Non si è mai pronti ad avere a che fare con la morte. Pur se la subiamo nelle persone che ci hanno lasciato, soprattutto quelle più care, la pensiamo il più lontano possibile da noi. Siamo impari al suo potere. Le immagini agghiaccianti di questi giorni di decine e decine di bare allineate e di camion per il trasporto delle salme chissà dove, lontano dagli affetti, forse senza una benedizione, senza uno sguardo mesto che li vedesse svanire all’orizzonte, senza una lagrima di dolore che li bagnasse, fanno spalancare gli occhi su questo grande ed inesorabile mistero. Dalla mente prorompono interrogativi inquietanti: perché la sofferenza e il dolore? Perché la malattia e la morte? Perché questa pandemia? Che sarà di noi, domani? Tanti provano a dare risposte: discordanti, apocalittiche ed allarmanti, piene di speranza e fiducia, ciascuno secondo la propria visione di vita e di fede, con o senza Dio. La paura aumenta, ed anche la tensione. I più sensati tacciono. Chi è avvezzo alla preghiera, come S. Giuseppe, parla col suo silenzio. Un virus invisibile agli occhi nudi, impalpabile al tatto, contagia con una minuscola goccia di saliva, un inavvertito contatto o una superficie contaminata, si impossessa come un superbo guerriero, penetra dentro il corpo, ti toglie il respiro e tu muori. La Sapienza divina proclama la verità: «Se nascondi il tuo volto, vengono meno, togli loro il respiro, muoiono e ritornano nella loro polvere. Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra» (Salmo 104, 28-30). Sembravamo onnipotenti. L’impotenza invece ci mette in ginocchio e ci rende triste: siamo privati dell’Eucaristia, indispensabile sostentamento, ci manca la partecipazione fisica all’assemblea liturgica; è un doloroso scenario la chiesa coi banchi vuoti. La supplica comune, ardente ed insistente cerca di strappare al Dio misericordioso che fa nuove tutte le cose, la grazia della fine di questo terrore mondiale. Tutto sicuramente non sarà più come prima: impronteremo un nuovo modo di intendere e vivere la vita, consapevoli dell’assoluta nostra vulnerabilità e alzeremo la testa al cielo alla ricerca del volto di Dio. Il vagito di un bimbo appena nato, il mandorlo fiorito, un lumino acceso alla finestra, sono segni di speranza nella vita che, nonostante tutto, anche se parallelamente alla morte, scorre lungo il binario della storia. Coraggio, Cristo ha vinto la morte e ci ha dato la vita! P. Angelo Sardone.