Autore: Angelo Sardone
Epafra, fedele collaboratore
«Egli è presso di voi un fedele ministro di Cristo e ci ha pure manifestato il vostro amore nello Spirito» (Col 1,8). La lettera di S. Paolo agli abitanti di Colossi, molto probabilmente scritta da Roma nel corso della sua prigionia tra il 61 ed il 63, si colloca con quella agli Efesini ed a Filemone, in un gruppo detto omogeneo. Da questa città che Paolo non aveva evangelizzato personalmente è giunto Epafra, suo compagno di ministero e di prigionia, evangelizzatore a Colossi, e gli ha riferito informazioni positive della comunità ed in particolare l’amore nei confronti del Signore, tra loro e verso Paolo, nello Spirito Santo. All’iniziale rendimento di grazie a Dio che sottolinea la presenza delle tre virtù teologali, forza stessa della comunità, segue un bell’elogio di Epafra che lo supplisce nell’opera apostolica come autentico fondatore della chiesa colossese. Il suo nome, forma abbreviata di Epafrodito, significa «altamente desiderabile». Si sa ben poco della sua vita, ma si comprende bene da quello che dice Paolo, che amava la Chiesa nella quale è un «fedele ministro di Cristo» per gli abitanti di Colossi. È molto importante questa sottolineatura che determina la caratteristica dell’uomo di Dio chiamato a vivere la fedeltà come esigenza della sua vocazione. Come nell’amore coniugale questa caratteristica è essenziale, anche nella vocazione sacerdotale e religiosa è esigita per la natura stessa di questo amore particolare e l’efficacia della sua azione apostolica. In un tempo come quello attuale nel quale la fedeltà ad ogni livello e vocazione è diventata fluida se non opzionale, una testimonianza di questo genere elogiata dall’Apostolo, fa molto riflettere e diviene sprone efficace ed emulativo soprattutto per noi sacerdoti ed anime consacrate. P. Angelo Sardone
La santa dei poveri più poveri
«Non dormiamo come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri» (1Ts 5,6). Dinanzi al mistero della venuta di Cristo, aldilà di tutte le considerazioni e le attese antiche e moderne oggetto di preoccupazioni data l’imminenza soprattutto allo scoccare dei millenni, ciò che rimane da fare sono la vigilanza e la sobrietà. Il dato biblico certo enunziato da S. Paolo è che l’avvento del Signore sarà come quello di un ladro di notte. Occorre dunque non dormire rassegnandosi ad un cieco e fatale destino ma restare svegli ed operare il bene finché c’è la luce sorretti dalla fede e dalla speranza cristiana. Nella continua vigilanza e mossa dalla sobrietà della vita servendo i poveri più poveri, si è mossa l’intera esistenza umana di Agnes Gonxhe Bojaxhiu, meglio conosciuta come Madre Teresa di Calcutta (1910-1997), nata in Macedonia da una famiglia albanese e nota in tutto il mondo come una delle donne di carità più in vista di tutti i tempi. Il suo percorso vocazionale la fa approdare inizialmente nella Congregazione delle Suore Missionarie di Nostra Signora di Loreto, destinata il 1929 in India, nella zona orientale di Calcutta. L’impulso della carità alla vista di tanta miseria la spinge a mettere in pratica come una seconda chiamata per poter condividere la sua vita con i poveri ed insieme con alcune giovani il 1950 fonda la Congregazione delle Missionarie della Carità, che immediatamente si spande in quasi tutto il mondo. La sua fisionomia di donna esile e minuta piegata dalla fatica e la luce del suo sorriso, riflesso della sua carità non tradiscono la sua reale identità di donna attiva e contemplativa, determinata e concreta, vigilante e sobria. L’attualità del suo messaggio richiama l’attenzione sempre nuova verso i poveri più poveri, i dimenticati e non amati che si trovano in ogni parte del mondo, a cominciare dai nostri contesti opulenti e spesso dormienti verso simili necessità. P. Angelo Sardone
Santa Rosalia, la “santuzza”
