La semina del mattino
42. «Quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?» (Mt 18,21).
È sempre duro parlare del perdono: ancora più difficile praticarlo. Tutti vogliono avere ragione, ognuno ha sempre la sua ragione. A sbagliare sono gli altri e se ci si trova in fallo si adoperano tutti i modi per rifarsi: appartiene alla natura umana resa fragile dalla situazione del peccato. L’ammissione delle proprie colpe è ritenuta spesso una debolezza, un oltraggio al proprio onore. L’alterigia a volte fa quadrato col minimo di ragione che si può avere. È stato sempre così e rimane difficile per tutti ed in tutte le condizioni di vita. L’apostolo Pietro, designato da Cristo a capo della Chiesa col potere di legare e sciogliere, chiede a Gesù fino a quante volte bisogna perdonare un fratello che ha commesso una colpa. I numeri indicati dal Maestro sono simbolici e richiamano non solo la pienezza del perdono (sette volte), ma anche la completezza della pienezza (settanta volte sette), cioè sempre. L’esempio raccontato da Gesù mette in luce la portata del debito di un servo nei confronti del padrone (diecimila talenti), e di quello di un compagno nei confronti del servo incriminato, di appena cento denari. Il condono benevolo accordato dal padrone non è seguito da altrettanto atteggiamento del servo nei confronti del suo compagno che finisce in prigione. Tutto ciò provoca il giusto sdegno del padrone che gli infligge una dura punizione. La conclusione è chiara: così agirà il Padre celeste nei confronti di chi non perdona di cuore il proprio fratello. P. Angelo Sardone