«Benedetto Dio! Benedetto il suo santo Nome! Benedetti tutti i suoi Angeli santi» (Tb 11,14). Celebrate felicemente le nozze e ripreso il denaro dal creditore del padre, Tobia e Sara unitamente all’angelo Raffaele ed al cane che li aveva accompagnati lungo tutto il viaggio, si incamminano per Ninive. Con grande gioia la madre di Tobia corre loro incontro piangendo e li abbraccia. Una volta in casa, seguendo le indicazioni dell’Angelo, Tobia soffia sugli occhi spenti di suo padre, vi spalma il fiele del pesce e distacca con le mani come delle scaglie bianche dai margini degli occhi. Tobi finalmente vede il figlio, gli si getta al collo piangendo e prorompe in un cantico di benedizione. Nella comune gioia è contagiato anche Tobia che inneggia con tutta la voce che aveva ed informa il padre della buona riuscita del viaggio e della sposa Sara. Questa ennesima preghiera manifesta ed esemplifica la devozione giudaica e sottolinea come la vita che pratica le virtù è salvaguardata anche dinanzi alle sventure ed è consigliata a chi vuole vivere per questo sentiero. L’uomo giusto che soffre le persecuzioni e le ingiustizie viene premiato da Dio. Il senso vivo della famiglia viene qui esaltato insieme con la nozione alta del matrimonio, l’invito a riconoscere la provvidenza divina che corre in aiuto ad ogni necessità e la vicinanza di Dio sempre attento e compassionevole. La bellezza delle parole di benedizione sulle labbra contrasta, soprattutto oggi, con la facilità con la quale si bestemmia il Nome di Dio o si usa un linguaggio scurrile e volgare che fiorisce sulle labbra di tanti, piccoli e grandi, in nome della modernità che tante volte è autentica stupidità. P. Angelo Sardone