«Noi verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore» (1Ts 4,17). Il problema dei morti era vivo presso la comunità cristiana di Tessalonica e destava afflizioni diverse. S. Paolo afferma che coloro che sono morti, per mezzo di Gesù Dio li condurrà con sé. Inoltre, resuscitando, essi saranno raggiunti da noi e condotti all’incontro col Signore ed al giudizio, inizio del nuovo ed eterno regno. Oggi si fa memoria di S. Rosalia, una vergine eremita del XII secolo, patrona della città di Palermo. Non ci sono notizie biografiche certe e tante sono avvolte nella leggenda, anche se sono stati rinvenuti documenti dai quali risulta che già dal 1196 veniva chiamata Santa Rosalia. Nobile di nascita, in un periodo nel quale era stato inaugurato in Sicilia da parte dei Normanni il rinnovamento cristiano, lasciò gli agi della corte e si ritirò in contemplazione e preghiera in una grotta sul monte Pellegrino, a Palermo, cibandosi del necessario e lì morì il 4 settembre 1160. Nel corso di una terribile epidemia di peste nel 1624, apparve in sogno prima ad una donna ammalata e poi ad un cacciatore, indicando loro il luogo delle sue reliquie e chiedendo di portarle in processione nella città. A seguito del gesto la città fu liberata dal contagio ed i malati guarirono. Tuttora in Sicilia viene invocata come la «santuzza». Il suo nome è composto da due fiori, la rosa ed il giglio (in latino lilium) che indicano allo stesso tempo bellezza e purezza. Auguri a tutte coloro che portano questo bel nome, particolarmente diffuso in Italia e beneficiano della protezione di una santa che ancora oggi attrae pellegrini e devoti. P. Angelo Sardone
Mosè e S. Rocco
«Questa è la terra per la quale io ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe. Te l’ho fatta vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai!» (Dt 34,4). Ad una frettolosa lettura sembra spietata la conclusione di Jahwé nei confronti di Mosè e della fine della sua vita. Quando il popolo d’Israele giunse al monte Nebo il Signore lo fece salire sulla cima del Pisga, di fronte a Gerico e gli mostrò tutta la terra promessa confermando il suo giuramento. Erano passati quarant’anni dall’uscita dall’Egitto tra stenti, fatiche, battaglie, stanchezza, infedeltà da parte di tutti, compreso anche Mosè. Alle acque di Massa e Meriba proprio lui aveva avuto un tentennamento e non si era fidato ciecamente di Dio, battendo due volte alla roccia dalla quale era scaturita l’acqua. Ora ne raccoglieva la conseguenza. Dinanzi ad un uomo umile che si era sobbarcato l’immane fatica di condurre un popolo difficile da amministrare per un lungo lasso di tempo ed un cammino impervio, la fine della vita potrebbe sembrare ingiusta e senza un minimo di riconoscenza. Anche una trama avvincente come quella dell’Esodo avrebbe forse meritato una conclusione diversa con l’ingresso nella Terra Promessa ed il riposo meritato. Invece non fu così. Sarà che era anziano e che quindi naturalmente doveva andare incontro alla morte; sarà che la giustizia di Dio voleva offrire un esempio per tutti i tempi. Mosè vide tutta la terra promessa ma non vi entrò. Le considerazioni in merito possono essere tante e giuste. Lì morì e fu sepolto. Della sua tomba se ne è perduto il ricordo. «Imperscrutabili misteri di Dio», avrebbe detto S. Annibale M. Di Francia. Con Dio non si scherza: il suo amore pesa quanto la sua giustizia. In tante parti si festeggia oggi S. Rocco di Montpellier (1345-1376), le cui notizie sono affidate in gran parte alla leggenda che lo ritrae dedito alla carità ed al servizio dei malati soprattutto di peste. Auguri a tutti coloro che ne portano il nome. P. Angelo Sardone
Maria assunta in cielo
Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria. Questa ricorrenza mariana, molto cara e sentita nella pietà popolare, è sancita dalla proclamazione di un dogma, cioè una verità di fede rivelata, ad opera di papa Pio XII il 1º novembre 1950, mediante la costituzione apostolica “Munificentissimus Deus”: «L’Immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo». L’evento nel corso del tempo ha incontrato tante discussioni a cominciare dal nome: per gli orientali è la «dormizione» che non implica necessariamente la morte ma neppure la esclude; in ambito occidentale il «transito» con la relativa assunzione. Il dato teologico esalta Maria come «il frutto più eccelso della redenzione», icona escatologica di ciò che la Chiesa tutta «desidera e spera di essere», manifestazione della fedeltà del Signore alla sua promessa, ricompensa per la sua fedele adesione al progetto divino. Soprattutto nel Medioevo, con il francescano beato Duns Scoto, l’argomento venne presentato con una sottigliezza singolare: in perfetta analogia con Cristo che è morto ed è risorto, Maria è morta ed è stata assunta in cielo. Per entrambi la morte appartiene semplicemente alla legge di natura del corpo che è intrinsecamente mortale, perché esenti dal peccato. Agli uomini invece si congiunge la “legge morale” che ritiene la morte conseguenza del peccato. La solennità odierna si inserisce nel cosiddetto «ferragosto», ossia le «feriae Augusti», cioè il riposo di Augusto, una festa voluta dall’imperatore nel 18 a.C. per celebrare i raccolti e la conclusione dei principali lavori agricoli. Nel gergo comune esso richiama il periodo di riposo a seguito delle fatiche invernali e primaverili. Auguri a tutte le persone che portano il nome di Assunta e derivati e buona solennità della Assunzione della Beata Vergine Maria. P. Angelo Sardone
