«Priva d’offerta e libagione è la casa del vostro Dio» (Gio 1,13). Del profeta Gioele, il cui nome significa Jahwé è Dio, non si ha alcun dato agiografico. Le supposizioni critiche pongono il suo servizio ministeriale intorno al V secolo a.C. Il primo capitolo del suo libro, presenta una liturgia profetica di lamento: si apre con uno squarcio doloroso della situazione della terra e del tempio di Dio. Alla descrizione della piaga delle cavallette, gravissima nel Medio Oriente, si uniscono lamenti ed inviti alla conversione, al digiuno ed alla penitenza. Il testo con evidente allusione simbolica, fa riferimento all’invasione di un esercito straniero o ad una situazione apocalittica futura. Sono queste le gravi conseguenze dell’allontanamento da Dio che provocano a ritroso una situazione angosciante che aprirà il giorno del Signore. Sono coinvolti i sacerdoti ed il luogo sacro come oggetto della devastazione dell’Onnipotente. La natura stessa si presenta desolata: i semi sono marciti, i granai sono vuoti, il bestiame geme e le greggi vanno in rovina. Insieme con il grano è scomparsa la letizia e la gioia. Occorre proclamate un digiuno ed una riunione sacra per guardare le prospettive di questo giorno apocalittico. Il quadro desolante spesso è stato richiamato nel corso della storia della Chiesa e del mondo e sottolineato come tempo di prova e di forte sterilità spirituale. A La Salette ai due pastorelli impauriti dal racconto la Madonna piangente aveva evocato una situazione simile sottolineando l’infedeltà alla legge del Signore, la scarsezza dell’offerta delle opere buone nella Casa di Dio ma anche la necessità di una vera conversione. P. Angelo Sardone