«Ecco il vessillo della croce, mistero di morte e di gloria: l’artefice di tutto il creato è appeso ad un patibolo» (Dalla Liturgia). L’inno dei Vespri odierni nella Festa dell’esaltazione della Santa Croce, adatta il celebre «Vexilla regis» tratto da un componimento latino del vescovo Venanzio Fortunato, redatto in occasione dell’arrivo della reliquia della croce a Poitiers e cantato in tempi liturgici diversi. É uno dei modi con i quali si celebra il mistero della santa Croce, fonte di salvezza. La festa ha origini antiche che risalgono al 14 settembre 335, nell’anniversario della dedicazione di due basiliche edificate da Costantino a Gerusalemme, sul Golgota e al santo Sepolcro, a seguito del ritrovamento delle reliquie della croce ad opera di sua madre sant’Elena. Attorno alla croce, il più terribile strumento di supplizio e di morte, si è sviluppata nel tempo una vera e propria «sapientia e scientia crucis», un itinerario di pensiero e di santificazione che ha visto protagonisti ed interpreti diversi Santi e Sante. La liturgia canta la croce come albero di vita, talamo, trono ed altare, segno visibile dell’eterna signoria di Cristo. Nel suo nome si mosse e si muove l’evangelizzazione, a partire dalle indicazioni di Gesù di Nazaret che chiede ai suoi seguaci di prendere ogni giorno la propria croce. Nonostante continui ad essere «scandalo per i Giudei e stoltezza per i gentili», la croce è la vera arma che sconfigge il male, il segno della riconciliazione, del perdono e dell’amore. Su di essa Cristo ha sperimentato il triplice mistero del patire: i dolori dell’umanità, le ignominie, le pene intime (S. Annibale M. Di Francia). Seguendo la Croce possiamo diventare messaggeri di amore e di pace. P. Angelo Sardone