Il cavaliere dell’Immacolata
«Il Signore rende giustizia all’orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito. Amate dunque il forestiero» (Dt 10,18-19). Nell’ultima sezione del secondo suo grande discorso, Mosè riprende e proclama le esigenze dell’Alleanza. Tra le altre cose afferma che Dio concede la sua grazia con la piena libertà avendo un’attenzione particolare verso gli orfani, le vedove, i forestieri. Il tratto liturgico odierno della Parola di Dio si adatta bene alla tragica esperienza conclusiva della vita del polacco S. Massimiliano M. Kolbe (1894-1941), martire ad Aushwitz, uno dei moderni e più significativi esponenti dei Frati Francescani Conventuali. Grande innamorato della Madonna, fondò la «Milizia di Maria Immacolata» per rinnovare ogni cosa in Cristo attraverso appunto l’Immacolata e diede vita al periodico «Il Cavaliere dell’Immacolata», che ebbe una sorprendente tiratura tipografica. Nel corso della seconda guerra mondiale, il 1941, per aver dato assistenza e conforto a malati, rifugiati ed ebrei, insieme con quattro altri confratelli viene internato ad nel campo di sterminio di Auschwitz e destinato all’umiliante e duro lavoro del trasporto dei cadaveri ai forni crematori. Il numero che l’identifica è il 16670. Qui si consumò la sua testimonianza concreta di amore e di sacerdote: offrì la sua vita in cambio di quella di un padre di famiglia, suo compagno di prigionia, nella camera della fame, dove ebbe modo di assistere ed accompagnare all’incontro con Dio tutti i condannati. Venne stroncato con una iniezione di fenolo mentre invocava la Vergine Santa, sintesi della sua vita. Era il 14 agosto. Come affermò S. Giovanni Paolo II in occasione della sua canonizzazione «non morì, ma “diede la vita per il fratello”, testimonianza alla dignità dell’uomo, alla santità della sua vita e alla forza salvifica della morte». Sulle sue orme ancora oggi camminano tante persone nella Milizia dell’Immacolata, laici, membri di Istituti di vita consacrata, missionarie e laici. P. Angelo Sardone
Il mormorìo leggero della brezza
«Esci e fèrmati sul monte alla presenza del Signore» (1Re 19,11). Il ciclo biblico del profeta Elia è corredato da episodi diversi attraverso i quali il Signore lo conduce nella realizzazione della sua vocazione di profeta di fuoco, che si porta addosso la stanchezza del suo servizio ed anche la illimitata obbedienza al vero e potente Dio. La tappa del monte Oreb segna come la svolta ulteriore di fede che il Signore stesso gli chiede, per segnare con la sua esperienza l’itinerario concreto del cammino in Dio. Il comando di Jahwé è perentorio: «esci e fermati». La paura, il dubbio, i condizionamenti umani di timore e tremore dinanzi allo strapotere arrogante del re Acab e Gezabele lo hanno debilitato e chiuso in una melanconica considerazione della vita, fino a desiderarne la conclusione. Deve uscire da se stesso e fermarsi in alto, sul monte perché è lì che incontrerà il Signore che gli si manifesterà nella forma giusta e potrà godere della sua presenza. Le modalità della teofania sono quattro: il vento impetuoso, il terremoto, il fuoco, il mormorio leggere della brezza. Solo in quest’ultima il profeta riscontra con certezza la presenza di Dio. È qui sotteso un grande insegnamento, valido per ogni tempo e per ogni condizione sociale e religiosa: nell’esperienza umana con la molteplicità delle situazioni provvide e dolorose, la manifestazione di Dio non avviene con le cose strepitose e rumorose: il vento che spacca ogni cosa, il terremoto che devasta, il fuoco che consuma, ma nel venticello leggero come la brezza del mattino, il mormorio ed il dolce sussurro del cuore che penetra nella profondità dell’essere. Qui si configura nella certezza la presenza di Dio e la sua formidabile azione salvifica. P. Angelo Sardone