«Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo» (Lv 19,2). La caratteristica fondamentale del popolo di Dio, antico e nuovo, è la santità. Non si tratta di un’opzione lasciata alla responsabilità ed alla volontà dell’uomo, ma dell’essenza stessa della fede, dell’Ebreo prima e poi del Cristiano. Il precetto è contenuto nel codice del Levitico con evidenti legami col Decalogo, proclamato solennemente da Mosé, dietro formale ingiunzione di Dio. Dio che è tre volte santo, esige che il suo popolo, staccato e distinto dagli altri popoli, sia santo, tenda alla santità ed alla perfezione. Il concetto e la realtà della santità ha come supporto una serie di indicazioni ben precise che si riferiscono propriamente alle relazioni ed ai rapporti col prossimo. Quasi a dire: non c’è santità effettiva che elevi e proietti verso Dio, che non si costruisca e passi attraverso la relazione ed il comportamento verso il prossimo. Ciò sarà ribadito fortemente dagli insegnamenti di Gesù. Il furto, il falso giudizio, l’oppressione, la maledizione, l’ingiustizia, la calunnia, il rancore, la vendetta, sono elementi che intralciano il cammino di santità e disorientano la vita dell’uomo. Tutto ciò che è contrario segna la strada preferenziale per un itinerario effettivo di grazia e di salvezza. La santità cui il cristiano deve aspirare non è quella delle nicchie degli altari, ben venga anche, ma quella della ferialità che non è fatta di grossi prodigi e manifestazioni, ma di cose semplici, umili, ripetute, che passano attraverso la precarietà e la giornaliera debolezza umana. «Fatti santo!» amava ripetere a chiunque P. Giuseppe Marrazzo mio confratello del quale è in corso la causa di canonizzazione. È un buon augurio anche per te. P. Angelo Sardone