«Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia» (Gn 37,3). Comincia così la storia biblica triste e gloriosa del patriarca Giuseppe, penultimo figlio di Giacobbe, avuto da Rachele. Per merito suo e per suo favore, onde sfuggire alla carestia e vivere inizialmente in un luogo sicuro, il popolo di Israele si ritroverà in Egitto dove soggiornerà per 430 anni. La sua vicenda umana è legata profondamente al padre che lo amava più degli altri e gli aveva fatto una tunica con le lunghe maniche. Il Signore lo aveva inoltre dotato di doni particolari e ciò lo rendeva inviso agli altri fratelli che lo consideravano “il sognatore”. Inviato dal padre a Sichem dove si trovavano i fratelli a pascolare, il poverino incappò nella triste vicenda di un diabolico complotto di morte. Perché non fosse ucciso, tanta era l’invidia e la gelosia dei suoi fratelli, Ruben, uno di loro che desiderava salvarlo a tutti i costi, propose il suo abbandono in una cisterna vuota col desiderio di sottrarlo vivo e di rimandarlo a casa. L’altro fratello, Giuda, invece, che pur non voleva mettergli mano addosso, escogitò la vendita per 20 sicli di argento ai mercanti madianiti diretti in Egitto. Si trattava in ogni caso di un tentativo di salvezza che si inquadrava nel piano provvidenziale di Dio. L’invidia e la gelosia sempre accecano grandi danni senza minimamente guardare in faccia a nessuno. Si svendono con facilità e per nulla, finanche gli affetti più sacri, vittime delle proprie accecanti ambizioni e della cupidigia ossessiva ed egoistica che non salvaguarda neppure i vincoli della carne e del sangue. P. Angelo Sardone