«Sono lieto nelle sofferenze che sopporto e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo, la Chiesa» (Col 1,24). S. Paolo manifesta un’attestazione sincera di puro affetto per i cristiani di Colossi affermando di provare gioia nel sopportare le sofferenze per loro. Ogni apostolato di ieri e di oggi comporta necessariamente sofferenze e travagli che diventano sopportabili nella misura in cui l’evangelizzatore è entrato nella confidenza generosa e nella condivisione concreta con gli evangelizzati. D’altronde il vero amore non si manifesta solo con la lingua e le parole, ma con i fatti e nella verità (1Gv 3,18). Il Regno di Dio stabilito da Cristo ha richiesto a Paolo tanta sofferenza: tutti coloro che condividono la sua opera, sono soggetti anch’essi a sofferenze da condividere. La croce di Cristo è stata redentiva in tutto e non le manca nulla. L’Apostolo non pretende di aggiungere alcunché a quelle sofferenze, ma vuole associarsi alle prove e patimenti di Gesù in questa sua azione apostolica. Le prove subite da Gesù comportano una misura già prevista nel piano divino, al quale Paolo non intende sottrarsi, anzi vuole colmare perché il tutto vada a vantaggio della Chiesa, il corpo visibile e glorioso di Cristo. È un’alta attestazione di amore nei confronti della creatura più eletta di Cristo, la Chiesa che, attraverso la sua predicazione, particolarmente quella ai gentili o pagani, sta impiantandosi in maniera solida. Noi evangelizzatori d’oggi abbiamo tanto da apprendere in termini di amore vero e disinteressato ed ancor più in sacrifici, rinunzie e patimenti. P. Angelo Sardone