S. Cecilia cantava con giubilo

«La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore.  Là canterà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto» (Os 2,16-17). Il lezionario dei Santi nella memoria odierna di S. Cecilia, evoca la sua identità e missione cristiana di vergine consacrata dal martirio con il bellissimo testo del profeta Osea. S. Cecilia, nobildonna romana andata sposa a Valeriano, è molto popolare, data la basilica sorta in suo onore a Trastevere prima del 313 e l’editto di Costantino, la festa celebrata già dal 545 e la tradizione che la vuole patrona della musica. I dati storici sono difficilmente reperibili e completi. Sepolta nelle catacombe di S. Callisto accanto alla «Cripta dei Papi», fu poi trasferita dal papa Pasquale I nella cripta della basilica di Trastevere. Un interessante testo detto «Passio», di carattere più letterario che storico, pone Cecilia al centro di una serie di avvenimenti, compreso il giorno delle nozze, quando, mentre si eseguivano musiche per gli ospiti, Cecilia cantava nel cuore al Signore il desiderio di mantenersi immacolata nel cuore e nel corpo e non rimanere confusa. Questo dato è divenuto nel tempo una famosa antifona che fa di Cecilia la patrona dei musicisti e dei cantori. La sua vita si concluse, perché cristiana, con la tortura del fuoco, il taglio del capo e l’agonia per tre giorni. Il contesto temporale proietta in quello liturgico dell’attesa della Chiesa che, nell’imminente Avvento, va incontro al suo sposo, Gesù Cristo. S. Cecilia può essere considerata tra coloro che maggiormente hanno dato visibilità al «genio femminile», come lo definiva S. Giovanni Paolo II, e diviene occasione per ringraziare lo Spirito Santo dei carismi elargiti alle donne nella storia del popolo di Dio, per le loro vittorie dovute all’esercizio delle virtù e per i frutti della santità femminile. Auguri a tutte coloro che portano il bel nome di Cecilia. P Angelo Sardone

Maria presentata al Tempio di Gerusalemme

«Il sacerdote la ricevette e, baciandola, la benedisse dicendo: il Signore ha reso grande il tuo nome in tutte le generazioni» (PdG,VII). Una tradizione apocrifa contenuta nel cosiddetto Protoevangelo di Giacomo, riporta l’avvenimento della presentazione di Maria al Tempio di Gerusalemme ad opera di Anna e Gioacchino, quando ella aveva appena tre anni. La figlioletta avuta in età avanzata, mise nelle condizioni i pii genitori di ritenerla un dono di Dio così grande, da doverla rimettere nelle Sue mani, collocandola nel luogo sacro per eccellenza, il tempio. Qui vivevano donne votate al servizio di Dio, dedite alla preghiera ed all’accoglienza. Il dato apocrifo narra la consegna fatta ai sacerdoti di Gerusalemme della fanciulletta Maria che entra così a far parte della famiglia del tempio. Il testo motiva il gesto per via della promessa che i genitori avevano fatto al Signore, per non correre il rischio che Dio stesso la richiedesse e che il loro dono così risultasse sgradito.La bambina rimase nel tempio come una colomba, nutrita direttamente dalla mano di un angelo e crebbe fino all’età di dodici anni per essere destinata al matrimonio. S. Annibale Di Francia aveva una singolare devozione per questa memoria liturgica. Il ritrovamento casuale di una statuetta della Madonna nella sacrestia della Casa delle Figlie del Divino Zelo a Taormina, il 1908, fece mettere in moto il suo estro poetico per creare un vero e proprio cerimoniale secondo il quale, rinnovando la presentazione di Maria, ogni anno il 21 novembre fino al 1920, mentre la bambina cresceva, ricordava l’evento finché ella giunse all’età di 15 anni. Allora, organizzata una festa nuziale, alla presenza dei venerandi genitori, celebró il matrimonio nel quale Maria andò sposa a Giuseppe. Il tutto avvenne in una stanzetta detta «Conservatorio» dove tuttora sono venerate le statue che riproducono Maria adolescente con una folta chioma di capelli, il giovane S. Giuseppe ed ai lati i santi Gioacchino ed Anna. Era una delle industrie spirituali di cui il santo fondatore si serviva per accendere nel cuore delle persone semplici l’amore a Maria. Oggi si celebra la giornata delle Claustrali che, come Maria, hanno consacrato la loro vita al Signore nel silenzio dei monasteri, nella contemplazione e nell’attiva operosità di preghiera ed azione per la vita della Chiesa. P. Angelo Sardone

