«Vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato, tra le lacrime, di ammonire ciascuno di voi» (At 20,31). L’accorato saluto che Paolo fece ai cristiani di Efeso, consapevole per rivelazione di Dio che non li avrebbe più rivisto, si conclude con una forte e vincolante esortazione: vigilare e non permettere che lupi rapaci sotto mentite spoglie di predicatori spregiudicati ed avventizi, falsi profeti, disorientino la vita e le loro coscienze. Il tratto tenero, affettuoso e mesto delle parole dell’Apostolo, non può sottrarsi ad una presa di posizione ferma e decisa dinanzi al fenomeno, tipico anche oggi in alcune comunità cristiane, nelle quali gli ultimi arrivati agiscono come se prima di loro c’era il nulla, spazzando via ogni cosa, anche quelle che sono state costruite, proprio come per l’Apostolo, tra lagrime ed ammonizioni sensate per il bene esclusivo dei credenti. Un attaccamento serio e vincolante agli insegnamenti autentici ricevuti, e non tanto al predicatore che certo ha la sua parte, quando si è verificato in forma piena e matura da parte dei fedeli, fa camminare da soli, e fa distinguere le parole affettate, le moine di turno, talora solipsistiche e compensatorie, da quelle che presentano profondità di pensiero e testimonianza credibile di azioni. La rivendicazione di Paolo è molto significativa: per circa tre anni aveva annunziato il Vangelo con le ammonizioni derivanti, come un pastore fa verso le sue pecore. I lupi, i mercenari ed i briganti non hanno alcun diritto di distogliere un cammino quando questo è fatto seriamente, a meno che il pastore sia stato leggero o egocentrico. Ma questo si vede subito quando le pecore spariscono e non si sa più dove siano. P. Angelo Sardone