«Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele» (Am 7,15). La sorte del profeta è sempre segnata da contraddizioni, difficoltà e pericoli causati dagli ascoltatori. La natura delle sue profezie non sempre corrisponde a quanto l’uomo vuole sentirsi dire. Talora la portata delle sue affermazioni è radicale e sferzante, soprattutto quando si rivolge verso le categorie dei responsabili civili e religiosi. Nel santuario di Bethel, in Samaria, il profeta Amos annunziava le parole che Dio gli aveva rivelato in merito al re del nord, Geroboamo. Certamente non erano dolci parole, dal momento che prevedevano la sua morte. Amasia, sacerdote del tempio, non solo rimprovera Amos ma gli ingiunge di andarsene al sud dove potrà profetizzare liberamente. La risposta del profeta è una lezione magistrale di apologia: “non sono profeta né figlio di profeta. È stato il Signore che mi ha chiamato ed inviato a profetizzare al popolo di Israele. Anzi, sta attento proprio tu: tua moglie si prostituirà ed Israele sarà deportato”. Gli interventi dei profeti, antichi e nuovi, sono efficaci nella misura in cui essi hanno piena coscienza di essere semplicemente dei canali attraverso i quali passa l’acqua della Parola che irrora, purifica, dá vita. Gli interventi scomodi che talora inaspriscono le relazioni ed evidenziano con realismo le situazioni, sono da attribuire non a vedute personalistiche o di parte, ma ad un dato che non appartiene al profeta ma che proviene dall’alto. Anche oggi i “veri” profeti sono inascoltati, derisi, umiliati e talvolta costretti alla ritirata perché non siano scalzati i dominatori di questo mondo, sorretti da lusinghieri consensi mediatici adulatori e profanatori della verità inconfutabile. P. Angelo Sardone.