«Se ti sposi non fai peccato; se la giovane prende marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella loro vita» (1Cor 7,28). In risposta ai quesiti posti dai Corinti, S. Paolo affronta il problema del matrimonio e della verginità. In questa maniera detta alcune norme che compongono l’intero capitolo 7 della prima Lettera ai Corinti. Si tratta di due ideali sanciti dalla Rivelazione divina: il matrimonio monogamico e la verginità e consacrazione a Dio che fa protendere verso i beni del Signore. Il matrimonio viene permeato di spirito cristiano. Lo stato di verginità sembra essere prediletto dall’Apostolo che offre un consiglio come di persona che ha autorità: se sei legato ad una donna, non scioglierti; se non sei legato ad alcuna, non andare a cercarla. La necessità presente di cui si parla è il limite che la condizione matrimoniale pone alla dedizione senza limiti al Signore. Tuttavia non si fa peccato a sposarsi, tutt’altro. Le tribolazioni sono costituite dalle tensioni che spesso sono grandi e dolorose anche nel matrimonio, quando si è immersi nelle contingenze giornaliere della vita e talora si deve lottare per affermare le istanze proprie del Vangelo. Non vi è obbligo di scegliere il celibato: si tratta di un consiglio. Il carisma della verginità è diverso dal carisma del matrimonio. Entrambi sono doni di Dio e si esprimono come vera e propria vocazione. Entrambi hanno la loro importanza ed il loro peso; per entrambi si richiede una particolare assistenza dello Spirito. Il matrimonio adempie il volere divino della generazione della vita e della comunione di mente, cuore e corpo tra un uomo ed una donna. La scelta del celibato per il Regno dei cieli è già la manifestazione del “non ancora”. P. Angelo Sardone