Elisabetta d’Ungheria, santa giovane

«Dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore» (Sap 13,5). Continuando la riflessione, quasi una sorta di processo all’idolatria e alla divinizzazione della natura, l’autore del Libro della Sapienza traccia una critica dell’idolatria sotto diverse forme: la divinizzazione degli astri e delle forze naturali, il culto degli idoli fabbricati dagli uomini, il culto degli animali. Ciò è fondamentalmente determinato dal vivere nell’ignoranza di Dio e nella cattiva sua ricerca, non potendo e non sapendo riconoscere l’artefice di tutto. Per il criterio dell’analogia dalla grandezza e bellezza delle creature, si risale e si conosce l’autore che è Dio. Di una bellezza straordinaria era S. Elisabetta d’Ungheria (1207-1231), di cui si celebra oggi la memoria liturgica. All’età di appena 14 anni andò sposa a Ludovico IV di Turingia (Germania) e divenne madre l’anno dopo. Aveva appena 20 anni quando rimase vedova con tre figli da amministrare, un maschietto e due bambine, l’ultima delle quali nata già orfana. La sua nuova condizione le impose la scelta di una modesta dimora a Marburgo dove fece costruire un ospedale, e di manifesta povertà. L’appartenenza al Terz’ordine francescano, la visita quotidiana agli ammalati, la scelta di vivere da mendicante, il compimento degli uffici più umili, contrassegnarono gli anni della sua breve esistenza. Un saggio confessore seguì il suo percorso cristiano e l’avanzamento nella virtù soprattutto della carità verso gli ammalati ed i poveri, come autentica «regina di carità». Per lei era normale questo tipo di apostolato con gesti esteriori per gli inferiori. Ammalatasi giovane chiuse santamente la sua vita ad appena 24 anni. I suoi meriti e la scelta della spiritualità francescana le valsero il titolo di Compatrona dell’Ordine Secolare Francescano. Auguri a tutte coloro che portano il nome di Elisabetta, perché sul suo esempio, possano esprimere l’attenzione e la cura verso gli ultimi a cominciare dai più vicini. P. Angelo Sardone

La sapienza, effluvio di Spirito

«La sapienza è effluvio della potenza di Dio, emanazione genuina della gloria dell’Onnipotente; per questo nulla di contaminato penetra in essa» (Sap 7,25). Dopo aver speso alcune parole sulla stima di Salomone per la sapienza ed aver invocato l’ispirazione divina, il testo sacro del libro della Sapienza, traccia un elogio della sapienza stessa. Riprende le personificazioni già note, ne precisa l’origine ed enumera le caratteristiche dello spirito divino che la sapienza possiede e che illustrano la sua natura. Sono evidenziati 21 attributi che vanno dall’intelligenza, dalla santità e dall’unità fino alla sua estensione universale. Il numero 21 degli attributi (3×7) è fortemente evocativo del massimo della perfezione a lei attribuito. Si nota chiaramente l’appropriazione letteraria di alcuni termini filosofici provenienti dall’area greca. Inoltre si intravvede la teologia dello Spirito Santo alla quale la sapienza stessa viene equiparata, e la cristologia che sarà trattata dall’evangelista Giovanni, da S. Paolo e dall’autore della lettera agli Ebrei. Tutto ciò è molto interessante perché a cavallo tra il vecchio ed il nuovo Testamento, la Parola ispirata di Dio coinvolge e si tinge anche del pensiero ellenistico, più essenzialista in confronto alla mentalità ebrea più funzionale. Si tratta di una ricchezza straordinaria che coniuga la rivelazione divina con il sapere umano, illuminandolo. La formazione cristiana attinge da questi elementi che, presentati nella liturgia della Messa feriale, offrono stimoli di conoscenza ed approfondimento davvero illuminanti. P. Angelo Sardone

