La semina del mattino
143. «Tu lo dici: io sono Re» (Gv 18,37). L’Anno Liturgico si chiude con la Solennità di Cristo Re dell’Universo. È il titolo che si addice pienamente a Gesù avendolo Egli stesso proclamato dinanzi a Pilato, impacciato nell’amministrare il particolare suo caso giudiziario. La festa fu introdotta il 1925 da Pio XI, perché ci fosse più consapevolezza della regalità di Cristo. Nella pericope evangelica giovannea, sono dinanzi il detentore di un potere umano ed il Messia che egli stesso riconosce Re, facendo apporre la scritta in tre lingue nel cartiglio alla sommità della croce. Il dialogo è intenso: per ben 12 volte ricorre il termine re attribuito a Gesù di Nazaret. La logica e le categorie della sua regalità sono distanti e diverse da quelle umane perché fondano le radici nel servizio e non nel potere, nell’umiliazione e non nell’esaltazione, nella pace e non nella guerra. È un re di giustizia e di verità, di amore e di pace. La sua potenza ed il suo dominio si estendono su tutte le creature. È re «in senso pieno, proprio e assoluto» (Pio XII): il suo regno è spirituale e si contrappone a quello delle potenze diaboliche. La sua forza sono la verità e l’amore. L’ha instaurato con la sua presenza nel mondo, gli darà pieno compimento e giungerà alla perfezione alla fine dei tempi. Nell’arco della storia e del tempo il cristiano tende verso questo Regno che verrà ma che è già. La signoria di Cristo, prossima ai fedeli, si manifesta nel servizio. La risposta a Cristo Re dell’universo è un procedimento serio di impegnativa e concreta conversione che si apre alle prospettive certe di salvezza. P. Angelo Sardone