre anziano. Sara, la sposa del figlio, liberata ormai dalla ossessione diabolica, potrà seguire il marito a Ninive lasciandosi dietro le spalle la sua disavventura matrimoniale, perché purificata finalmente dalla grazia di Dio che ha vinto il demonio. Sono partiti insieme, tutti e tre da Ecbatana, per tornare a Ninive e concludere positivamente la grande avventura, a testimonianza della fede in Dio che premia sempre. Lasciata dietro Sara, Tobia e Raffaele vanno avanti perché si compia il resto del miracolo già realizzato in tutto il viaggio: Tobia spalma il fiele del pesce sugli occhi del padre Tobi al quale cadono le scaglie e torna a vedere. Tutto finalmente si è realizzato. I genitori di Tobia, Tobi ed Anna possono vedere ed accogliere come figlia nella loro casa la nuora Sara e si chiuderà finalmente per tutti il capitolo doloroso della loro vita. L’esemplificazione biblica è di grande effetto ed eloquente insegnamento. La parabola si riscontra frequentemente nella vita degli uomini. Quando ci si lascia guidare da Dio e si accoglie il dono della sua presenza anche attraverso qualche angelo, le vicende prendono un altro corso e si manifesta la volontà di Dio che è sempre e comunque volontà di bene. P. Angelo Sardone

Il demonio sconfitto e la vista ridonata

«Preghiamo e domandiamo al Signore nostro che ci dia grazia e salvezza. Si misero a pregare e a chiedere che venisse su di loro la salvezza» (Tb 8,4). La narrazione del libro di Tobia diviene avvincente soprattutto quando l’Arcangelo Raffaele prende in custodia Tobia e lo conduce ad Ecbatana nella Media, per prendere in sposa Sara sua cugina, figlia di Raguele. È uno dei tratti biblici più noti e significativi soprattutto in riferimento alla concezione del matrimonio ed al dono reciproco degli sposi, mediato dalla grazia di Dio. Sara è vittima del demonio Asmodeo che la notte stessa del matrimonio ha fatto morire uno dopo l’altro i sette mariti ai quali suo padre l’aveva data volta per volta. L’enorme difficoltà viene superata dall’intervento divino tramite Raffaele che dà sicurezza a Tobia invitandolo a non avere paura ma a fidarsi di Dio. Entrambi i coniugi, introdotti nella camera nuziale, vivono una intensa liturgia nella quale avendo dichiarato innanzitutto il proposito di prendersi e donarsi non per lussuria, innalzano al Signore la loro preghiera di benedizione. In particolare Tobia precisa la rettitudine di intenzione con la quale prende in sposa Sara e chiede con semplicità di farli giungere insieme alla vecchiaia. Il doppio «amen» finale suggella la preghiera e l’affidamento a Dio. Dormirono tutta la notte senza che succedesse nulla. La trattazione e l’episodio di Sara e Tobia tante volte viene proclamato nel corso della liturgia nuziale ad esempio di come si intenda impostare la vita matrimoniale che fa superare anche le difficoltà inevitabili o quelle straordinarie, con la fiducia nel Signore e l’abbandono completo nelle sue mani. P. Angelo Sardone

Sara e Tobia

«Benedetto sei tu, Dio misericordioso, e benedetto è il tuo nome nei secoli» (Tb 3,11). La storia di Tobi si fa avvincente man mano che si entra nel vivo della sua esperienza umana segnata dalla pietà, dal dolore e dal desiderio di fare il bene, nonostante le difficoltà. Ad essa si abbina quella di Sara di Ecbatana, nella Media, che secondo il piano della Provvidenza divina, si intreccia con Tobia nel vincolo del matrimonio. Entrambi i protagonisti vivono una situazione di disagio: Tobi con la moglie ed i suoi insulti, Sara con una serva che l’accusa di essere lei la causa della morte dei sette mariti che ha sposato e che sono sistematicamente morti dopo la prima notte, col concorso del demonio Asmodeo. Le reazioni per entrambi sono legate alla preghiera ed all’affidamento a Dio. Tobi esprime una preghiera di fiducia nel Signore, riconoscendo la sua grazia e confessando i propri peccati. Sara, avvilita per le accuse della serva, aveva deciso di impiccarsi, ma per non causare un dolore acerbo al padre ed alla sua vecchiaia, desiste e rivolge al Signore la sua preghiera di benedizione e di lode elencando i prodigi che Dio ha realizzato. Enumera inoltre la sua purezza bandendo qualsiasi forma di disonestà e confessando la sua assoluta innocenza nei confronti delle morte dei suoi mariti. Il Signore interviene per entrambi accogliendo la loro preghiera ed inviando sulla terra l’Arcangelo Raffaele per guarirli: toglie le macchie bianche dagli occhi di Tobi e dà Sara in moglie a Tobia. Ancora una volta si evidenzia l’efficacia della preghiera umile, fiduciosa, di completo abbandono nelle mani di Dio che dall’alto non è né cieco né sordo. Guarda, ascolta ed interviene. P. Angelo Sardone