Il ricordo dei defunti

«Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà» (Sap 3,1). Il testo classico proprio della liturgia della Parola nelle Messe esequiali viene presentato dalla Liturgia odierna come un richiamo essenziale e realistico alla condizione di coloro che non sono più nella vita terrena e godono la visione delle cose celesti. Il ricordo di chi non è più nella schiera dei viventi non è solo un sentimento umano, nobile e salutare, ma un dovere che nasce dalla natura e fa considerare il senso della vita che passa, delle creature umane, della sofferenza e della prova, del successo e della caducità delle cose. La sorte dei giusti messa a confronto con quella degli empi, è esaltata dalla certezza di fede che viene direttamente da Dio che assicura che essi sono sotto la sua protezione e la sua dipendenza. La lettura della vita soprattutto nelle battute ricche di dolori e della prova della sofferenza anche fisica, fa acquistare nella logica di Dio una conoscenza diversa dalle categorie propriamente umane segnate dal peccato e dalle sue conseguenze. La fine umana viene ritenuta una sciagura ed una rovina, e per tanti versi lo è. Quelli che sembrano i castighi molte volte sono le conseguenze della situazione delineata come empia. Alla pena, anche limitata e piccola, subentrano i grandi benefici che Dio riserva per i suoi giusti. Nei momenti del dolore acerbo per la perdita di una persona cara affiorano alla mente pensieri confusi che letti in una dimensione umana possono allontanare da Dio, ma considerati nell’ottica di fede acquistano significati e conseguenze completamente diversi. Le presenti giornate illuminate dal ricordo dei defunti, si rivelano insegnamenti efficaci e veri anche per chi non crede nel futuro radioso del Cielo. P. Angelo Sardone

S. Leone, il primo papa detto “magno”

«In tutte le direzioni fino ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo» (Rm 15,19). Nelle ultime battute della lettera ai Romani, S. Paolo espone i suoi progetti partendo da Gerusalemme e muovendosi verso l’Illiria per raggiungere prima Roma e poi la Spagna. Ciò che ha determinato e guida il suo zelo apostolico è portare a termine l’annuncio del vangelo, ponendo le basi di un edificio sul quale altri vi costruiranno. In questa linea evangelizzatrice si pone un grande testimone del passato, il dottore della Chiesa S. Leone detto Magno, il primo ad avere questo titolo, papa dal 440 al 461. La sua identità di consigliere di papi e pacificatore nelle controversie, gli conferì una singolare energia ed una forza straordinaria per combattere le eresie e risolvere le polemiche teologiche del suo tempo. Celebre e coraggioso fu il suo intervento quando, designato dall’imperatore Valentiniano III guidò a Mantova la delegazione romana nel tentativo di fermare Attila re degli Unni diretto a Roma. Dopo questo incontro il re abbandonò l’Italia ed i suoi propositi bellicosi. La stessa energia e lo stesso coraggio mostrò nei confronti di Genserico re dei Vandali quando nel 455 entrò in Roma, e pur non riuscendo ad impedire il saccheggio della citta, ottenne almeno il rispetto della vita dei Romani. Promosse il Concilio di Calcedonia (451) che approvò solennemente la dottrina delle due nature di Cristo, divina ed umana. La sua testimonianza di fede e di indomito coraggio nelle avversità storiche e nei contrasti teologici di allora, lo pone nella giusta considerazione di uno dei più grandi papi della storia. Auguri a coloro che portano il nome di Leone, perché sul suo esempio possano essere coraggiosi come un leone e nobili nel loro atteggiamento umano e religioso. P. Angelo Sardone

