«Chi mangia di Me, vivrà per Me» (Gv 6,57). Mi ha sempre affascinato questo detto di Gesù contenuto nel lungo discorso del pane che l’evangelista Giovanni riporta nel quarto vangelo eludendo il racconto dell’istituzione della Eucaristia. A Cafarnao il Maestro dà istruzioni ben precise offrendo coordinate adatte per comprendere il grande mistero del cibo eucaristico come nutrimento di vita e la maniera per restare perennemente in mezzo al suo popolo, sia con la celebrazione della S. Messa, che con l’adorazione e la presenza dei sacerdoti unici deputati a questo servizio. Mangiare le carni immacolate di Gesù e bere il suo sangue significa entrare nella piena comunione con Lui: ciò fa scattare l’unità anche con i fratelli. Entrare nell’intimità del Cuore di Cristo significa entrare a far parte delle sue gioie e delle sue pene che S. Annibale M. Di Francia chiama “intime”, perché riferite alla scarsezza degli operai del Vangelo, soprattutto i sacerdoti e i ministri ordinati. Io che in quasi tutta la mia esistenza religiosa e sacerdotale ho svolto il compito di animatore di pastorale giovanile e di promozione delle vocazioni sacerdotali e religiose so bene cosa significhi tutto questo. Lo sbocciare di una vocazione di speciale consacrazione è frutto di una intimità di amore con Gesù, dal quale si apprende la necessità della salvezza delle anime e la cura di esse. Aderire al Signore mediante il sacramento eucaristico mette nella condizione di entrare nell’urgenza e nella necessità di vivere per Cristo. Ed uno dei modi più concreti è quello di seguirlo per la via stretta della perfezione evangelica. Eucaristia e preghiera per le vocazioni diventano quindi un tutt’uno nella comprensione e nell’esplicitazione del carisma rogazionista che purtroppo rimane ancora non molto conosciuto. P. Angelo Sardone