Chiesa madre di tutte le chiese di Roma e del mondo

«Mi divora lo zelo per la tua casa» (Sal 69,10). A seguito dell’episodio nel quale Gesù al Tempio di Gerusalemme, imbattutosi mei mercanti di buoi, pecore e colombe ed in numerosi cambiamonete, scacciò tutti dal tempio con le loro mercanzie affermando con vigore che la casa di Dio non era un mercato, i discepoli si ricordarono di questo versetto salmodico e lo applicarono a Cristo. Il suo atteggiamento era di difesa della dignità del luogo sacro, perché luogo della dimora di Dio e della sua gloria, luogo dell’incontro tra Dio e l’uomo. Nel secolo IV, quando il cristianesimo ebbe pubblico riconoscimento, dal momento che c’era bisogno per i cristiani di luoghi adatti nei quali riunirsi a pregare, ascoltare la Parola di Dio e rinnovare il sacrificio della morte e risurrezione di Cristo, l’imperatore Costantino donò alcune proprietà accanto al suo palazzo sul colle Celio a a Roma e fece costruire una basilica accanto al suo palazzo che divenne in seguito residenza dei vescovi di Roma. Nacque così una magnifica chiesa che papa Silvestro I intitolò al SS.mo Salvatore aggiungendovi una cappella dedicata a S. Giovanni Battista nella quale si amministrava il Battesimo. Prima papa Sergio III aggiunse la dedica al Battista e poi nel XII secolo papa Lucio II anche a S. Giovanni Evangelista. Da allora si denominò Basilica del Santissimo Salvatore e dei Santi Giovanni Battista ed Evangelista in Laterano. Qui furono celebrati cinque concili in anni diversi: 1123, 1139, 1179, 1215 e 1512. Essa è la cattedrale di Roma, «capo e madre di tutte le chiese dell’urbe e dell’orbe», come riporta una iscrizione in lingua latina posta sulla facciata anteriore. Oggi si celebra la festa della sua dedicazione. Aldilà della costruzione sacra edile, come affermava S. Cesareo di Arles, siamo noi il tempio vivo e vero di Dio. P. Angelo Sardone

L’amore, pienezza della legge

«Non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge» (Rm 13,8). Nel descrivere una serie di rapporti che i cristiani dovevano avere con le autorità civili del suo tempo S. Paolo delinea la loro sintesi nell’amore, la cosa di cui si devono occupare nei comportamenti verso il prossimo. Ciò è determinato dal fatto che proprio l’amore eleva al massimo la legge antica e nuova e la riassume. In particolare l’amore da dare sia ai fratelli delle proprie comunità che a tutti è come un debito da contrarre e pagare. Già nel Vecchio Testamento l’amore verso il prossimo era attestato come il culmine di tutta la Torah. La stessa cosa aveva fatto Gesù (Mt 22,34-40) lasciandolo come comandamento nuovo (Gv 13,34). I comandamenti infatti che si riferiscono alle relazioni con gli altri (matrimonio, omicidio, furto, desiderio di beni non propri) si ricapitolano nell’amare il prossimo come se stessi. La pienezza della Legge è la carità. Ciò evidenzia la realtà concreta della legge dell’amore. Su questi elementi si fonda il cristianesimo che prende forza dalla testimonianza di Gesù Cristo, il salvatore e redentore. La fede e la prassi cristiana necessariamente devono muoversi su questa strada se vogliono raggiungere la piena realizzazione e non ridursi a pura retorica inconcludente e fastidiosa. La cosa non è facile perché contrasta con l’egoismo umano e la ricorrente manifestazione di superiorità che contrae e non estingue i debiti perché fortemente incentrata su se stessi e la propria affermazione. Alla scuola dell’amore si impara ad amare. P. Angelo Sardone